Statistiche dal 2010

Visite agli articoli
4405299

Abbiamo 127 visitatori online

Cerca nel sito

Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

non ha scopo di lucro, non propone alcuna pubblicità e ha come unico interesse la diffusione della cultura.
Pertanto, le immagini pubblicate si attengono all'a
rticolo 70, comma 1bis della legge sul diritto d’autore, dove si afferma che è possibile la "libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro".


Iscriviti al nostro
canale WhatsApp
sul cellulare

 - Nuova informativa sui cookie -

 


Testuali parole

Artisti, oggi

Olafur Eliasson

(scritto nel 2010, aggiornato nel 2012)

Quali sono gli artisti più interessanti di oggi? E' una domanda difficile, che naturalmente può avere molte diverse risposte, ma che può portare a soluzioni stimolanti se usata come pretesto per seguire le tracce dell'arte contemporanea. Consultando qualche libro, alcuni siti web, e altre persone attente alla ricerca estetica contemporanea, ho potuto scrivere una lista di 20 artisti viventi che dovrebbero essere tutti della massima rilevanza; non è escluso naturalmente che, per mille motivi compresa la mia ignoranza, altri potrebbero farne parte.

Nello stilare la lista sono peraltro uscite fuori argomentazioni che di per sé configurano anche un criterio della ricerca stessa: ad esempio, artista di oggi è anche Christo nato nel 1935? Keith Haring nato nel 1958 e morto nel 1990 non è più contemporaneo di Richter nato nel '32? E quanti sono gli artisti del Vietnam o del Venezuela o della Nuova Zelanda che sicuramente possiedono talento e energia creativa e che noi non conosciamo affatto? E soprattutto, nel valore dell'artista va incluso il suo valore di mercato?

Non ho neppure provato a rispondere, perché sono appunto domande senza risposta, e ho scelto di essere occidentale, fazioso, probabilmente più vicino alle idee dei critici di professione che a quelle degli artisti; la lista risulta dalla combinazione di altre liste e ha subito la mia personale integrazione, legata al buon senso, mi auguro, e non obbligatoriamente al gusto. Infine, viste le notevoli differenze anagrafiche dei personaggi risultanti, la lista è divisa in settori; e per primi vengono naturalmente i più giovani.

a) Artisti che hanno meno di 50 anni con le maggiori prospettive di carriera

Matthew Barney, statunitense (1967)

Olafur Eliasson, danese (1967)

Damien Hirst, inglese (1965)

b) Artisti nati dopo il 1950 con una carriera già di grande successo

Maurizio Cattelan, italiano (1960)

Ai Weiwei, cinese (1957)

William Kentridge, sudafricano (1955)

Jeff Koons, statunitense (1955)

Anish Kapoor, indiano (1954)

Cindy Sherman, statunitense (1954)

c) Artisti nati dopo il 1940

Marina Abramovic, serba (1946)

Anselm Kiefer, tedesco (1945)

Gilbert & George, inglesi (1942 e 1943)

Bruce Nauman, statunitense (1941)

d) Artisti che hanno più di 70 anni

Richard Serra, statunitense (1939)

Georg Baselitz, tedesco (1938)

David Hockney, inglese (1937)

Frank Stella, statunitense (1936)

Christo, bulgaro (1935)

Gerhard Richter, tedesco (1932)

Jasper Johns, statunitense (1930)

 

Sono 18 artisti uomini e 2 sole donne; gli americani sono 7, i tedeschi 4, gli inglesi 3 (prendendo per uno il duo G & G); i pittori o scultori più o meno “normali” sono tutti tra gli “anziani”, con l'eccezione di Kapoor che di fatto è quasi uno scultore classico e di Christo che invece è un precursore delle opere di durata e senso provvisori.

Il risultato – come detto - risente solo in parte dei miei gusti (non avrei messo in lista Nauman, Cattelan e Johns), ma Barney, Eliasson e Hirst sembrano scelti apposta. Le loro tecniche di produzione, tutte diverse, sono nuove, non tradizionali, e ci spingono a una riflessione.

