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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

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Testuali parole

Senza mura. Sui confini della multimedialità

 

 

Tra gli avvenimenti che hanno segnato il ventesimo secolo occupano sicuramente un posto di rilievo l'avvento e la rapida e capillare diffusione dei mezzi di comunicazione di massa. La fase di sviluppo, iniziata agli inizi del Novecento con la produzione di massa, crea infatti i presupposti non soltanto tecnologici ma anche sociali e culturali per l'affermazione presso il grande pubblico oltre che della stampa - che già nell'Ottocento aveva avuto la sua grande stagione - anche del cinema e della radio e, più tardi, della televisione. Lontani dalle condizioni in cui si impone uno sviluppo in costante accelerazione - che per lungo tempo esclude ogni sguardo retrospettivo - dei media, la loro introduzione è diventata oggetto di tematizzazioni culturali solo dopo aver trovato spazio nella vita quotidiana delle masse, laddove una supposta neutralità delle tecnologie, insieme ad una disponibilità sempre meno costosa delle stesse, ha scavato le abitudini dei fruitori, diventati in seguito consumatori in tempo reale, oggetto di indagine statistica sui consumi al fine di adeguare l'offerta alla domanda. Il contributo presenta alcune tappe del percorso verso la multimedialità, investigando tempi e spazi artistici e museali.

 

 

  1. Alcuni precedenti: Benjamin e Moholy-Nagy

Poche righe dopo aver presentato la scintilla di casualità, l'hic et nunc con cui la realtà ha strinato il carattere dell'immagine, Walter Benjamin scrive:

 

"La natura che parla alla macchina fotografica è diversa rispetto a quella che parla all'occhio; diversa anzitutto perché a uno spazio intessuto consapevolmente dall'uomo ne subentra uno elaborato inconsciamente." (Benjamin: 17)

 

Il testo Piccola storia della fotografia, scritto su committenza alla fine del 1931, segna con particolare evidenza l’interesse del filosofo berlinese nei confronti delle tecnica fotografica, già incrociata al tempo del suo lavoro di raccolta di materiali per i Passagen-Werk e al centro della riflessione sulla riproducibilità tecnica che darà i suoi risultati nell'Opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, pubblicato quattro anni più tardi. Il testo in questione fa leva sulla possibilità di emersione di un inconscio ottico se stimolato dall'impiego della tecnologia fotografica, in accordo alla creazione di un nuovo ambiente che non parla più ai soli sensi, ma si rivolge al corpo per intero.

Se l'approccio cultural benjaminiano si limita al tema della manipolazione delle immagini, l’artista ungherese Moholy-Nagy è mosso dalla rifondazione dell’arte sull’educazione estetica, intesa come educazione all’uso dei sensi. La riproducibilità, non più condizionamento, si fa condizione e diventa luogo di produzione in grado di offrire una risposta adeguata alle sfide percettive poste dalla modernità. Non sorprenda la sua proposta per un uso creativo - non più ricorsivo - della tecnologia: Moholy-Nagy insegna infatti al Bauhaus - la scuola è il luogo dell’artista il cui compito sociale è l’insegnamento. Ne viene fuori un costante ottimismo nei confronti della possibilità di un uso estetico e umanistico della tecnologia.

 

Con l'invenzione del procedimento tipografico e delle macchine rotative a forte tiratura oggi quasi tutti sono in grado di procurarsi libri. Anche la possibilità di riprodurre creazione di armonie cromatiche, quadri, permette a molti, già nella loro forma attuale, l'acquisizione di stimolanti conformazioni cromatiche ottenute per sovraimpressione (riproduzioni, litografie, collitipie ecc.), anche se un servizio di trasmissione via radio delle immagini come fonte di una diffusione più ampià, è probabilmente di là da venire. Oltre a ciò sussiste la possibilità di raccogliere diapositive a colori proprio come si fa con i dischi. (Moholy Nagy: 26)

 

I media propongono dunque immagini, concezioni, rappresentazioni della realtà che possono influire sui processi in virtù dei quali ciascun membro del pubblico costruisce il proprio sapere sul mondo. A questi concetti (immagine, concezione, rappresentazione e altri analoghi) viene generalmente attribuito un significato comune che il più delle volte rimane implicito e che invece è necessario esplicitare e specificare in relazione alle funzioni che implica e, soprattutto, alle molteplici dimensioni dell'esperienza individuale e sociale che coinvolge nella pratica quotidiana degli individui. Il caso del museo offre un importante termine di riferimento per non limitare la tecnologia alla funzione di riproduzione: in termini di creatività infatti è stato possibile parlare a più riprese di creazione di ambienti digitali in grado di funzionalizzare conoscenze solitamente ridotte a pezzi da museo. A partire da alcune lucide considerazioni di Marshall McLuhan viene dunque elaborato un piccolo percorso sulla multimedialità quale spazio senza mura.

