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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Testuali parole

"La voce umana" di Cocteau in tre varianti

 “LA VOCE UMANA” DI COCTEAU PER ROSSELLINI (1947):

VARIANTI E COSTANTI IN “CODICE PRIVATO” DI MASELLI (1988) 
E “LA CORRISPONDENZA” DI TORNATORE (2016)

[N.d.A.: Nell’attesa di un film che riprenda e aggiorni le stesse tematiche con una regia femminile di pari qualità, vengono riletti, ponendoli in relazione sia per le analogie che per le differenze e le implicite contrapposizioni, tre classici che, con le debite mediazioni, sono riconducibili al testo di Cocteau “La voce umana”. Tra le altre cose, li accomuna il fatto di costituire una panoramica molto significativa sulle diverse letture della figura femminile rese nel tempo dal punto di vista di tre importanti registi italiani. Ciascuna di queste versioni, incentrata su un modello di donna “inattuale”, implica una riflessione sull’attualità e sottende per via indiretta una provocatoria interrogazione sulla nostra contemporaneità, in cui le donne, consolidati alcuni risultati delle battaglie novecentesche contro il potere maschile, non paiono altrettanto impegnate ad affrontare le forme e le logiche stabilite del potere tout court [rispetto a cui la tecnologia - assunta come neutra nei tre film – è permeabile e funzionale ].

 

LA VOCE UMANA” DI COCTEAU PER ROBERTO ROSSELLINI (1947)

i pochi secondi del delitto originale sono irripetibili. 
Delitto fossile dunque come i rumori fossili sparsi nell’universo
Jean Baudrillard – Il delitto perfetto

 

LA DONNA SENZA NOME NELLA “CAMERA DA DELITTO”

 

Cocteau nel disporre che non vi fosse alcuna ombra di “brio” nella interpretazione del suo “La voce umana” del 1930, raccomandava nelle indicazioni di messa in scena di "Rispettare il testo in cui gli errori di lingua, le ripetizioni, le espressioni letterarie, le banalità sono frutto di un dosaggio meditato".

La descrizione che dà nelle note di regia della sua protagonista senza nome è riduttiva: ” Il personaggio è una vittima mediocre, totalmente innamorata, che tenta un solo inganno: tendere un appiglio all’uomo perché confessi la sua menzogna e non le lasci quel meschino ricordo”. Che invece il personaggio sia al centro di un dramma sconfinato e che racchiuda un che di universale si evince dalla sua descrizione della “scena del delitto : “Il sipario rivela una camera da delitto. Davanti al letto, per terra, è sdraiata una donna con una lunga camicia, come assassinata”. 

Andato in scena per la prima volta al Théâtre de la Comédie-Française nel febbraio del 1930, con protagonista Berthe Bovy, verrà interpretato dalle più grandi attrici del Novecento.  Sarebbe arduo elencare tutte le interpreti che hanno osato confrontarsi con questo classico ( da  Simone Signoret a Gaby Morlay, Judith Anderson, Susanna York, Liv Ullman per citare le più famose…).

Nel film di Rossellini del 1947 la donna di Cocteau è incarnata da una Anna Magnani perfettamente rispondente alla sue aspettative, e termina il suo atto "in una camera piena di sangue" – da lui definita “camera da delitto” - vittima sacrificale di un invisibile assassino, (la cui “presenza” spettrale è testimoniata dall’Autore), non meno che di se stessa.

 

Quella di Rossellini, col titolo appunto de “La voce umana”, è la prima versione cinematografica ed è un episodio del film “L'Amore”. L’interpretazione della Magnani – seguita personalmente in Parigi dallo stesso Cocteau – è la più fedele tra quelle – numerose e diverse – che la seguiranno.

Inchiodata” al letto nello spazio chiuso della sua camera, la donna di Cocteau reincarnata dalla Magnani è la più irriducibilmente disperata e patetica nell’illudersi, anche contro la più schiacciante evidenza, di poter continuare a proiettare i suoi fantasmi d’amore sull’altro, che invece l’ha tradita e abbandonata.

