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Il reimpiego, dall'arte medievale all'arte contemporanea

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   Per muoversi con agilità nei tempi è opportuno fare appello ad una teoria della storia in grado di mettere in discussione il paradigma del moderno, una teoria della storia alternativa alla cronologia che ritma il progresso. La foglia di Mimnermo come immagine poetica1. Questa foglia, che volteggia tra giovinezza e vecchiaia, danza verso una nuova vita dopo la morte. Così la storia si libera dalla sua singolare puntualità per esprimersi nella sua puntualità plurale, volteggiando.

L'Arco di Costantino a Roma

Nel 315 d.C. venne terminata la costruzione dell'arco eretto vicino al Colosseo per festeggiare il decennale dell'Impero di Costantino; il monumento, a tre fornici con colonne sostenute da plinti su ogni facciata, è ornato da sculture che appartengono a periodi differenti; vi sono infatti statue e rilievi traianei, rilievi dell'era di Adriano e di Marco Aurelio, nei quali i ritratti degli imperatori sono stati sostituiti dall'immagine di Costantino. Anche alcuni particolari della struttura architettonica provengono da edifici precedenti. Un'esecuzione di questo tipo riflette già quello che a partire da questi anni divenne abituale, il riuso di pezzi antichi per monumenti moderni2.

Il turista distratto dal mastodontico Colosseo non prova interesse per l’arco. Eppure, questa opera può dirgli qualcosa sulle produzioni artistiche contemporanee. In effetti, la pratica del reimpiego sembra segnare la produzione di artefatti che ridisponendo i materiali hanno sapientemente indagato il crescente ruolo ricoperto dal contesto nella reciproca creazione di valori e significato.

Il reimpiego nel senso della riutilizzazione di vecchi e, per lo più, antichi pezzi in un contesto nuovo, analogo o differente, ovvero in un nuovo ordine funzionale, è ravvisabile in tutti i generi di arte, dall'architettura alla scultura, alle arti minori; abbraccia un vasto arco applicativo che arriva a comprendere sia la riappropriazione di antichi edifici nella loro interezza sia il riutilizzo di antiche opere tramite calcinazione, dunque di forme comprese nello spettro che va dal mero sfruttamento materiale fino alla riutilizzazione mirata e alla sua complessa reinterpretazione.

Nell'alto medioevo, a partire dal 7° secolo, il reimpiego venne meno a ogni regola, con una totale incomprensione del canone e la più incompleta insensibilità per le proporzioni. L'uso di elementi analoghi al contesto originario non costituì più la norma e si rinunciò, per lo più, a ogni eventuale, necessario adattamento secondo un modo di procedere non dipendente dalla mancanza di materiale antico: [...] i pezzi antichi finirono per assumere il valore di puro materiale3.

Poi, a partire dal 9° secolo si fece largo un'esigenza inedita. I pontefici non promossero più soltanto la spoliazione e la demolizione dei vecchi edifici per costruirne di nuovi, ma elaborarono alcuni provvedimenti intesi a garantire la conservazione e il decoro delle architetture e dell'assetto cittadino. Ad esempio, in alcune vie del centro storico di Roma sono sopravvissuti dei porticati al pianterreno di case private, ad attestare l'abitudine a riutilizzare marmi antichi, anche frammentati e casualmente assortiti come ornamento dei prospetti. Vennero così varati alcuni provvedimenti che miravano pertanto da un lato ad arginare l'impiego arbitrario di marmi di provenienza ignota, dall'altro a evitare il saccheggio di quelli ormai già da tempo in opera4.

La pratica del reimpiego svolse così un doppio ruolo 'costruttivo': dal lato pratico nelle ridisposizioni architettoniche, dall'altro teorico proponendo la necessità di una conservazione e tutela di quel che nel tempo sarebbe stato codificato come bene culturale.

Una lettera, ritrovata e resa nota nel 1733, scosse in profondità la cultura e le coscienze del tempo col merito di avviare il dibattito sul senso della conservazione delle antichità. Ecco il testo dell'accorato appello che Raffaello indirizzò a papa Leone X affinché si ponesse fine alla razzia che da secoli era perpetrata ai danni di Roma.