 

  1. La posizione di McLuhan

L’autore canadese si riferisce al villaggio globale per indicare un mondo in cui - grazie ai media che costituiscono gli strumenti di una nuova diffusa e potentissima sensorialità - tutti possono essere informati su tutto, così come accadeva nelle società semplici dove erano i rapporti interpersonali diretti a garantire la comunicazione e, quindi, la circolazione delle informazioni e la conoscenza delle cose e degli eventi. Un mondo dove i media hanno annullato l'esistenza dello spazio fisico, con implicazioni culturalmente e socialmente rilevanti.

Un passo decisivo per cogliere questo annullamento della dimensione spaziale a sostegno di una informazione capillare - laddove l’oggetto scompare al cospetto dell’informazione elettrica - è proprio in conclusione del capitolo dedicato al grammofono, il pezzo della nazione.

 

Un breve riassunto degli avvenimenti tecnologici che concernono il grammofono potrebbe essere questo: telegrafo tradusse la scrittura in suono, fatto questo che ha diretto rapporto con le origini del telefono come del grammofono. Dopo il suo avvento le sole mura superstiti erano quelle della lingua, facilmente scavalcate dalla fotografia, dal cinema e dalla telefoto. L'elettrificazione della scrittura fu un passo avanti nello spazio auditivo, e non visivo, importante quanto quelli percorsi successivamente dal telefono, dalla radio e dalla tv. Il telefono: discorso senza mura. il grammofono: auditorio senza mura. La fotografia: museo senza mura. La luce elettrica: spazio senza mura. Il cinema, la radio, la tv: aula scolastica senza mura. La figura del primitivo raccoglitore di cibo ricompare assurdamente come raccoglitore di informazioni. In questo ruolo l'uomo elettronico non è meno nomade dei suoi antenati paleolitici. (McLuhan: 255/6)

 

Siamo di fronte ad un passaggio decisivo, con McLuhan che finisce col posizionare il medium quale estensione dell’uomo: la percezione trova spazio sul corpo stesso dell’individuo, non è più limitata ai soli sensi ma viene incoraggiata dall’ambiente che lo circonda. In accordo alla scheggia testuale presentata, la fotografia anticipa dunque le condizioni che saranno poi dei musei, definendo la ricorsività della proposta tecnologica. Ed è proprio lo stesso McLuhan a porsi in continuità di quanto elaborato nel corso di una conferenza che ha per tema il museo elettronico, in cui è possibile ravvisare quei riferimenti alle eterotopie più tardi formalizzati da Michel Foucault:

 

Forse quella attuale potrebbe eessere considerata l'epoca dello spazio. Viviamo nell'epoca del simultaneo, nell'epoca della giustapposizione, nell'epoca del vicino e del lontano, del fianco a fianco, del disperso. Viviamo in un momento in cui il mondo si sperimenta, credo, più che come un grande percorso che si sviluppa nel tempo, come un reticolo che incrocia dei punti e che intreccia la sua matassa". (Foucault: 19)

 

Michel Foucault tiene questa conferenza proprio nel 1967, per la precisione il 14 marzo presso il Cercle d'études architecturales - la stessa sarebbe rimasta inedita fino al 1984 per trovare resa italiana nella traduzione Spazi altri. I luoghi delle eterotopie. Proprio nello stesso anno McLuhan tiene un seminario presso il Museum of the City of New York, tra il 9 e il 10 ottobre 1967 - tradotta in italiano da Donatella Capaldi nel testo Il museo elettronico. Un seminario con Marshall McLuhan. L’avvolgente continuità del pensiero dei due autori assegna allo spazio una funzione determinante nell’indicare il posizionamento dei corpi nell’ambiente, come dimostra il caso del pubblico in un museo:

