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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
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Testuali parole

Cataloghi, archivi, atlanti, collezioni

  

Kurt Schwitters - Merzbau, Hannover (1933) cc.by.2.0 by Cea

 

Hoarding disorder, mania da accumulo, ovvero in brutti termini medici disposofobia, è una sindrome che colpisce non poche persone, incapaci di disfarsi delle proprie cose e per questo motivo “costrette” ad accumularle in modo compulsivo. Peraltro non è facile distinguere tra chi accumula a caso e chi invece seleziona solo determinati oggetti; se i secondi sono senza dubbio collezionisti, anche i primi non possono essere completamente separati dall’idea di collezione, perché l’affinità tra le cose è comunque basata su margini discrezionali. Per dirla con Elio Grazioli, autore dell’interessante volume La collezione come forma d’arte1, gli oggetti di cui si parla sono “legati tra loro da una qualche relazione, tenuti in ordine o in un disordine relativo e significativo”, e coloro che li collezionano sono “più numerosi di quanto si pensi, piccoli e grandi, attratti da ogni tipo di oggetto, spinti da ogni genere di passione o di motivo”.2

Il collezionista raccoglie, cataloga, accumula, archivia, francobolli come automobili, che diventano parte del suo corpo e della sua stessa vita, e ne segnano spesso le tappe più significative. Nell’occuparsi di questo tema, Cristina Baldacci ha scritto Archivi impossibili3, puntando appunto sul concetto di memoria che è sotteso all’atto di archiviazione. Prima ancora di Baldacci e Grazioli, Umberto Eco – che era un consapevole ed estremo Hoarder in ambito libresco – aveva pubblicato uno spettacolare testo sulla Vertigine delle liste, ovvero su quella forma di stilema artistico che è la rappresentazione di tantissimi oggetti, elenchi o masse figurate che siano.4

Nei tre libri è assente, per motivi temporali, Damien Hirst, a mio parere autore della più spettacolare impresa da collezionista che sia mai stata tentata. Come si ricorderà, qualche anno fa Hirst presentò a Venezia una straordinaria mostra/collezione legata alla figura immaginaria di un ricchissimo collezionista del mondo antico. La nave che trasporta innumerevoli oggetti d’arte delle sue collezioni fa naufragio e Hirst ne immagina il ritrovamento oggi sul fondo del mare, creando addirittura filmati subacquei che ne dimostrano l’autenticità. A suo tempo, ne scrissi su FePdA:

Il punto di partenza è il ritrovamento di una nave antica carica di tesori d’arte collezionati da un miliardario vissuto tra I e II secolo d.C., nella cui figura si riconosce un alter-ego di Hirst stesso […] La meticolosità delle piantine di riferimento per ogni sala e la stessa presenza di una guida tascabile confermano la vis catalogatoria di Hirst, già manifesta in gran parte della sua produzione precedente. L’artista inglese è noto per le sue ossessioni e manie, tra cui il collezionismo, mentre qui conferma anche la passione per i reperti antichi …5

Il termine vis catalogatoria era una mia invenzione, piuttosto intuitiva, che purtroppo non ha fatto proseliti. Ma spiega bene, io credo, come l’Hoarding disorder possa manifestarsi non solo in un accumulo di cose indiscriminato e pericoloso per la salute mentale della vittima, ma anche in un formidabile strumento culturale. Che dire infatti della mania collezionistica che ha pervaso tanti personaggi del nostro Rinascimento? Il ricco nobile acquista o conquista decine di manufatti preziosi e li trasforma in un museo privato, destinato a stupire i visitatori ma soprattutto a soddisfare una mania possessiva. Oggi, nonostante le frequentissime dispersioni, molte di quelle raffinate collezioni arricchiscono i nostri musei e le nostre cittadine.