Tra le numerose primedonne che hanno affrontato quel testo, va ricordata la “nordica” Ingrid Bergman, protagonista della versione televisiva del 1966 di Ted Kotcheff . La storica rivale in amore della Magnani - che fu compagna di Roberto Rossellini dal 1949 al 1954 e protagonista di molti suoi film - reinterpreta il testo sfumando il dramma passionale voluto dall’autore in una più misurata disperazione esistenziale venata di malinconia, ove il rosso del sangue si scolora in quello rosso bruno del tramonto. Mentre, in teatro, Anna Proclemer già trasgrediva modernamente nel tono e nelle inflessioni della voce, resistendo tuttavia stoicamente alla tentazione di una pur minima ironia (bandita appunto da Cocteau).

 

  

Contro l’intenzione e la volontà dell’autore, quel testo verrà poi assunto entro nuove riletture, e reinterpretato in forme inedite da voci femminili sempre più autonome e insofferenti a imposizioni di ruolo e modelli ormai concepiti e vissuti come stereotipi.

E, in un rovesciamento, tale possibilità di essere continuamente riletto e reinterpretato può essere intesa come la cifra immortale dell’opera - a dispetto della volontà dell’autore di inquadrarla e definirla dal suo punto di vista - sfuggendo a ogni determinazione per ri-vivere ogni volta di una vita propria.

Ma il dubbio che la frase espressa così drasticamente da Cocteau, ben oltre la volontà autoriale di imporre una determinata chiave interpretativa della propria creazione, implicasse motivazioni assolutamente profonde, non può essere liquidato tout court, poiché – più che un soggetto o un tipo femminili - era probabilmente l’archetipo di una Eva preda delle passioni e caduta, stella agonizzante all’orlo del collasso gravitazionale e portatrice di radiazioni 3K , memoria del Big Bang d’origine, ciò che veramente gli stava a cuore preservare nel suo testo. Una storia biblica quindi, rielaborata sulla soglia degli anni Cinquanta, ove le spire del serpente si attorcigliano al filo di una cornetta “rettiliana” datata, tramite la quale filtra all’orecchio di una Eva anonima la voce ingannevole del proprio “doppio” dall’ombra (mentre si rende sorda - se mai davvero risuonasse di là dal filo - alla voce dell’uomo senza volto che la inchioda alla realtà cruda del tradimento).

In questo senso l’interpretazione della Magnani costituisce l’alfa e l’omega, parabola di un’estinzione cruenta del soggetto femminile , ( “delitto fossile” direbbe Baudrillard), che è anche la fine di un mondo. Una interpretazione con imprimatur d’autore destinata quindi a porsi come unica e senza alternative... Ma potenzialmente in grado di stimolare una riflessione densa di interrogativi intorno a quella caduta e al corpo nero radiante dell’origine (per quanto questa riflessione sia stata modernamente obliata o rimossa anche dal pensiero critico femminile). 

UNA MOLTIPLICAZIONE DI ECHI

I registi e le protagoniste che successivamente hanno “rimesso in scena” La voce umana l’hanno in vario modo rivisitata legandola alla contemporaneità

Anziché affrontare la vertigine di un viaggio nel passato, all’indietro sulla freccia del tempo, la riproposizione dell’opera di Cocteau si è poi diversificata in una gamma di riletture cinematografiche e teatrali improntata – per usare la medesima terminologia cosmologica - a una sorta di effetto redshift, ovvero una fuga dal centro, in plurime direzioni, proiettata in avanti sulla freccia del tempo.

Paradossalmente si è quindi verificato che proprio nelle trasgressioni al testo e all’ortodossia di Cocteau “La voce umana” ha ritrovato parole e vita nuova, realizzando per questa via l’obiettivo di ogni autentica creazione artistica.

Mentre è il testo autoriale che permane pur sempre quale testimonianza immutabile della volontà dell’autore.

E d’altra parte il lettore instaura col testo letterario un rapporto che lo vincola ad una comprensione profonda e a un coinvolgimento interiore, mentre invece più libero e articolato è il rapporto che con quello stesso testo si trova ad intrattenere chi si ponga l’obiettivo di “metterlo in scena”.