L’effetto che l’artefatto o l’oggetto produce sul pubblico è un effetto ambientale: il pubblico è dopo tutto è l’ambiente con cui l’artefatto e il museo devono interagire. Il pubblico è il suo intorno: il nuovo ambiente per l’artefatto. (Capaldi: 128)

La posizione del mediologo canadese è così riassumibile: l'immersione psico-sensoriale nell'ambiente dei new media, dove avviene un continuo processo di trasformazione e ri-mediazione sostanziale degli old media verso la simultaneità temporale e la sinestesia, resta prevalentemente inconscia. La virtualizzazione immersiva - in accordo ad una terminologia più attuale come dimostrano le tantissime immersive experience in cui la tecnologia viene impiegata per estetizzare il già noto attraverso la sua riproduzione - satura l'ambiente ostacolando il riconoscimento consapevole delle diverse disposizioni percettive e dei modelli dei media, che richiede invece apprendimento e allenamento.

 

L'educazione basata sul concetto è la vecchia strada, e oggi ci stiamo indirizzando verso il percetto. Allenare la percezione: ritengo che il mondo dei musei nel suo complesso possa condividere questo orientamento. [...] L'idea di allestire una esposizione che ponga solo domande forzerebbe la gente a guidare e se possibile toccare. (Capaldi: 136)

 

In questo senso, McLuhan propone un netto ripensamento del rapporto tra pubblico e ciò che esso è invitato a visitare: va cambiato radicalmente l'orientamento classico dell'esposizione, che propone come centrali gli oggetti disponendoli nelle teche o sulle pareti - i pezzi da museo - e prefigurando una serie di movimenti obbligati nello spazio:

 

Il nostro pianeta è diventato il contenuto di un artefatto. Uno degni aspetti che non notiamo negli artefatti è che essi creano ambienti. Le automobili creano un ambiente specifico. L'ambiente della radio è completamente diverso da quello della televisione. I veri artefatti creati dall'uomo sono gli ambienti, non gli oggetti contenuti in un ambiente. Quando dico veri, intendo dire veramente reali, potenti. E questi sono invisibili. Per ragioni biologiche e fisiologiche la gente non vede mai l'ambiente, ma sempre e solo il contenuto dell'ambiente" (Capaldi: 167)

 

Il dialogo tra McLuhan e Harley Parker è decisamente vivace ed arriva ad affrontare la ridefinizione degli spazi museali in seguito ad una mediamorfosi che possa determinare tempi e spazi nuovi. In questo senso la riproducibilità tecnica offre la possibilità di comparare opere differenti ed epoche lontane, e quindi può coniugare più facilmente l'arte contemporanea con l'heritage coltivando il dialogo fra culture diverse e agli antipodi, in accordo ai confini del villaggio globale. In altre parole, offrendo nuove modalità di esplorazione dei particolari dell'immagine, le tecnologie danno impulso all'operazione sul passato fornendo prospettive diverse; e nei musei la telematica rende effettivamente possibili le ricostruzioni di percorsi e movimenti artistici senza il vincolo della fisicità delle opere, in modo simile a quanto si è già realizzato nel rapporto con la musica.

 

  1. Dai ciber-musei…

Siamo dunque arrivati alla definizione di musei virtuali, come presentati nel percorso didattico a misura di musei delineato da Maria Vittoria Marini Clarelli nei suoi testi sulla museologia e sulla didattica museale.

I ciber-musei sono banche di immagini digitali che possono crescere illimitatamente ed essere combinate secondo varianti potenzialmente infinite. Si discute ancora se si possano considerare musei ma certamente è lecito parlare di almeno una forma museale: gli oggetti non coincidono con le cose, e la natura di riproduzione non è di per sé un ostacolo - come non lo era per le gipsoteche. Tuttavia i ciber-musei hanno senso solo se esistono musei per le cose, dei quali sono rappresentazioni, estensioni, varianeti, alternative. Preconizzato dal museo immaginario di Malraux, il museo digitale è fatto di relazioni a distanza e per questo è l'unico condivisibile dalla società globale ma, se i musei delle relazioni dirette fra persone e cose non esistessero più, sarebbe solo il loro cimitero. [...] Questo non-luogo, in cui tutto potrebbe teoricamente confluire, è sicuramente in grado di migliorare i rapporti intermuseali, creare forme di condivisione delle collezioni, stabilire inediti legami con gli oggetti extramuseali e così via. Può avere anche la sua autonomia quando riguarda oggetti nuovi come le forme d'arte digitale o i prodotti materiali delle tecnologie. (Marini Clarelli: 198)