Nel 2017 Hirst mette forse un punto conclusivo a questa mania, producendo e mostrandoci i tesori fittizi di un fittizio collezionista. Nel Novecento, a partire dai dadaisti Kurt Schwitters con il suo Merzbau e Marcel Duchamp con la sua Boîte-en-valise, l’immagine dell’accumulo o dell’archivio era stata frequente in molteplici varianti, e negli ultimi decenni si è affermata come una efficace risorsa per molti artisti. I libri di Grazioli e Baldacci, anche se non recentissimi, vanno letti proprio per la notevole quantità di informazioni e interpretazioni su artisti contemporanei di grande interesse.

Gli oggetti collezionati e/o archiviati possono essere opera dell’artista stesso oppure di altri, possono essere nuovi o usati, possono essere di valore o di nessun valore. L’accumulo a sua volta può essere caotico e disordinato, oppure arricchirsi e proporsi in metodici strumenti di conservazione. Schwitters procedeva nel tempo e seguiva l’istinto, assemblando e accatastando, mentre Duchamp riproduceva le sue stesse opere e le faceva entrare in una valigia. Il metodo di Hirst e di molti altri è organizzato e sistematico, alla Duchamp se vogliamo, e forse si potrebbe azzardare che la gran parte degli artisti accumulatori lo siano. Personalmente trovo evidente una correlazione stretta tra l’accumulo e un qualche strumento di ordine tale da giustificare la continuità e la visibilità dell’operazione. Tralascerei allora gli accumulatori compulsivi e caotici di cose eterogenee, destinati a essere incomprensibili e indecifrabili, anche se probabilmente sono loro i veri Hoarder.

Nella prima metà del Novecento, oltre a Schwitters e Duchamp, un altro personaggio determina una tendenza artistica simile, pur non essendo un artista ma un celebre storico dell’arte. Aby Warburg è una figura di collezionista atipica, non guidata soltanto da ossessioni quantitative, ma piuttosto da maniacale perfezionismo. Membro di una famiglia di banchieri amburghesi, Warburg cedette il privilegio della sua primogenitura in cambio di denaro illimitato per l’acquisto di libri.6 Si intravede certamente l’Hoarding disorder, ma la più nota, anche se incompiuta, ricerca di Warburg, denominata Bilderatlas Mnemosyne (Atlante illustrato Mnemosine), ha caratteristiche diverse, selettive e discriminanti.7 Lo studioso individuò alcune forme costanti nell’espressione umana delle emozioni, e raggruppò in una serie di pannelli monotematici – utilizzati nelle sue conferenze - le riproduzioni fotografiche di opere d’arte di ogni tempo, allo scopo di visualizzare come quelle forme ritornassero in una statua greca, in un quadro barocco, in un balletto moderno. Alla morte di Warburg, egli aveva completato 63 pannelli per un totale di 971 immagini, ma il suo progetto era ben più esteso. Grazioli ne fornisce una bella descrizione:

Antesignano di tutta una serie di raccolte di immagini, è detto Atlante perché è un insieme di tavole a tema, composte di immagini disparate – riproduzioni di opere d’arte, dettagli, ingrandimenti, monete, tarocchi, ma anche immagini etnografiche, perfino pubblicità.8

Quello che mi interessa è sottolineare come l’impresa di Warburg, affascinante anche se discutibile all’interno della ricerca storico-artistica, abbia connotazioni fortemente soggettive, non a caso colte e interpretate al volo da molti suoi imitatori che rientrano più nel novero dei creatori che degli studiosi. La memoria e il gesto sono due temi infiniti, il primo intellettuale, il secondo visivo, e impregnano fortemente una notevole quantità di ricerche estetiche del secondo Novecento.

