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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Testuali parole

Le eterne rovine di Anselm Kiefer

 «Dopo Auschwitz, nessuna poesia, nessuna forma d'arte, nessuna affermazione creatrice è più possibile. Il rapporto delle cose non può stabilirsi che in un terreno vago, in una specie di no man's land filosofica.»1 In queste parole del filosofo tedesco Theodor Adorno sono impliciti tanto il rimorso quanto la disperazione. Ma la poesia e le arti sono sopravvissute, nonostante tutto. Nelle antologie di letteratura tedesca, e anche di molte altre lingue, è sempre presente una lirica di Paul Celan divenuta il tragico simbolo dell’olocausto, Todesfuge, la cui prima versione è del 1945.

I versi di Celan, in Todesfuge, sono memorabili e incisi nella memoria dei tedeschi di oggi, che li leggono a scuola come noi leggiamo Dante o Leopardi:
 

Schwarze Milch der Frühe wir trinken dich nachts
wir trinken dich mittags und morgens wir trinken dich abends
wir trinken und trinken
ein Mann wohnt im Haus dein goldenes Haar Margarete
dein aschenes Haar Sulamith er spielt mit den Schlangen

Er ruft spielt süßer den Tod der Tod ist ein Meister aus Deutschland
er ruft streicht dunkler die Geigen dann steigt ihr als Rauch in die Luft
dann habt ihr ein Grab in den Wolken da liegt man nicht eng2

Nero latte dell’alba ti beviamo la notte / ti beviamo a mezzogiorno e al mattino ti beviamo la sera / beviamo e beviamo / nella casa abita un uomo i tuoi capelli d’oro Margarete / i tuoi capelli di cenere Sulamith lui gioca con i serpenti/

Lui grida suonate più dolce la morte la morte è un maestro tedesco / lui grida suonate più cupo i violini e salirete come fumo nell’aria / e avrete una tomba nelle nubi là non si giace stretti

 

A proseguire idealmente e materialmente l’opera di Celan, morto suicida nel 1970, si è posto un pittore tedesco, più giovane di 25 anni (nato quindi proprio quando Celan scriveva Todesfuge), anche lui incredibilmente immerso nella dimensione del dolore, della rabbia, della tristezza, per il ricordo dei crimini commessi dai padri: Anselm Kiefer.

 

Anselm Kiefer, Dein Goldenes Haar, Margarethe, misto su tela, 1981

 

 Anselm Kiefer, Dein aschenes Haar Sulamith, misto su tela, 1981

 

Due nomi di donna, due colori dei capelli, il tempo musicale di una fuga, le ripetizioni come motivo, le asserzioni fatali, “ein Grab in den Wolken” (una tomba nelle nubi), che raccontano Auschwitz in cinque sole parole, questo è Celan. A partire dagli anni Ottanta è a quelle due donne, Margarete e Sulamith, la tedesca dai capelli d’oro e l’ebrea dai capelli bruciati, che Kiefer intitola numerosi suoi quadri, tele spesso colossali che il pittore costruisce come una infinita incrostazione di strati. Prevale in queste opere la parola-forma dei capelli, lunghi fili che invadono la superficie, ma nel loro spargersi i capelli si trasformano in altro, in strade, in piante, in strutture.
Sono più di venti i quadri che Kiefer ha dedicato alle due donne della poesia di Celan. 

Kiefer approda negli anni Ottanta al monumento, all’opera colossale che esce dalle pareti, dagli schemi, che invade gli spazi e li occupa come una mostruosa metafora della vergogna, o del senso di colpa, o del dolore. Se le poesie di Celan sono brevi ed ermetiche, ma entrano come macigni nella coscienza del lettore, i fogli di piombo o le torri di cemento costruite da Kiefer sono essi stessi macigni, prove fisiche tangibili della vergogna e del dolore.

Dopo Auschwitz, diceva Adorno, scrivere poesia è impossibile. Se Celan visse l’angoscia di aver provato ad essere poeta dopo Auschwitz, Kiefer non ha dubbi, è artista perché sa e vuole vivere nel ricordo dell’orrore.

A partire dagli anni Novanta Kiefer lavora in enormi loft dapprima in Germania poi in Francia, con un nutrito gruppo di artigiani che lo aiutano nelle sue imprese. Le sue mostre sono spesso enormi, perché gran parte della sua opera tende al colossale. Venezia ne ha ospitate due, “Il sale della terra” nel 2010 alla Fondazione Vedova, curata da Germano Celant, e “Questi scritti, quando saranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce” nel 2022 a Palazzo Ducale, curata da Gabriella Belli e Janne Sirén. I cataloghi di queste due mostre, eccellenti e ricchi di contributi, densi di immagini fotografiche che in qualche modo conservano l'aspetto di opere peraltro non riproducibili, sono tra i testi più efficaci in italiano per conoscere Kiefer.