Un esempio per tutti in questo senso è “Anna Karenina”: letterariamente resta l’immutabile e irriproducibile capolavoro di Tolstoj, per nulla scalfito dalle multiple versioni cinematografiche, che dalla prima metà del secolo scorso hanno visto succedersi una fiera Greta Garbo ( Clarence Brown, 1935), l’ inquieta Vivien Leigh (Julien Duvivier, 1948), l’allucinata Tatiana Samojlova (Aleksandr Zarkhi, 1967), la dolente Sophieu Marceau (Bernard Rose,1997), fino ad una più recente stralunata Keira Knightley (Joe Wright, 2012)…

 

IL “CODICE PRIVATO” DI FRANCESCO MASELLI (1988)

[Erato]: ”tuo malgrado giocherai…Giocherai senza una ragione: non solo in virtù
dell’imprinting di sopravvivenza…ma per qualcosa che è in te, e che non sai di avere”
Carla Glori - Liricamente

 

LA SFIDA MENTALE DI ANNA

Un "dedicato a Jean Cocteau", senza che ci sia cenno a “La voce umana”, compare nel 1988 nelle pieghe dei titoli di testa di “Codice privato” di Citto Maselli.

La libera e innovativa trasposizione di Maselli , ben lungi dal remake, intende porsi quale opera autonoma, non esente da sotterranee connessioni col testo letterario ma ben lontana dalla sostanziale fedeltà allo stesso della versione rosselliniana.

In “Codice privato” Maselli crea un’opera modernamente alternativa, in cui la citazione costituisce una sorta di latente contrappunto in ombra che si snoda lungo una trama parallela, ma tale da riflettere (come negli specchi sottilmente deformanti) corrispondenze e similitudini.

La differenza fondamentale che separa “Codice privato” dal film precedente risiede in primis nel personaggio di Anna (una inedita Ornella Muti): una donna profondamente diversa da quella interpretata dalla Magnani, così come diversa è la situazione che si trova ad affrontare.

Anna ha un nome, un’identità e una storia. Il suo tormento è soprattutto mentale: lei è preda di una bruciante “passione mentale” che la induce a brancolare nel buio alla ricerca della verità, da cui attende scaturisca la via d’uscita verso la luce del giorno. Mentre la donna di quarant’anni prima aveva aderito totalmente all’inganno dell’invincibile fantasma d’amore in lei incarnato.


Anna persegue testardamente la verità, sfidando in una partita a scacchi le mosse dell’avversario che gliela occultano, insofferente al dominio e alle sue logiche striscianti, laddove l’altra, sottomessa al potere maschile, si dava già sconfitta “in partenza”.

Le differenze tra le due donne parrebbero renderle del tutto estranee e anzi inconciliabili, ma paradossalmente più comprensibili alla luce delle loro diversità.

Mentre Anna è bellissima e consapevole di esserlo, la donna “anonima” di quarant’anni prima è più ordinaria e, per l’estinguersi dell’attrazione fisica, viene sostituita dall’uomo con una più giovane e attraente, che possiede la sicurezza che le manca. Il film di Rossellini inoltre aveva profilato la differenza di status economico tra i due amanti: l’uomo ad esempio ha il servitore, mentre l'abitazione della donna denota un certo squallore e lei conduce una esistenza deprivata. Inoltre la chiusura claustrofobica delle stanze concorre a comprimere le possibilità di movimento e il “respiro” della donna, per lo più “immobilizzata” nel “talamo”.

Anna invece, pur avendo origini popolane, abita stabilmente nell'abitazione dell'uomo, che le ha intestato una ingente somma di denaro. L'ambiente in cui si muove è esteso ad un ampio e lussuoso superattico su più piani e aperto su terrazze, e la donna lo percorre con libertà di movimento. Ma il suo è un aggirarsi in un vuoto labirintico da cui non riesce a trovare la via d’uscita...

 

Tutto concorre a intrappolare la donna senza nome del passato in uno stato di inferiorità, non solo fisico e psicologico ma anche oggettivamente economico e di deprivazione ambientale.

Invece il solo deficit da parte di Anna è di natura culturale (essendo l’uomo un intellettuale di fama e avendo lei appena compiuto le scuole dell'obbligo). Ma paradossalmente l’abbandono di lui non avviene per tale differenza, bensì per quella che viene intesa come raggiunta parità della donna anche in questo campo, avendo lei (tramite lui) conquistato un buon grado di indipendenza culturale e autonomia di giudizio.

Il primo uomo compie l’abbandono ultimando la sua opera di distruzione sulla vittima tradita.

Il secondo uomo – che ha un nome e si chiama Emilio – lascia la propria “creatura” perché ritiene che la sua opera di Pigmalione, in un certo senso, sia compiuta.

