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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Testuali parole

Smontaggi e montaggi tra sangue e luce.

La scena è vasta, nuda, buia. Nel silenzio cominciano a scorrere mute le immagini del film di Pasolini ‘Passione secondo S. Matteo’, con il loro nitore alla Piero della Francesca. Sulla moquette grigio scuro del palco, tutto in nero, illuminato dal biancore dei fotogrammi giganti, silente equivalenza del biancore cristico (figlio, figlio giglio direbbe Jacopone), a terra, un quadrato nel quadrato, una zona geometrica, rituale, con sparsi sassi e ciotole. Un luogo geometrico dei primordi. Dai due angoli del fondo scena escono Fabio Traversa e Marco Palladini, dimessi, silenti, pantaloni e camicia bianca, fogli in mano. Comincia il prologo di ‘Il Vangelo secondo Pier Paolo – Partitura scenica da Pasolini, di Marco Palladini, in scena il 29 ottobre 2010 nel suggestivo nuovo spazio del Teatro Centrale Preneste, in sintonia con il dilagare in tutta Roma di ritorni sull’autore, in celebrazione del trentacinquesimo anniversario della scomparsa. Nel prologo sentiamo le parole di Pasolini motivare la sua poesia come interrogazione marxista ed esistenziale sul ‘Mondo-Cristo-Croce-Demone. Sul senso del proprio esistere, in definitiva. Ragione marxista, ragione critica, e passione-ideologia, cozzano nell’impulso carnale, nel sangue che preme, nell’irresolubilità dell’esistere forzatamente ereticale, martire, cristico; si fanno stupore lancinante per la contraddizione, e tali ritornano in uno dei pochi altri pezzi di prosa, montato alla fine della parentesi poetico cristica, prima della coda delle poesie-invettiva, del cristico definitivo rifiuto del mondo come non luogo del qui e ora dell’eros-cristicità: Allah (mito dell’eros arabo contro il cattolicesimo sessuofobo) ; Alla mia nazione (leopardiana, dantesca e rimbaudiana invettiva alla terra della corruzione – ‘caserma, seminario, casino’); Un papa (contro l’insensibilità del potere all’umile e umano, e dunque contro il tradimento della Chiesa); Forse è scoppiata (contro il mondo di Hiroshima e dell’Apocalisse, il mondo della violenza); Un solo rudere (contro l’Italia decaduta e indifferente, ‘donna morta’).

E poi, dopo uno splendido lamento funebre monodico di Giovanna Marini, il giusto coronamento logico, la lode dell’ascensione di Cristo che ci rende tutti cercatori, e dunque al proprio cercare e predicare nel deserto.

Palladini infatti monta i testi - perché questa è la sua vera operazione di regia (e non è la prima volta) - per far emergere dal ‘troppo’ pasoliniano un certo filo, perché, come ama dire ‘il meglio di Pasolini lo rinvieni a togliere (e togliere molto)’. E’ un Palladini critico – benché tale si protesti sempre non essere – anche se critico sempre per verifica di una più o meno forte consentaneità e specchiabilità di percorso, che c’è da chiedersi in questo caso quanto sia tale.

Comunque, tornando al montaggio, si possono individuare tre tempi. Uno breve: l’enunciazione dello stupore della contraddizione, e della poesia come strumento-vita; uno lungo – il centro di tutto – sul contrasto tra il Cristo alterità e la vita come martirio della carne e dei sensi, giovinezza e sorgività a-cristica; ed una coda dove l’alterità cristica e il martirio sensuale del qui e ora si saldano nel rifiuto ereticale coscientemente e ‘decadentemente’ assunto come destino di uomini postumi. Chiude il breve epilogo di cui detto, in lode all’ascensione di Cristo, che dissolve sulle note del De André di ‘Una storia sbagliata’. Nel montaggio poi - scarno e preciso - ruolo di sottomodulatori hanno sia gli stacchi musicali sia le poche prose rispetto al prevalere della poesia. Le prose sono cinque, le musiche sei. Ne emerge una sottoarticolazione.

Poco dopo l’ingresso nel ‘tempo lungo’ infatti, vi è uno stacco, anticipato dal canto aggressivo di Laura Betti, e seguito da una prosa (l’unica oltre al prologo e all’epilogo) che tematizza la modernità assoluta del Cristo (mite nel cuore ma non nella ragione) come icona per noi di violenta resistenza contro la grigia orgia moderna. Ciò segna il passaggio dalle prime poesie di iniziazione ‘innocente’, alla fase dello scontro-incontro tra realtà-martirio e alterità cristica.