 

Le ultime tendenze dell'arte contemporanea vedono sempre una maggiore interazione tra la creazione e la fruizione dell'opera, tra lo spazio dell'arte e quello della vita. Così, il ruolo dello spettatore diventa parte integrante dell'opera, a volte ne determina l'esistenza. Anche la storica distinzione tra spazio della creazione e spazio della fruizione è così definitivamente superata. Questo accade ad esempio nell'esperienza di Studio Azzurro, un percorso composito e interdisciplinare che attraversa le arti visive, il teatro, il cinema, la musica, l'architettura, l'urbanistica, il design.

 

  1. a Studio Azzurro

Il gruppo milanese ha infatti prodotto un'arte che, pur utilizzando le elaborate e moderne tecnologie, ha conservato uno spirito antico, un'arte comportamentale che risulti come esperienza collettiva da condividere: i media vengono utilizzati in modo emozionale, creando un corpo a corpo tra opera e spettatore, all'insegna di una sensibilità diffusa che assunto una forma più esplicita a partire dagli ambienti sensibili, installazioni interattive che hanno inaugurato un nuovo modo di pensare l'arte digitale. Sensibilità dell'artista, dello spettatore e dell'opera, per la prima volta inserite in un flusso relazionale che tende ad abbattere confini fisici e mentali.

Prima di continuare con l'esperienza di Studio Azzurro, è opportuno inserire - a mo' di delucidazione critica - un passaggio da Boris Groys sul tema delle installazioni. Infatti, laddove l'attivazione di una dimensione rituale partecipativa restituisce all'arte quella dimensione auratica che Benjamin considerava perduta proprio con l'avvento della tecnologia riproduttiva

 

Nel contesto della cultura contemporanea l'immagine passa incessantemente da un medium all'altro e da un contesto chiuso all'altro. [...] Assumendosi la responsabilità estetica del design dell'installazione in modo esplicito, l'artista svela quella dimensione sovrana occulta dell'ordine democratico contemporaneo che la politica cerca quasi sempre di nascondere. Nello spazio dell'installazione ci confrontiamo con l'ambiguità del concetto di libertà che è oggi funzionale alle nostre democrazie, sospese fra libertà istituzionale e sovranità" (Groys: 44)

 

Questa osservazione di Groys fa il paio con la responsabilità ed etica dell'artista nell'ambito della produzione, specie se mediata dalle tecnologie. Anche le accademie di Belle Arti in Italia si sono dotate di strutture e didattica adeguate alla definizione tecnologica dell'ambiente artistico: la misura dei loro interventi sta nel coinvolgimento diretto del pubblico grazie alla definizione di un ambiente sensibile alla sua presenza. Come per l'esperienza di studio Azzurro - ricorda Bruno di Martino - l'immagine del supporto materiale della rappresentazione viene completamente sostituita dall'immagine di un piano trasparente, attraverso il quale noi crediamo di guardare uno spazio immaginario che include tutti gli oggetti disposti in apparente successione.

 

Si trova nel legame indissolubile tra il corpo e lo spazio proprio della nova modalità rappresentativa dell'arte moderna; nell'instaurazione di un rapporto entropico fra questi due elementi (il corpo non potrà crescere senza che lo spazio cresca in egual misura); nella concezione dell'arte come maniera di rievocare la realtà attraverso un'illusione, un aritficio naturale che si fonda gran parte dell'estetica di Studio Azzurro. Va dunque letta in parallelo l'evoluzione del dispositivo prospettivo avvenuta tra il XIV e il XV secolo, con la trasformazione del dispositivo tecnologico legata alla rappresentazione delle immagini in movimento avvenuta nel XX secolo e oltre. Il dispositivo non è un medium, un apparato tecnologico, un contenitore di immagini, un sistema di segni ma diviene la forma simbolica che condiziona tutti gli elementi in gioco e instaura una nuova visione del mondo e delle cose. (Di Martino: 14)

 