«Ma perché ci dolerem noi de' Gotti, Vandali er altri (...) inimici se quelli che come padri e tuttori deveano deffendere queste povere reliquie di Roma, essi medemi hanno lungamento atteso a destruerle? Quanti pontifici, Padre Santissimo, quali haveano el medemo officio che ha Vostra Santità, ma non già el medemo saper né el medemo vallore e grandezza de animo, non quella clementia che vi sa simile a Dio (...) hanno atteso a ruinare templi antiqui, statue, archi et altri aedifici gloriosi! Quanti hanno comportato che solamente per pigliar terra pozzolana siansi scavati fondamenti, onde in poco tempoi, poi, edificii li sono venuti a terra! Quanta calce si è fatta di statue et altri ornamenti antiqui, che ardirei dire che tutta questa Roma nova che hor si vede, quanto grande ch'ella su sia, quanto bella, quanto ornata di pallaggi, chiese (...), tutta è fabbricata di calce di marmi antichi! (...)»

Questa lettera, che si ritiene redatta da Baldassar Castiglione, amico e collaboratore dell'artista, dà conto di una delle condizioni fondamentali della salvaguardia rendendo manifesto come da un gesto esemplare abbia tratto conforto un'emergente e non più solo elitaria coscienza di tutela5. Dunque, la questione del reimpiego ha esercitato una funzione fondamentale per le definizioni della storia dell'arte durante l'arco della sua codificazione. E quanto è stato raccolto finora ha dato modo di osservare le crescenti applicazioni nell'ambito della teoria e della prassi dell'operazione del reimpiego.

L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica6, espressione di una teoria materialistica dell'arte7, nel suo fissare un prima e un dopo può aiutare a definire il campo di esistenza delle storie dell'arte considerate, rispettivamente medioevale e contemporanea. Il presente contributo vuole insistere sul cambio di materiali e contesto occorsi alla pratica del reimpiego nell'esercizio della sua funzione. Di primo acchito può apparire una considerazione fumosa. Una volta diradata la coltre sarà possibile osservare come attraverso la manipolazione campioni audio e fotogrammi video vengano reimpiegati nella prassi artistica contemporanea. Oltre al reimpiego che possiamo rintracciare ad esempio nelle opere di Robert Rauschenberg8.

 Scenografia per “Set&Reset”, Robert Rauschenberg, Teatro San Carlo, Napoli, 1987

Il testo di Benjamin presenta la questione del reimpiego declinata per le opere d'arte meccanizzate, quelle riproducibili di loro natura, e non per quelle opere inerenti ad una produzione da prima tecnica9. Dunque, segnalare la continuità storica di una pratica che tra materiale e contesto offre i riferimenti di un campo di possibilità nonché uno spazio di gioco in cui questi interventi devono esser calati.

Il reimpiego che un programma televisivo come Blob fa quotidianamente e da 26 anni degli spezzoni audiovideo che vanno in onda in televisione è la traccia più immediata cui rimandare il lettore. Possiamo introdurre a tal proposito quello che per Aby Warburg fu il meccanismo cruciale della memoria culturale dell'arte europea. Per intendere che cosa significa per Warburg Pathosformel, bisogna separare le due parole, Pathos e Formel, prima di rimetterle insieme. Pathos è, come per la tradizione antica, "un'agitazione e un impeto dell'animo" (così l'anonimo Trattato del Sublime); ad esso sono legate le nozioni di instabilità, movimento, istantaneità. Formel, al contrario, comporta fissità, ripetizione di stereotipi, iterabilità. La Formel che contiene ed esprime il Pathos è una convenzione espressiva destinata a perpetuarsi nel tempo, a passare di generazione in generazione, irrigidendosi progressivamente fino a diventare morta, inerte, infeconda. Il Pathos è istantaneo, la Formel è durevole. La formula vive e sopravvive secondo un meccanismo puramente inerziale, il pathos declina e tende a morire, eppure resta nascosto dentro la formula, ne è il centro generatore, il nucleo segreto, invisibile ma incandescente. Ma quando ricorrano determinate condizioni storiche ed elementi di contesto da analizzare di caso in caso, può accadere che lo sguardo di un artista riconosca quel pathos latente nella formula, lo faccia ri-nascere ri-attivandolo in un'opera nuova10.