La Sala dello Scrutinio nel Palazzo Ducale di Venezia è per importanza seconda solo alla grande Sala del Maggior Consiglio. Qui normalmente si possono ammirare teleri  di alcuni pittori minori della grande scuola veneta, spettacolari tributi militari alla grandezza di Venezia; non sono i quadri originali della decorazione di questo grande spazio, perché gli originali andarono perduti – non molti anni dopo la loro esecuzione – in un incendio. Prima ancora, la sala ospitava la grande Libreria ducale, in buona parte dovuta ai lasciti del Petrarca e del cardinale Bessarione.

In questa sala, per qualche mese del 2022, i teleri sono stati oscurati dalle egualmente enormi tele, montate su impalcature metalliche non visibili al primo sguardo, costruite ad hoc da Anselm Kiefer su invito della direzione del Palazzo e dei Musei di Venezia. Una scelta coraggiosa, che ha deciso di porre l'arte contemporanea a livello dell'arte rinascimentale e – a mio parere – di decretarne un legittimo superamento. L'emozione che oggi è in grado di suscitare l'arte di Kiefer è qualcosa di estremamente vivo e sensibile, tutt'altro rispetto alla perfezione formale e in fondo prevedibile delle opere antiche.
A proposito della critica d'arte, che tende giustamente a considerare Kiefer come il massimo artista vivente, i contributi saggistici sulla sua opera tendono a complicarne esageratamente le intenzioni e i pensieri; Kiefer afferma di ragionare a lungo su ciò che sta per creare, ma di lasciarsi anche guidare dall'istinto, dalla vis poetica, e spesso dal caso. Per le opere di Palazzo Ducale, ha sfidato qualunque tradizione affermando che a mostra chiusa forse le lascerà sbiadire e perire all'aperto (non potendo affondarle nel Canal Grande!). Le rovine dell'arte e l'arte, ecco il nocciolo da capire per capire Kiefer. Lo dice bene Janne Sirén nel catalogo della mostra di Palazzo Ducale:

Il compito di esaminare il contenuto delle sue opere d'arte è spaventoso, le muse di Kiefer non si prestano a una facile indagine. [---] Inseguire stringhe di dati, capitoli del processo creativo, nomi e avvenimenti tratti dalle pagine di letteratura e di storia, con l'intento di risolvere misteri nell'arte di Kiefer è un'impresa vana.3

 

 Mostra nella Sala dello Scrutinio, Venezia - Sul fondo La Scala di Giacobbe

Costruire un'opera che contiene la propria fine, il proprio annullamento, appare quasi contraddittorio se non si ricorda la concezione dell'effimero, così cara ai barocchi (e agli studiosi del barocco). Kiefer smantella l'idea stessa di completezza, durata, finitezza dell'opera d'arte; la sua produzione è squilibrata, provvisoria, ruvida.

La frase che intitolava la mostra di Venezia è di Andrea Emo, “Questi scritti, quando saranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce”. Nella sua onnivora fame di conoscenza, Kiefer ha studiato gli scritti del misconosciuto filosofo italiano e vi ha saputo cogliere l'affinità segreta con il suo lavoro. Una sorta di esistenzialismo che genera più dubbi tormentosi che certezze. Emo scrive “questi scritti”, e Kiefer accoglie nel termine le opere d'arte visiva, nella convinzione – da lui spesso confermata – che non ci siano distinzioni tra la suggestione della lettura e la suggestione della visione. Scritti che bruceranno, al futuro, ovvero si perderanno tra le rovine dell'umanità fintanto che il fuoco non ne determinerà l'ultimo stato, l'incenerimento. Non a caso nel passato della Sala dello Scrutinio c'è la presenza di una grande biblioteca e c'è poi l'incendio che distrusse i primi teleri, sostituiti da quelli che Kiefer ha temporaneamente oscurato. Anche quei teleri bruciando diedero infine un po' di luce.