Fa eco a quanto rivolto all'esperienza di Studio Azzurro la stessa riflessione di un video artista come Bill Viola, il quale affianca alla coprosa produzione artistica una densa riflessione concettuale, come nel testo Nero video. La mortalità dell'immagine. Ancora una volta il riferimento al pictorial di epoca medioevale funziona per rievocare la storicità della percezione delle immagini. Stavolta l'autore statunitense di origini italiane ricorda come è:

 

Il tempo stesso divenuto la materia prima dell'arte dell'immagine in movimento. La liberazione dell'immagine nel tempo è stata un processo graduale e i suoi effetti permeano l'arte e la cultura del tardo XX secolo, travalicando i confini della forma cinematografica convenionale e contribuendo a dismettere il modello compositivo dominante di narrazione drammatica. Potenzialmente, questo capitolo della Storia dell'arte si rivelerà importante quanto lo è stata in origine l'introduzione dello spazio tridimensionale in pittura. Senza dubbio gli osservatori futuri gioficheranno goffi e infantili i primi esempi di arte visiva a carattere temporale del XX secolo, almeno quanto lo sembrano all'occhio moderno i primi tentativi del pittore medievolare verso la rappresentazione tridimensionale (Viola: 34)

 

  1. Conclusione

La radicalità della posizione di Studio Azzurro smentisce la funzione della tecnologia ridotta a simulazione sulla rete della spazialità degli ambienti (come accade nei siti dei musei che riproducono virtualmente in 3D i percorsi del visitatore dentro il museo, in accordo alla definizione museologica di ciber-musei). In altre parole, il museo deve rimanere museo: tutto ciò che è fisico va rimandato a un luogo in cui la fisicità è davvero messa in gioco e valorizzata. Al contrario, vanno incoraggiate esperienze che non sono realizzabili fisicamente: grazie alla rete si generi dunque uno spazio inedito per l'esperienza dell'arte e la sua necessità di recuperare il contatto con persone e territorio:

 

Per far emergere la potenzialità raffigurativa del museo è utile farsi auiutare dalla memoria storica. [...]In accordo ad un impatto miltisensoriale, è possibile oggi sviluppare questa idea con le tecniche e il linguaggio della narrazione cinematografica e multimediale, producendo esperienze immersive del visitatore nelle storie del nostro mondo, nelle storie della nostra storia. [...] Raccontare con le nuove tecnolgie signfica creare una narrazione intorno a dei soggetti precisi ma significa anche raccoltare la tecnologia stessa realizzando una sorta di metalivello: intervenire sulla modalità oltre che sul contenuto va incontro anche a quell'esigenza di formazione permanente delle persone, speice nel campo esponenziale delle nuove tecnologie. Insomma, con l'impiego di queste tecniche, i musei diventano luoghi in cui il pubblico può depositare pezzi importanti di memoria, possono diventare luoghi in cui non si custodisce soltanto la parte storico-scientifica dei curatori del museo ma si offre la possibilità ai visitatori, alla comunità che ospita quello spazio, di depositare la propria testimonianza e di forumlare le proprie ipotesi all'interno del museo stesso. (Rosa-Balzola: 133)

 

Il passaggio dal museo di collezione al museo di narrazione misura l'intervento della tecnologia nel disporre dei materiali oggetto di fruizione: un tacito accordo tra le intuizioni di McLuhan e la pratica intermediale di gruppi come studio Azzurro dimostra come la mediamorfosi possa raggiungere l'accoglienza e l'adattività tra pubblico e ambiente, senza mura.

 

 

Bibliografia

Aa. Vv., Studio Azzurro. Videoambienti, ambienti sensibili, a cura di Bruno di Martino, Feltrinelli: Milano, 2007

A. Balzola – P. Rosa, L’arte fuori di sé: manifesto per l’età post-tecnologica, Feltrinelli: Milano, 2010

W. Benjamin, Piccola storia della fotografia, Abscondita: Milano, 2015

D. Capaldi., Il museo elettronico. Un seminario con Marshall McLuhan, Meltemi: Milano, 2017

M. Foucault, Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Mimesis: Milano, 2001

B. Groys, Going Public, Postmedia Books: Milano, 2013

M. V. Marini Clarelli, Il museo nel mondo contemporaneo, Carocci: Roma, 2011

M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il saggiatore: Milano, 1967

B. Viola, Nero video: la mortalità dell’immagine, Castelvecchi: Roma, 2016

 

 

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