Accomunate dall’ appartenenza ad una classe sociale subordinata (la prima donna si presume piccolo-borghese e la seconda una popolana), entrambe le protagoniste non riescono a liberarsi dal senso di inferiorità rispetto alla figura dell’uomo amato vissuta come dominante (neanche nel caso della donna che si è poi evoluta). Forse è proprio la memoria della loro provenienza, (connessa ad uno stato di ristrettezza e magari di povertà), che parrebbe cristallizzata in una “dimensione spirituale e valoriale” oltre che in un modello di ruolo sottomesso a cui rimangono tradizionalmente ancorate, a renderle appetibili prede delle due rispettive figure maschili. Prede sensibili e desideranti, sentimentalmente ricche e appassionate, memori di un’inferiorità non solo socialmente connotata, ma che ha radici antiche e profonde nel loro immaginario.

Disadattate e portatrici inconsce di una storia millenaria (e più modernamente capitalistica), che ha impresse le contraddizioni di classe e il sigillo del potere maschile, per la loro mancanza di coscienza critica - che le distanzi dal “non vero” e dall’inganno, e dalla quale esclusivamente può aver inizio un vero riscatto – smarriscono visione e presa di realtà, e proiettano nell’uomo (principe e/o padrone) ogni desiderio e attesa di salvezza. La figura maschile polarizza così in sé la possibilità di “vivere” nel mondo dato, percepito come estraneo ed emarginante nella solitudine e nell’abbandono. Tradite, a loro volta non sanno di tradire la verità oracolare del “Conosci te stesso”, la via maestra che dovrebbe porle al fianco degli esclusi e “dalla parte” debole ed oppressa a cui appartengono. E tale appartenenza senza coscienza né riscatto è alfine sancita dalla voce della donna senza nome di Cocteau, che giunge straziante e disperatamente umana, mentre lo spettatore assiste impotente.

 

IL FILO DELLA COMUNICAZIONE E LA VIOLAZIONE DEL CODICE

Nella complessità dei temi che si intrecciano in entrambi i film, alcuni elementi concreti offrono immediate connessioni.

Il punto di convergenza ben visibile delle due storie è l’apparecchio telefonico, “entità fantasmatica” che consente la “comunicazione unilaterale” con il soggetto maschile assente (la sua presenza può solo essere supposta in base al “monologo” delle due donne nella cornetta). Al tempo stesso il telefono in quanto tale viene ad essere una sorta di entità, non solo carica di valenze simboliche, ma portatrice del “mana” dell’assente, percepito all’altro capo del filo.

Specificamente nel caso della donna del passato, il telefono diviene esso stesso una “presenza fisica” che sostituisce il vedersi e toccarsi - l’unica presenza – con cui la donna interagisce, in un delirio disperato e con eccessi passionali .

Esso viene concepito come qualcosa da carezzare e stringere, con cui addormentarsi in un abbraccio e perfino come un cappio (quando lei se ne stringe il filo attorno al collo). La voce dell’uomo non si sente e permane il dubbio che tutta la conversazione sia frutto della alterazione psichica crescente della donna, riversata come un torrente in piena nella cornetta…

Anche per Anna è il telefono che si fa portatore di una drammatica rivelazione, in quanto nella scena finale il telefono "muto" e scollegato testimonia che la donna ha parlato con “nessuno”. D’altra parte pure Emilio, come l’altro uomo, non compare.

Tuttavia il telefono nel film di Maselli diviene medium entro cui la voce silenziosa dell’amato (sempre più sostituita dagli scritti dell’uomo) viene coperta dal rumore degli interlocutori estranei che si intrufolano “dentro la cornetta”, vanificando l’esclusività del “monologo amoroso” femminile. Gli altri – gli amici, compresa la propria madre – con cui la comunicazione avviene, sono percepiti da Anna come inaffidabili e forse complici di Emilio nell’inganno che la intrappola.

Come in Rossellini, anche in Maselli il telefono non può garantire se non un contatto indiretto sotto il profilo spaziale, ma nella versione del ’47 esso quantomeno stava a rappresentare la presenza pressochè contemporanea di due interlocutori. In “Codice privato” il telefono perde il carattere di tramite della comunicazione, contaminandosi con la dimensione digitale del computer. Il computer è utilizzato da Maselli in assenza di interazioni, per sancire il distacco e la sfida mentale della protagonista e in generale il senso della separazione alienata nel rapporto.