Fotogramma dalla trasmissione televisiva “Blob”

E’ opportuno ricordare che la lontananza può farsi più vicina se l'oggetto richiamato appare nella sua immediatezza. La trasformazione storica del pubblico e del materiale nella mediazione dei media può lasciare intatti i rapporti operativi, una volta fatta luce sui tratti comuni dell'operazione. Inoltre, il cambiamento di patrimonio culturale e di orientamento percettivo impongono una ridefinizione di quelli che sono i materiali ed i contesti in cui queste operazioni trovano spazio. Per insistere sulla portata geoculturale di una operazione del genere ridotta a fenomeno di cultura globale, basta ricordare il reimpiego di una stessa traccia sonora sui tanti diversi video in grado di consegnare alle masse il proprio autoritratto: la traccia di suono fissato Happy, prodotta da Pharrell Williams. Allargando il campo alla storia della musica elettronica, consideriamo ad esempio le operazioni di Cage nei suoi mix11. Senza dimenticare la più recente tradizione definita da John Oswlad plunderphonics, come dire “saccheggiofonia”, parola che indica il realizzare musica manipolando fonti sonore ricavate da dischi di altri musicisti. Una definizione, ispirata in parte al concetto di "cut up" dello scrittore William Borroughs, ben espressa dal musicista durante un'intervista avvenuta nel 1988: «Un plunderphone è una citazione sonora riconoscibile, che presenta effettivamente il suono di qualcosa di familiare che è già stato registrato... 12»

Senza far scemare la nostra attenzione per il visuale, si potrebbe far riferimento a quella pratica di montaggio in azione nella complessa opera Histoire(s) du cinéma del regista francese Jean-Luc Godard. Un film realizzato montando filmati tra il 1989 e il 1998, che celebra la fine del XX secolo e della forma artistica che meglio lo rappresenta: il cinema. Si tratta di una vera e propria “opera d’arte”, difficile da catalogare facendo ricorso a schematizzazioni troppo rigide: le Histoire(s) du cinéma non sono né un film, né un esempio di videoarte, sono forse piuttosto un incrocio fra le due cose, un grande omaggio al cinema, comunque.

E’ potente, ineludibile il senso “della fine” che pervade il lavoro di Godard: un secolo è giunto brevemente al suo termine e con esso è finito un certo tipo di cinema che nelle Histoire(s) corrisponde essenzialmente con l’aspirazione alla testimonianza, di cui la settima arte si era fatta carico a partire già dai primi lavori dei fratelli Lumière, come per esempio L’uscita dalla fabbrica, del 1895; sono esauriti un certo modo di raccontare e interpretare il cinema e, allo stesso tempo, soprattutto, la modalità specifica in cui “quel” cinema aveva configurato il mondo13.

Il reimpiego è dichiarato già nel titolo, con le storie del cinema elevate ad archivio. Conservando questa chiave di lettura diventa in questo modo possibile il passaggio dal cinema militante al video militante. La tecnica più accredita per praticare la guerriglia televisiva o contro la Tv è stata lo zapping, trasposto dal cut up letterario di William Barroughs ai programmi televisivi. Accumulare frammenti è stato, alle origini del video, accanto alla ripresa in tempo reale (della durata equivalente alla lunghezza della bobina), il procedimento più comune (riunire oggetti disparati in un posto unico). Nello strappare una sequenza da un contesto e mescolarla con altre prese da contesti diversi, si declina una pratica propria e specifica del dispositivo elettronico, il frammento che compone un nuovo discorso a partire dalle estrapolazioni effettuate in direzione, all'origine, comico-dissacrante - antitelevisiva, radicale ed eversiva - e poi semplicemente formale e spettacolare. S'installa con il dispositivo elettronico l'archivio come repertorio da cui prelevare immagini, in direzione di una neutralizzazione della differenza fra reale e simulacro oltre che fra i generi. Proprio perché effimera, la televisione basata sulla messa in onda dei programmi ha promosso, di converso, il sistema dell'archivio, ovvero della conservazione per successive repliche dello stesso programma14. Si faccia riferimento alla funzione replay, attualmente tanto incensata, che permette l'audio-visione in streaming; ed eccoci ritornati a Blob.