“Tra dicembre 2010 e aprile 2011, Kiefer è stato il primo artista visuale a occupare la cattedra di Creazione artistica al Collège de France di Parigi, dove ha tenuto otto lezioni, seguite dai rispettivi seminari”, così recita la nota di copertina del volume L'arte sopravvivrà alle sue rovine, che quelle lezioni raccoglie. La lettura di questo libro consente di capire meglio i processi creativi di Kiefer, spesso abbastanza enigmatici se non oscuri. Non è sorprendente la sua passione e la sua immersione nella dimensione scritta della poesia che, come abbiamo visto nel confronto con Celan, è forse la più importante fonte della sua capacità creativa. Non deve sorprendere allora che in queste lezioni i temi affrontati siano soprattutto letterari; Kiefer cita tra gli altri Rimbaud, Jean Genet e Ingeborg Bachmann, i suoi poeti prediletti oltre a Celan e Goethe, quelli che in qualche modo hanno detto in parole ciò che lui voleva dire con altri strumenti, la matita, i pennelli, le forme plastiche degli oggetti.

Si spiega bene allora come nei quadri di Kiefer siano spesso presenti scritte, citazioni, titoli dal sapore criptico ed enigmatico, e anche oggetti incollati alle tele, quando la rappresentazione deve cedere il passo direttamente alla realtà e alle trasfigurazioni. L'artista ama la paglia, la terra, gli squarci che distruggono le superfici, i modellini metallici, le brume autunnali, e questi temi ricorrono e ritornano, con aggiunte sorprendenti come il sarcofago di San Marco, la scala di Giacobbe e i carrelli della spesa riempiti di paglia ed etichettati con il nome dei dogi, attaccati sulle tele di Palazzo Ducale.

Le ultime due lezioni parigine si svolsero in realtà sul campo, con il maestro a fare da guida nei suoi colossali laboratori a Parigi e a Barjac in Occitania. Il testo riprende alla lettera quanto detto da Kiefer durante le visite, in un'interessante rivelazione della apparente semplicità con cui si può comprare a Barjac una vecchia fabbrica circondata da ettari di terra, asservirla alle proprie necessità, scavare tunnel, costruire torri di cemento armato (prototipi dell'intervento milanese), e lavorare creando gigantesche forme ed oggetti che sembrano diruti prima di essere nuovi.

 



Anselm Kiefer, I sette palazzi celesti

cemento armato, piombo e altro, 2004, Ex-Hangar Bicocca di Milano

Un bel catalogo esiste anche dell'esposizione permanente alla Bicocca di Milano. Die sieben himmlischen Paläste(I sette palazzi celesti) creati per l' ex-hangar Bicocca milanese nel 2004, non sono come detto una novità, nel suo laboratorio a Barjac ne sono state erette diverse, all'aperto. A Milano oggi sono affiancate da alcune grandi tele eseguite tra il 2009 e il 2014. Le torri sono la materializzazione dello Sefer Hechalot, il trattato che indica agli ebrei il percorso verso Dio, ma sono torri in rovina, fatte di cemento armato letteralmente ridotto a brandelli, un parallelo architettonico dei libri di piombo che Kiefer ha più volte inventato per farci vedere insieme il cupo colore della morte, della cenere, e della censura. A Milano la dimensione titanica dell'Hangar ha invitato e spinto l'artista a cercare l'altezza e lo spazio, riproponendo le strutture in cemento ottenute dal calco di container metallici e sovrapposte in un'apparente instabilità.
Ogni torre è un passo verso la salvezza, ma ai nostri occhi l'effetto dei pochi dettagli che le distinguono si perde nella dimensione grandiosa e nel buio che avvolge la sala. Alle pareti, alcuni anni dopo l'innalzamento delle torri, Kiefer ha aggiunto cinque grandi tele, tipiche della sua produzione, tra costellazioni e campi, in una delle quali ripropone il celebre
Viandante di Caspar David Friedrich. L'infinito si ritrova quasi sempre, a ben guardare negli orizzonti e nelle prospettive di Kiefer, e non ci si può sbagliare se il riferimento obbligato, tra rovine e tutto, è il primo Romanticismo, nel senso profondo della morte e del destino che Novalis e Kleist hanno sublimato.

 

Anselm Kiefer, Die deutsche Heilslinie, 2009, misto su tela,
Ex-Hangar Bicocca di Milano

 

Nel merito della mostra “Il sale della terra”, ha scritto incisivamente Donald Kuspit: 


Nel grigio cosmo di Kiefer, il senso di perdita è così totale che nessun lutto ce ne può liberare. La luce che vi balugina dentro, la marea di stelle che si alza e si abbassa, sono appena sufficienti a sollevare – illuminare – il nostro spirito.
4

 

Nelle torri milanesi, il grigio e il peso del piombo giocano un ruolo in apparenza marginale, ma di fatto strutturale, perché l'equilibrio e la statica delle torri è garantito proprio da fogli di piombo collocati nelle giunzioni e alle basi delle torri, quasi a rimarcarne la tradizionale interpretazione come elemento di pura inerzia e opacità. 