Le musiche poi segnalano un’altra articolazione. Dopo il prologo risuona l’aria della Passione secondo S. Matteo di Bach, che fa da cornice superordinata, con il dolore metafisico e dolce, sublime, della inadeguatezza di Pietro, l’uomo semplice. Siamo nel sacro. Seguono Laura Betti, a metà sezione, e una musica da Uccellacci uccellini a conclusione della sezione, a segnare il punto di vista interno, pasoliniano, da ‘Ragazzi di vita’.

In coda alla sezione delle invettive, a riassumere il confluire del sacro nel laico protestatario politico civile, sta il lutto laico-popolare della voce di Giovanna Marini. Conclude De Andrè, per segnalare, sempre in termini laici, la condanna definitiva del mondo.

La scelta di Palladini è di far parlare i testi, di metterne in risalto la ‘voce nuda’. Perciò la recitazione è volutamente sui toni bassi della lettura: più seria, orizzontale, intima, in Fabio Traversa; con dei picchi polemici e/o romaneschi, talora tragici, in Palladini, che si intesta alcuni momenti di visionaria liricità, e i punti più proletari e polemici, tra cui l’unico recitato con personaggi, nel testo ‘Uno dei tanti epiloghi’ (da ‘Trasumanar e organizzar’). Si danno il turno.

Azioni praticamente non ce ne sono, se non il loro dislocarsi lentamente ora di lato ora dietro ora davanti il ‘quadrato primordiale’ del pavimento scena, che pure a sua volta si fa azione scenica con la sua presenza silente che attende inveramento, incombendo, e lo raggiunge nel finale, quando l’unica vera azione campeggia e si esalta, ove la parola non può ormai che tacere. I due, con un lento e silenzioso denudamento cristico, secondo uno stilema vagamente alla Delbono, offrono se stessi, a torso nudo, inginocchiati tra gli oggetti, spalmandosi a vicenda sangue da una ciotola. Vittime sacrificali, membri di una eucarestia arcaica ? Il senso resta sospeso.

Ma qual è il filo che Palladini vuol sdipanare dal montaggio dei testi, poesie di tutte le raccolte pasoliniane, ma dislocate secondo un mix incrociato ?

La figura del Cristo si sdoppia nell’itinerario di Palladini in due aspetti: il Cristo del messaggio (la dura ragione) e il Cristo del corpo, il ‘figlio giglio’ jacoponiano, la carne-figlio, il palpito del cuore.

Sicuramente il versante più innovativo è quello del Cristo intransigente, superumano, non di questo mondo, “… io non credo… sia figlio di Dio… ma credo… sia divino, cioè che in lui l’umanità sia così alta, rigorosa, ideale, da andare al di là dei comuni termini dell’umanità.”

E di fronte a tale Cristo esigente, “…la nostra serenità… è il riso dell’Anticristo… questo falso perdono (critica alla Chiesa traditrice) è una polvere dei secoli, caduta… a separarci dal cielo”.

Qui Pasolini consuona – e mi pare sia stato poco sottolineato – con un altro grande eretico della contraddizione, non a caso inviso alla sinistra conformista. Parlo del Dostoevskij dell’episodio del grande inquisitore, nei ‘Fratelli Karamazov’, il cui discorso è identico. Ma in Pasolini questo si fa maestria di poetica e visionaria intensità barocca nel cozzo delle contraddizioni, unita talvolta ad una semplicità di pronuncia ungarettiana. Si veda, per esempio, in ‘Bestemmia’, “La vita è qualcosa che non si può dare: / io l’ho data. Perciò la mia morte / non sarà pianta. E questo non è vita”. E ancora, “Perché Dio non ti dà forza ? /…/ perché non ne son degno /…/ non ho forza, perché non ho debolezza” – “Ed Egli non ti ricompensa ? Sì, maledicendomi /…/ perché io desiderassi / essere benedetto dagli uomini”. – “Perché… essi… lo uccidono ? / Perché egli mette in dubbio la vita / …chi è puro non conosce l’impurità /perciò non ha parole per gli uomini”. E ancora (da ‘Religione del mio tempo’), “Avrei voluto urlare, e ero muto; / la mia religione era un profumo /…/ e io qui, perso nell’atto”, dove è già però un Pasolini-Cristo.

Il Cristo intransigente – vittima sacrificale della propria met-umanità – è il raccordo con la lunga parte finale di invettiva politica sul tradimento (la Chiesa del perdono, l’orgia, il conformismo, l’indifferenza). Ma per poterlo essere pienamente deve ‘umanarsi’, saldarsi al Cristo che indica la vita come propria premessa – la pienezza e la pietas; pietas che, si badi bene, nel suo prevedere l’urgenza e la fragilità della finitudine, è il contrario del lassismo perdonico cattolico, anticamera dell’indifferenza e dell’italico laissez-faire.