Attraverso il computer, Anna – la donna della seconda metà degli anni ’80, figlia naturale di un femminismo ormai sedimentato – trasgredisce. La sua trasgressione èinnanzitutto “mentale”, ma il computer ne potenzia indefinitamente il carattere eversivo e vindice, se rapportata all’acquiescenza succube della prima donna . Poiché qui il computer viene assimilato, in una sinergia cruciale, con la mente della donna che cerca la verità nel buio, addentrandosi in un percorso serpentino, attraverso le sue spire tecno-logiche.

Sul monitor del computer Anna, sovvertendo il codice (genetico) originale della prima donna di Cocteau – in analogia a quanto fa il film di Maselli nei confronti della sua fonte letteraria - viola la sfera privata di Emilio accedendo ai suoi segreti. Lo fa con la determinazione mentale di una giocatrice di scacchi, assimilando le sue logiche a quelle della macchina, in una sfida dalla quale uscirà sconfitta.

 

LA CORRISPONDENZA” DI GIUSEPPE TORNATORE (2016).

Il multiverso è “la realtà fisica nella sua interezza. 
Essa contiene molti universi paralleli.”
David Deutsch – The Fabric of Reality

Si possono fare cataloghi dei solidi, dei cristalli e delle stelle, ma
non si possono fare cataloghi di quegli oggetti complessi che sono le nuvole.
Ilya Prigogine

 

I FRAMMENTI DI UN DISCORSO AMOROSO VIA SKYPE SECONDO
GIUSEPPE TORNATORE

A tutta prima parrebbe una forzatura tentare connessioni tra l’ultimo controverso film di Tornatore “La corrispondenza” e i due precedenti, altrettanto controversi, datati rispettivamente circa un settantennio e un trentennio prima.

Perché i due personaggi Ed (Jeremy Irons) e Amy (Olga Kurylenko), e in particolare la protagonista femminile, hanno poco da spartire con quelli dei due film precedenti. E così pure è per la storia che li riguarda, che ha al centro il loro legame enigmatico e inafferrabile (che sarebbe scorretto definire tout court empatico o telepatico) reso più stretto dalla passione per l’astrofisica e per i misteri dell’ universo e i segreti delle stelle.

Anche Amy - come l’anonima incarnata dalla Magnani e come Anna interpretata dalla Muti - è una donna sola, posta al margine della vita di lui; ma diversamente dalle altre due non è consumata dal bisogno di fondere la sua vita con l’amato e accetta di condividere Ed con il figlio piccolo di lui, senza intromettersi nella sua sfera famigliare. Anzi, persegue e coltiva la propria autonomia ed è usa sfidare la morte facendo la stunt woman. Se è dato leggere nel lavoro di stunt woman la forma più estrema e sacrificale del “principio di prestazione” (in uno slancio che nel film implica la disperazione), la traduzione del termine rinvia per un verso alla definizione “controfigura acrobatica femminile”, sottendendo un gioco di sdoppiamento in cui le “replicanti” di Amy sulla scena vengono uccise o si suicidano, e per altro verso rinvia alla parola “cascatrice”, laddove l’idea della caduta – che era applicabile in senso diverso alle precedenti protagoniste - si traduce in simulazione, perdendo il potenziale fatalmente evocativo della parola biblica.


Fantasmi d’amore e ombre del passato non mancano neppure in questo multiverso di realtà parallele, nel quale una storia d’amore delle più classiche si fonde con la tecnologia, e in cui la comunicazione (affidata al flusso virtuale di sms e messaggi video) si confronta con quell’immaterialità che ormai permea il discorso amoroso

Pure ne “La corrispondenza” lassenza delluomo impronta la relazione; qui tuttavia lui sopperisce alla mancanza di contatto fisico con uno scambio continuo di messaggi affidati alletere.

Telefono e computer ricompaiono nel segno di una ineffabile corrispondenza amorosa, ma si rivelano incompatibili nella concezione e nelluso rispetto agli stessi strumenti passati. La tecnologia più avanzata ha dissolto sia la matericità ardente trasfusa da Rossellini nel telefono sia la freddezza computante della logica conflittuale con cui Maselli ha fatto interagire Anna al computer, violandone il codice.