 

Anselm Kiefer, Paete, non dolet, piombo, 2008
 

Il piombo è il materiale che ha assorbito gran parte dell’energia creativa dell’artista negli ultimi decenni e che ha fatto parlare spesso di una sua ricerca alchemica, come nelle medievali stregonerie basate su bizzarre teorie chimiche. Kiefer dedica a tutto questo un’attenzione scientifica e mistica insieme. A volte usa il piombo in lastre e lo corrode, lo incide, lo modella, ma molto più spesso lo usa a quintali per ricostruire oggetti di altra natura, come vestiti, carri armati, fogli, aeroplani, libri, che nonostante le corrette volumetrie si trasformano davanti a noi in forme prive di vita, incenerite, anche se forse pronte a una trasformazione sublime.

Sull'argomento della scienza andrebbe approfondito il contributo di Kiefer alla ricerca artistica. L'artista ripete spesso, anche nelle sue lezioni, che l'arte di oggi somiglia a quella medievale, e che quindi le scoperte scientifiche (ad esempio la prospettiva) in campo artistico possono decadere, possono scomparire, possono cioè perdere senso. E anche le scoperte scientifiche in generale sembrerebbero, per Kiefer, contingenti e non assolute; l'alchimia non ha quindi meno senso della chimica moderna. E va detto che da un lato Kiefer appare aggiornatissimo su quanto scienza e tecnica propongono e risolvono oggi, ma dall'altro sembra ad ogni passo ricordarci che soltanto l'arte può darci la salvezza. Non è una fede, non è una superstizione, è la convinzione profonda di un uomo che crede di aver compreso il destino dell'umanità, che vede l'apocalisse, ma che dopo l'apocalisse scorge una possibilità di rinascita, dal piombo all'oro, dalle ceneri alla materia.

Nel 1990, in occasione di una sua grande mostra a Berlino, i giornalisti Christian Kämmerling e Peter Pursche si recarono nel laboratorio di Kiefer, a quel tempo ancora in Assia, e gli fecero un'intervista che in italiano è apparsa a stampa solo nel 2011, nel catalogo de “Il sale della terra”. Ecco che cosa diceva Kiefer del piombo:


È qualcosa come un’aura del nome. Il piombo agisce su di me più di qualsiasi altro metallo. Quando si procede oltre in quest’impressione, si scopre che il piombo è sempre stato un materiale per le idee. Nell’alchimia si trovava sul gradino più basso del processo di estrazione dell’oro. Per un verso il piombo era insensibile, pesante e collegato con Saturno, con l’uomo ‘torvo’ – dall’altro contiene l’argento e costituiva così già un primo passo in direzione di un altro piano, più spirituale.5

 

Alla domanda su come si procura il piombo in simili quantità, Kiefer rispose:

 

[K] Il tetto del Duomo di Colonia era ricoperto con questo piombo. Quando è stato restaurato l’ho comprato.

[giornalisti] Il tetto del Duomo di Colonia?

[K] Esatto. Non è assurdo? Ricoprire una cattedrale gotica con il piombo; richiudere con un’ermetica copertura di piombo quelle forme che tendono verso l’alto; poi più nessun raggio ci passerà attraverso.

 

La chiave è questa, nulla passa attraverso. Non fa passare la luce, non fa passare la vita, il grigio piombo di Kiefer non è che la metafora potente e sublime della morte, ma in ultimo, come nella metamorfosi alchemica, potrebbe lasciarci intuire e intravedere la sua trasformazione in oro, la sua via per la resurrezione.

 

PS
Quest'articolo recupera alcune parti di un mio precedente intervento sulla rivista Azioni Parallele

 

Bibliografia di riferimento

Anselm Kiefer, L' arte sopravvivrà alle sue rovine, Feltrinelli, 2018

Gabriella Belli e Janne Sirén, Anselm Kiefer. Palazzo Ducale di Venezia, Marsilio Arte, 2022

Germano Celant, Anselm Kiefer. Il sale della Terra, Skira, 2011

Anselm Kiefer. I Sette Palazzi Celesti, Mousse Publishing, 2018

 

Note con rimando automatico al testo

1 T. W. Adorno, Dialettica negativa, Torino, Einaudi, 2004, p. 326.

2 Si tratta delle righe 18-25 del testo finale, composto da 35 versi.

3 Janne Sirén, Venetiae fortis et vulnerabilis, stai in: Kiefer, Palazzo Ducale, op. cit. p. 55

4 Donald Kuspit, Lo spirito del grigio, sta in: Il sale della terra, op. cit. p. 180

5 G. Celant, Il sale della terra, Milano, Skira, 2011, pp. 141-145.

 

 

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