Il Pasolini del Cristo-vita, dei fanciulli, dell’eros, delle madri nel bene e nel male. E’ il più noto, a tratti troppo avvolto in se stesso, nel proprio omo-martirismo, e nella religione del sangue e della pelle. Nel mito di un edenico mondo pre-industriale, acriticamente assunto in nome della critica dell’attualità. E’ una creaturalità tinta di quel decadentismo che pure pareva volersi scrostare di dosso. Eppure, in quanto fulcro della sua personalissima criticità, latore di versi spesso di toccante intensità, e di cui Palladini fa una bella antologia. Ne citiamo qualcuno.

Parlando dei primi amori (da ‘La religione del mio tempo’), “Mi ritrovo tenero come un ragazzo / all’entusiasmo misterioso, selvaggio” – “Il senso della vita… /…/ più cieco, se stupendamente colmo / di dolcezze. Perché a un ragazzo, pare / che mai avrà ciò che egli solo / non ha mai avuto”. – “il mistero… / … fosse al centro / della terra e del cielo; / e lì, cuore e ventre / squarciati sul lontano sentiero.

Parlando di Cristo e del dovere di esporsi, di saper vivere l’oltraggio del sentimento nudo (‘Crocefissione, da ‘L’usignuolo della Chiesa cattolica’), “Oh scossa del cuore al nudo / corpo del giovinetto… atroce / offesa al suo pudore crudo… /…/ Noi staremo offerti sulla croce, / alla gogna, tra le pupille / limpide di gioia feroce /…/ miti, ridicoli, tremando / d’intelletto e passione nel gioco / del cuore arso dal suo fuoco.”

Adombrando il fantasma dell’incesto in tutta innocenza, “Da ma’ che l’avevo capito; con queste / due parole, passarono il dolce, lo spaventoso confine.

Ma per meglio saldare la pronuncia pasoliniana a quel coacervo che è la grammatica barocco-simbolista della luce e dell’antitesi, rinverdita dall’innesto con il romanticismo-decadentismo del mito della natura e dell’eros – vorrei citare gli ultimi due pezzi.

Alla fine di Allah (rivendicazione dell’eros fanciullo), troviamo “sono venuto… a riconoscere / che il silenzio / ha la voce di un ruscello” (natura e silenzio, rivelazione, tutta la tradizione romantico simbolista dell’epifania). E poi, in ‘Forse è scoppiata’ (da ‘Poesie in forma di rosa’), “bevo l’incubo / della luce come un vino smagliante.”

Viene in mente il Baudelaire di ‘Elévation’, “Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides; / Va te purifier dans l’air supérieur, / Et bois, comme une pure et divine liqueur, / Le feu clair qui remplit les espaces limpides”.

E nella parte delle invettive viene in mente il Rimbaud bestemmiatore della marcia Europa. Forse la differenza sta nel fatto che la luce che beve Pasolini è martiricamente qui e ora, incubo da cui non fugge in un altrove.

E’ tuttavia chiaro il coinvolgimento con il filone del maledettismo, che arriva nelle vene di Palladini per il tramite della beat generation e del rock – si pensi ai suoi On the Road to Kerouac ('95), Kerouac Road & oltre ('99). Del resto in molti degli scritti di Palladini è evidente - accanto all’antagonismo resistenziale, pure parallelo in qualche modo alla parabola pasoliniana - una ossessione di resa dei conti tra irrisolta figlialità e mondo dei padri (dolente e intensa nei pezzi su Kerouac), e un parallelo tentare di tradurre l’antagonismo, pasolinianamente al di là delle ideologie, in una petizione alla eros-energia, connaturata al sorgivo e ribelle atto del essere giovani. Se dunque dobbiamo dire se questo spettacolo sia da vedersi come un omaggio critico ‘a distanza’ o una immedesimazione, tenderemmo a propendere per la seconda ipotesi, che del resto meglio rende conto dell’intenso risultato. Come dire, pasolinianamente, che la cultura non può che essere passione e ideologia.



Scheda e locandina

Il Vangelo secondo Pier Paolo, ideazione e regia: Marco Palladini.
Con Fabio Traversa, Marco Palladini
Musiche di Bach (Passione secondo S.Matteo), Laura Betti (Cristo al Mandrione), Avion Travel (Cosa sono le nuvole), Domenico Modugno (‘Uccellacci e uccellini’), Giovanna Marini (Lamento per la morte di Pasolini), De André (Una storia sbagliata).

Link del video dello spettacolo - http://www.e-theatre.it/play.php?vid=667

Cartellone

Teatro Centrale Preneste (Roma) - 29/10/2010
Teatro Studio (Scandicci) - a gennaio 2011, data da destinarsi



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