Esposizione di immagini dei coniugi Becher
cc.by.2.0 by Ian Crowther

 

Dopo la necessaria citazione di Malraux e del suo Museo immaginario (libro pubblicato nel 1947) che di fatto conferma il primario ruolo della fotografia nella sfera storico-artistica, negli anni Sessanta la coppia Bernd e Hilla Becher segna una strada strettamente vconnessa alla catalogazione, trasformando la fotografia documentaristica in una imprevedibile forma d’arte. Dal 1963 iniziarono ad esporre le loro fotografie, che poi finirono per creare il ciclo Anonyme Skulpturen. Eine Typologie Technischer Bauten 9(seguito da una notevole ulteriore quantità di cicli più specifici), segnato nel corso degli anni da un incredibile successo di critica e sfruttato da una infinita scia di imitatori. L’Hoarding disorder è ben visibile anche qui, in particolare per il numero impressionante di immagini intavolate pagina per pagina. Sono edifici industriali in paesi diversi: il serbatoio d’acqua o il cementificio, fotografati in un nitido bianco e nero che aggiunge ulteriore neutralità alle forme, acquistano e conquistano la dimensione dell’architettura, rivelandoci una precisa tipologia funzionale ripetuta in luoghi lontani tra loro. La sequenza di fotografie accostate si trasforma in un originale nuovo strumento di conoscenza, e da qui sconfina nella categoria dell’arte. Ulla e Bernd Becher sono oggi visti tra i pionieri non solo di un certo tipo di neutrale espressione fotografica, ma anche di varie correnti d’arte contemporanea.

Questa breve ricerca di pionieri, capostipiti e maestri da accostare a Warburg e ai Becher, non può che condurre a un altro tedesco, Gerhard Richter, a mio parere il più importante pittore tanto del secondo dopoguerra quanto dell’inizio del XXI secolo. Richter, ancora attivo nel 2022 nonostante i 90 anni compiuti, ha scelto palesemente di dipingere tutto, ovvero di affrontare tutte le forme possibili di pittura sia a livello tecnico sia a livello di contenuto secondo una sorta di metodo combinatorio. Ma in quanto Hoarder, Richter è anche l’autore di un colossale progetto denominato Atlas (forse in omaggio, anche se non dichiaratamente, proprio a Warburg). L’Atlas copre quarant’anni di vita del pittore ed è stato concluso nel 2013; consiste di centinaia di pagine costituite da fotografie di luoghi, oggetti, disegni, quadri, un’autentica autobiografia per immagini. Scrive Grazioli che

L’aspetto più interessante è come l’Atlas contenga in sé diversi modelli di raccolta, e non si attenga a uno solo, omogeneo. C’è un po’ dell’album di famiglia nelle immagini private, c’è l’album di ritagli, c’è lo studio di dettagli di proprie opere […]
Da un lato c’è il diventare tutto immagine, per cui l’iconografia cerca la ricorrenza delle stesse immagini o di dettagli come segno identificativo al di là del suo contenuto manifesto; dall’altro c’è il viaggiare […], dall’altro ancora c’è il lato personale dell’appropriazione, l’intrecciare il proprio dentro a ciò che è pubblico e condiviso.10

L’Atlas di Richter è in commercio, vari costosi volumi di grosse dimensioni, ma è consultabile anche sul suo omonimo impressionante sito web, che viene aggiornato meticolosamente ed appare sterminato, come del resto è sterminata la produzione pittorica del maestro. Questa sorta di colossale monumento a se stesso non deve far pensare soltanto ad un’autocelebrazione, quanto piuttosto ad una compulsiva necessità diaristica, che probabilmente consente a Richter di sentirsi concluso, definito, intero. Ha scritto Baldacci:

La più imparziale, e per questo più corretta, interpretazione di Atlas riguarda la sua importanza come depositario di una memoria artistico-culturale. Memoria sia personale, perché le tavole fotografiche ci conducono in un viaggio attraverso tutto ciò che Richter ha realizzato, ma anche tutto ciò che è rimasto allo stato di idea (Atlas è perciò anche un archivio del non realizzato), sia collettiva, perché le tavole richiamano non solo la tradizione pittorica – con la classica suddivisione in generi (ritratti, nature morte, paesaggi, vedute urbane ecc.) – e l’arte del Novecento – da Duchamp e i dadaisti fino al Postmodernismo e forse anche oltre, con le nuove possibilità offerte dalle tecnologie digitali – ma anche un immaginario visivo che ci è famigliare come specchio del mondo e della società in cui viviamo.11