Resta da chiederci cosa muove il reimpiego, inteso tanto come soggetto quanto complemento oggetto della precedente frase. Infatti, la questione delle motivazioni del reimpiego e della connotazione delle 'spoglie' sono assai varie e possono coesistere tra loro in diverse combinazioni e con differente accentuazione. Tra le ragioni del reimpiego la prima è quella del puro valore materiale: quando si è circondati dalle rovine è comodo poter disporre di pezzi già pronti per nuove costruzioni e, in senso puramente materiale, il reimpiego è esistito in ogni epoca. [...] Oltre a questo motivo, pur se spesso in stretta connessione, sussistono ragioni di valutazione estetica in base alle quali la bellezza della forma, il pregio del materiale sono intenzionalmente esibiti ed ostentati nel reimpiego. [...] In ogni caso la semplice disponibilità del pezzo antico spesso non ne spiega il reimpiego: essa è un presupposto necessario, ma il più delle volte non sufficiente. Più interessante dell'offerta è, anche in questo caso, la domanda, poiché essa rende visibile la percezione, la sensibilità, il programma che conferisce al reimpiego un significato, una dimensione spirituale: l'antichità, una volta riusata, dona alle costruzioni, oltre alla bellezza e alla sontuosa monumentalità, anche quella patina di antico che ne accresce il rango15. Se questo è vero per la storia dell'arte medioevale, è vero solo in parte per la storia dell'arte contemporanea, che ha visto insediarsi altri valori a suo sostegno.

Appare quindi stimolante segnalare la continuità di una pratica che ha resistito intatta16 pur cambiando i materiali oggetto della manipolazione.

 

 

Riferimenti bibliografici

Aa. vv., Enciclopedia dell'Arte Medioevale, Treccani, Roma 1998, vol. IX;

W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, a cura F. Desideri, trad. it. M. Baldi, Donzelli Editore, Roma, 2012;

F. Bottari, F. Pizzicannella, I beni culturali e il paesaggio. Le leggi, la storia, le responsabilità, Zanichelli, Bologna, 2007;

J. Cage, Lettera ad uno sconosciuto, a cura di R. Kostelanetz, trad. it. F. Masotti, Edizioni Socrates, Roma, 1996;

A. Cervini, Fine e rinascita del cinema. Sulle Histoire(s) du Cinema di Jean-luc Godard, secondo numero di Mantichora, Messina, 2002;

P. De Vecchi, E. Cerchiari Necchi, Arte nel tempo. Dalla Preistoria alla Tarda Antichità, Bompiani, Milano, 1991;

A. Di Scipio, Tecnologia dell'esperienza musicale nel Novecento, in A. Di Scipio, Pensare le tecnologie del suono e della musica, Editoriale Scientifica, Napoli 2013

N. Ingma, Intervista a John Oswald;

S. Settis, Ostentatio potentiae, doctrina antiquitatis, l'antico e l'arte «nuova», circa 1230-1260, in Il senso della memoria, Roma 23-25 ottobre 2002 (atti del convegno);Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 2003;

R. Tosi, F. Piazzi, F. Ferrari, Il ramo d'alloro, Cappelli Editore, Bologna, 2004;

V. Valentini, Il video: un non-luogo, in Aa. Vv., Arte in Videotape, a cura di Cosetta G. Saba, Silvana Editoriale, Milano, 2007;

 

Note con rimando automatico al testo 

1 La tradizione indiretta del frammento si trova nell'Anthologion di Giovanni Stobeo, scrittore bizantino di V secolo d.C. Fonte: Stobeo IV 34, 12. Si è fatto riferimento all'edizione critica che appare in R. Tosi, F. Piazzi, F. Ferrari, Il ramo d'alloro, Cappelli Editore, Bologna, 2004, pp. 277-278.

2 P. De Vecchi, E. Cerchiari Necchi, Arte nel tempo. Dalla Preistoria alla Tarda Antichità, Bompiani, Milano, 1991, p. 244.