Per Amy e Ed le dotazioni tecnologiche sono protesi attraverso cui si stringono e sorreggono a vicenda, estensioni immateriali di sé stessi nel tempo e nello spazio terrestre e cosmico . Archivi temporanei di memorie artificiali, ma anche contenitori di memorie intime e, in ultima istanza, di una memoria universale a cui non abbiamo accesso.


La stessa natura nel film di Tornatore si assimila ad una enigmatica macchina olistica, entro la quale anche la vita animale risponde a leggi e vincoli imponderabili. Mentre il cane del film di Rossellini e la tartaruga, che Maselli pone in alternativa, sono portatori di una carica simbolica, gli animali che entrano in scena ne “La corrispondenza” (un cane dolente e quasi umano, un falco il cui volo traspare macchinale, il granchio nero che si muove in senso antiorario e che richiama la misteriosa Nebulosa Granchio…) appaiono creature possedute e animate da una invisibile Mente.

 In questo multiverso quantistico ipercomplesso – coincidente con la realtà fisica nella sua totalità e che parrebbe scevro da ogni forma di trascendenza - Ed si professa ironicamente “stregone”, consapevole che la macchina dell’universo e la “trama della realtà” sfuggono al controllo dello scienziato, e che neanche le stelle sfuggono alla morte ( il tema che, insieme all’amore, è un motivo conduttore del film). E tuttavia alcuni indizi, quali ad esempio la foglia morta che segue una traiettoria antigravitazionale e gli occhi disperati e presaghi del cane, fanno pensare alla presenza di una arcana anima mundi celata dietro la macchina, irriducibile alle determinazioni spaziotemporali e alle leggi fisiche.

 

TECNOLOGIA: IL NODO COL PASSATO E LIDEA DI IMMORTALITA

Se la potenza della tecnologia al suo attuale grado di evoluzione appare l’elemento più macroscopicamente discontinuo rispetto ai due film novecenteschi, altre discontinuità e corrispondenze valgono a costituire connessioni significative.

L’analogia con Maselli, in questo caso, sta nel fatto che anche Tornatore, oltre a fare del computer l’elemento essenziale della trama, lo utilizza in assenza di interazioni esterne, a sancire il senso della separazione dal mondo esterno; ma diversamente da “Codice privato”, qui il computer costituisce l’elemento di coesione e comunicazione fondamentale ed esclusivo tra i due protagonisti (laddove in Maselli era invece assunto quale elemento simbolico e dinamico del conflitto).

Ne “La corrispondenza” il computer diviene il surrogato di una convivenza quotidiana che sospende la separazione, preservando la continuità e normalità del rapporto. Ma non solo, soprattutto dopo la morte del protagonista il computer assume una propria centralità nella narrazione, riportandolo, per così dire, in vita tramite le riprese audio e video, e facendosi contenitore di tutta l’esistenza passata della coppia, ovvero dei due “replicanti”, come si definiscono loro stessi. Il fatto che Amy ed Ed abbiano le stesse iniziali di Anna ed Emilio non può forse significare che ne rappresentano le copie replicanti abitatrici di un universo parallelo? E, in una inversione azzardata, non potremmo forse cogliere la A di Adamo nel nome della donna e la E di Eva in quello dell’uomo?

Poiché sempre di replicanti si tratta, ed è questo uno degli elementi di continuità fra i tre film, in quanto in ciascuno di essi le storie e le coppie di protagonisti sono copie di un copione antico.

Paradossalmente allora si scopre che la tecnologia nel film di Tornatore ha a che fare col passato – con un passato vertiginosamente cosmico – ancor più del testo di Cocteau, la cui lettura in profondità lo riporta alla sua radice archetipica, in cui la donna senza nome reincarna una Eva dei primi anni Cinquanta.

E anche Amy, la donna dell’ultimo film, “viene prima” della donna senza nome incarnata dalla Magnani e anche prima della ribelle Anna in scacco, alle prese con un ormai antidiluviano computer: Amy, la giovane che padroneggia le più evolute tecnologie, è la più antica.

Alla stregua del testo di Cocteau, il plot e la sceneggiatura di Tornatore (n.d.a. di cui non ho letto la stesura su libro, limitandomi a quella cinematografica, che considero a sé stante), offrono la possibilità di una interpretazione in chiave “cosmica”, ma in questo caso aggiornata con le acquisizioni e i concetti della cosmologia e dell’astrofisica contemporanei.