Altre figure notevoli relative alla vis catalogatoria, anche se non sempre famose, sono Hanne Darboven, Marcel Broodthaers, Hans Haacke, cui Baldacci dedica appositi capitoli del suo libro, insieme anche a Christian Boltanski, l’autore a Bologna di quel singolare e stupefacente archivio frammentario dei resti del disastro aereo di Ustica. Da parte sua, Grazioli ricorda e commenta tra gli altri l’attività di Hans-Peter Feldmann e Maurizio Nannucci, e sottolinea il ruolo storico di Andy Warhol e Robert Rauschenberg.

Accumuli, archivi, collezioni … tutti richiedono un sistema di catalogazione che corrisponde alla lista degli oggetti accumulati, archiviati, collezionati. Ma se la collezione è una forma d’arte, anche la lista lo è? A questa domanda ha risposto lo strepitoso volume di Umberto Eco, del quale ho già in passato fornito una mia lettura:

Il testo di Eco non è infatti uno studio sulla tassonomia o sulla necessità classificatoria della cultura, ma piuttosto uno studio sulla capacità umana di percepire lo spazio e il tempo in modo discreto, cioè puntiforme, cioè non continuo. Le folle festanti nei grandi quadri commemorativi diventano elementi della celebrazione, in quanto composte dai corpi dipinti di mille e mille persone; e ugualmente la folla che segue Cristo nell'ascesa al Calvario può essere composta dalle puntuali personificazioni del male. Questi insiemi sono finiti, ma vogliono apparire infiniti. La semplice ripetizione non vale, e tanto il poeta quanto il pittore hanno cercato nella sottigliezza delle piccole variazioni una chiave esecutiva.12

Per concludere, non resta che concentrare la nostra attenzione sull’importanza che gli accumuli hanno nella dimensione digitale; è quasi banale sottolineare che il WorldWideWeb è la nuova borgesiana biblioteca di Babele, tanto per i testi contenuti quanto per le immagini. Una ricerca per parole su Google nella sezione “immagini” produce una risposta che fa sbiadire gli studi dei nostri artisti: migliaia di immagini si affollano sullo schermo, connesse tra loro da uno spunto, da un vocabolo, spesso da un equivoco, in un montaggio senza fine. La forma più verosimile di un mondo illimitato e indecifrabile.

 

 

Note con rimndo automatico al testo

 

1 E. Grazioli, La collezione come forma d’arte, Johan & Levi, 2012

2 Grazioli, op. cit., pag.9

3 C. Baldacci, Archivi impossibili, Johan & Levi ed., 2016

4 U. Eco, Vertigine della lista, Bompiani, 2009.

5 Vedi online su FePdA, Something rich and strange. I tesori di Hirst a Venezia, 30 maggio 2017

6 L’acquisto di migliaia di volumi portò alla fondazione di una biblioteca che tuttora esiste, a Londra, enormemente ingrandita dai successori di Warburg, ma comunque basata sulle sue scelte.

7 Si veda il mio articolo Aby Warburg, Mnemosyne su Fogli e Parole d’Arte del18 settembre 2020

8 Grazioli, op. cit., pag. 36

9 Hilla e Bernd, Becher, Anonyme Skulpturen. Eine Typologie Technischer Bauten, Art Press Verlag, 1970. In commercio esiste attualmente un suo quasi-facsimile dal titolo di Typologies.

10 Grazioli, op. cit., pp. 61-62

11 Baldacci, op. cit., p. 114

12 Vedi la mia recensione al libro su Fogli e Parole d’Arte, 25 marzo 2013.

 

 

 

 

 

 

 

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