3 Aa. vv., Enciclopedia dell'Arte Medioevale, Treccani, Roma 1998, vol. IX, pp. 876- 883. Si può consultare la stessa voce “reimpiego” a cura di A. Esch al link http://www.treccani.it/

4 F. Bottari, F. Pizzicannella, I beni culturali e il paesaggio. Le leggi, la storia, le responsabilità, Zanichelli, Bologna, 2007, pp. 92-93

5 Con un breve del 27 agosto 1515 papa Leone X de' Medici aveva designato Raffaello sanzio quale successore di Bramante alla carica di praefectus marmorum et lapidorum. F. Bottari, F. Pizzicannella, I beni culturali e il paesaggio. Le leggi, la storia, le responsabilità, pp. 105-106.

6 W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, a cura F. Desideri, trad. it. M. Baldi, Donzelli Editore, Roma, 2012.

7 «Per quanto mi riguarda, cerco di orientare il mio telescopio in modo che, penetrando la nebbia di sangue, punti su una fata morgana del XIX secolo, in cui cerco di rispecchiarmi secondo i tratti che esso mostrerà di una condizione futura del mondo liberata dalla magia. Naturalmente devo costruirmi innanzitutto questo telescopio da solo e in questo sforzo, adesso, io ho ritrovato per primo alcuni principi fondamentali della teoria materialistica dell'arte. Mi sto impegnando attualmente a esporla in un breve scritto programmatico.» Questo scritto sarà L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica. Il corpo della lettera a Kraft del 28 ottobre 1935 è in W. Benjamin, I «Passages» di Parigi, Einaudi, Torino, 2000, p. 1124.

8 Quando l'artista improvvisa la scenografia per Set & Reset, utilizzando rottami recuperati allo scasso, per sostituire le scene da lui firmate e destinate al balletto di Trisha Brown per il teatro San Carlo, mai giunte da New York, non sta forse reimpiegando?

9 «Una volta per tutte – questa è stata la parola d'ordine della prima tecnica. Una volta non conta – questa è la parola d'ordine della seconda tecnica. L'origine della seconda tecnica deve essere ricercata nel momento in cui l'uomo, guidato da un'astuzia inconscia si apprestò per la prima volta a prendere le distanze dalla natura. In altri termini: la seconda tecnica nacque come gioco». W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, p. 14.

10 Dagli atti del convegno internazionale Il senso della memoria, Roma 23-25 ottobre 2002: S. Settis, Ostentatio potentiae, doctrina antiquitatis, l'antico e l'arte «nuova», circa 1230-1260, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 2003, pp. 94-95.Si riporta questo passo perché convinti che questo meccanismo della memoria culturale possa trovare in modalità operative come Blob una giusta corrispondenza.

11 Oltre agli Imaginary Landscape, è questo il caso di Williams mix (1952-3). «Ciò che trovavo così affascinante nelle possibilità offerte dall'uso del nastro magnetico era che un secondo, che era sempre stato concepito come uno spazio di tempo relativamente breve, equivaleva ora a quindici pollici. Diventava qualcosa di così lungo da poter essere tagliato». J. Cage, Lettera ad uno sconosciuto, a cura di R. Kostelanetz, trad. it. F. Masotti, Edizioni Socrates, Roma, 1996.

13 A. Cervini, Fine e rinascita del cinema. Sulle Histoire(s) du Cinema di Jean-luc Godard, secondo numero di Mantichora, Messina, 2002, pp. 58-59. disponibile al link http://ww2.unime.it/

14 V. Valentini, Il video: un non-luogo, in Aa. Vv., Arte in Videotape, a cura di Cosetta G. Saba, Silvana Editoriale, Milano, 2007, pp. 98-99.

15 Aa. vv., Enciclopedia dell'Arte Medioevale, Treccani, Roma 1998, vol. IX, pp. 876- 883. Si può consultare la stessa voce “reimpiego” a cura di A. Esch al link http://www.treccani.it/

16 «Un confronto attento con le condizioni operative è, nell'arte, un modo di confronto con la storia.» A. Di Scipio, Tecnologia dell'esperienza musicale nel Novecento, in A. Di Scipio, Pensare le tecnologie del suono e della musica, Editoriale Scientifica, Napoli 2013, p. 24.