Amy ed Ed abitano consapevolmente il multiverso quantistico e i suoi mondi paralleli. Ma in realtà sono inconsapevoli superstiti di un mondo d’origine fagocitato da un buco nero. L’isola di memoria su cui sono riparati i due naufraghi del mondo scomparso è rappresentata da Borgo ventoso (l’ isola di San Giulio sulle rive del Lago d’Orta), che coincide con un non-luogo fuori dal mondo e dal tempo. E’ l’uomo che detiene le chiavi di quell’isola immaginaria (così come è l’artefice degli illusionismi tecnologici e delle simulazioni con cui mantiene vivo quel rapporto post mortem ). In questo senso può intendersi il termine “stregone” che lo scienziato applica a sé, poiché (come rivelava la “Dialettica dell’illuminismo”) magia e tecnologia sono “alberi” che generano dalla medesima radice. Ma l’illusionismo di Ed non genera dalla volontà di potenza di marca tecnologica e non scade nell’inganno, poiché è il tentativo estremo (e un po’ patetico) di ri-creare la realtà e di far ri-vivere il sogno per entrambi.


Amy, lultima donna – figlia del Duemila - è la più antica e inattuale fra le tre figure femminili, perché ha ancora in sé i frammenti del Sogno. Le altre due donne vengono dopo la deflagrazione del sogno.

Il parallelo tra “la donna senza nome/Anna/Amy” si alimenta anche di sottili analogie. Ad esempio, la scelta del regista di dare ad Amy origini contadine richiama la provenienza popolare delle due altre protagoniste: Anche Amy ha vissuto nella condizione di povertà che ne ha condizionato il rapporto col mondo dato, venendone ad ereditare ricchezza interiore e dell’immaginario. La sua personalità malinconica e solitaria , ma non esente da scatti di ribellione, conserva tratti di romanticismo ottocentesco, che trova nel non-luogo di Borgo ventoso un rifugio ideale. Le sue origini affondano in un mondo contadino oggi completamente scomparso e snaturato dal pensiero unico e dalla stessa tecnologia: le sequenze del suo ritorno dalla madre attestano dellintegrità di quel mondo semplice e sottolineano la sua sostanziale estraneazione dalla contemporaneità.

Anche dall’ origine contadina della protagonista emerge una dicotomia – coerente con le contraddizioni che ricorrono in vari aspetti e momenti del film – poiché quel legame vitale con la terra e la tradizione, che sottende il ritorno dalla madre, in realtà non può concretizzarsj per la giovane astrofisica evoluta. Nellultima sequenza, in cui si allontana da sola nella notte pare culminare quel distacco da tutto quanto vi è di terrestre, un distacco che è la cifra costante del personaggio lungo lintero film.

 

LA VOCE UMANA DI LUI

Uno spettro è allo stesso tempo visibile e invisibile, allo stesso tempo fenomenico e non fenomenico: una traccia che segna anticipatamente il presente della sua assenza.
Jacques Derrida– Ecografie della televisione

La vera e decisiva discontinuità del film di Tornatore rispetto agli altri due non sta tanto nelluso delle tecnologie più evolute per la comunicazione amorosa né nella differenza del personaggio femminile rispetto alle protagoniste precedenti: ne La corrispondenza è luomo che per la prima volta parla e la voce umana è la sua.

La figura delluomo si umanizza quando, essendo già morto - attraverso la memoria artificiale della macchina - parla a lei in video, nella fase terminale della sua vita.

Questo paradosso temporale ricorda quanto ha scritto Derrida, in “Ecografie della televisione”, a proposito del suo rapporto con Pascale Ogier, con la quale partecipò al film “Ghostdance” (girato dal regista inglese Ken McMullen nel 1982), che rivide due o tre anni dopo sullo schermo, quando Pascale era già morta.

Lo sguardo di lei lo sentiva dissimmetrico, scambiato al di là di ogni scambio possibile “…eyeline di uno sguardo che fissa e cerca l’altro, il suo altro, il suo vis a vis. L’altro sguardo incrociato in una notte infinita “. Derrida percepiva questa spettrale dissimmetria come una “emanazione”.

Se è vero che le memorie artificiali della macchina non hanno il potere di riportare in vita il passato, è anche vero che possono porci dinnanzi a un passato che “è stato presente”, al punto che esso ha la forza di una testimonianza irrecusabile.

 

 

 

 

 

 

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