Nelle scuole d'arte si impara tuttora la figura, disegnata o scolpita; gli strumenti sono le matite e i pennelli, gli scalpelli e le gradine, e le tecniche rappresentative si nutrono di anatomia, geometria descrittiva, teoria dei colori e pratica dei materiali. Dalle prime avanguardie, dai Fauves in avanti, tuttavia, le doti tecniche necessarie alla creazione di un'opera d'arte si sono abbassate, ovvero l'abilità tradizionale ha perso importanza nei confronti delle capacità espressive e narrative e nei confronti di un uso più libero dei materiali. Questo punto è delicato, perché spesso provoca equivoci: non si nega lo studio delle tecniche, sempre necessario nella fase di apprendistato, ma si nega che la miglior tecnica rappresentativa sia per forza agganciata alla miglior arte.

Matthew BarneyIn realtà non credo che siano stati i Fauves, e neppure la ben più aggressiva Bruecke, a determinare il momento di effettiva rottura nella storia dell'arte, tale da impregnare di sé tutta la ricerca successiva: è stato Dada. La portata della rivoluzione di Duchamp può essere capita solo ora; persino Jackson Pollock usava ancora una tela e un tubetto di colore per dipingere, trent'anni dopo la ruota di bicicletta di Duchamp.

Sono comunque molti i pittori "normali" nella nostra lista, a partire da quello che mi sembra il più importante di tutti, Gerhard Richter. Ma i tre giovani di cui ci occupiamo, non a caso, sono tutti discendenti di Dada e del Surrealismo, e al loro confronto Pollock (ma non Richter) e Nauman (ma non Christo) finiscono per apparire personaggi del passato.

Un altro riferimento per spiegare qualcosa dell'arte di oggi potrebbe consistere nel provare a rispondere a questa domanda: quale sviluppo è sottinteso alle scelte proposte dall'opera? Si veda un qualunque ritratto accanto a una proiezione di ombre colorate costruita da Eliasson: davanti a un quadro figurativo, che sia fortemente lirico o asettico nella lettura che ne fa la nostra coscienza, l'opera di Eliasson appare indecifrabile, priva di confini, ottenuta con mezzi elettrici e meccanici, eppure clamorosamente coinvolgente e suggestiva. Il ritratto è qualcosa di definito e definitivo, e i suoi sviluppi appaiono improbabili; le ombre di Eliasson sfuggono, giocano, non hanno significato, ma aprono nuove strade.

Gli strumenti usati dai primi della classe sono interessanti e dimostrano la fondamentale contaminazione tra arte e spettacolo già percorsa da Dada e dai Surrealisti; allo stesso tempo il cambiamento e la radicalizzazione avvenuti appaiono vertiginosi.

* Barney e l'uso del cinema. Matthew Barney potrà anche essere considerato uno scultore, visto che nelle sue mostre espone oggetti di paraffina, vaselina, alluminio o plastica, tratti dai film girati, ma se non ci fossero i film la sua scultura non esisterebbe, e la cosa non vale affatto nell'altro verso. Il cinema di Barney, che lui stesso scrive, dirige e interpreta, tuttavia non lo rende né un regista, né un attore, e questa considerazione da sola basta a spiegarne l'unicità: il cinema di Barney esiste in quanto opera d'arte, realizzata da un artefice. I suoi lungometraggi, dal contenuto onirico e simbolico intriso di un surrealismo rivisitato e ossessivo, sono destinati a essere visti soltanto in sala, quando Barney li "espone". Per il momento non sono molti gli artisti che possono seguire Barney su questa strada, di certo una soluzione assolutamente nuova nella storia dell'arte, che equipara il cinema alle arti visive classiche, privilegiando quindi la fruizione di un pezzo originale rispetto alle copie. Barney si serve di una tecnica visiva come quella cinematografica sfruttandone in particolare l'aspetto narrativo, ma allo stesso tempo proiettando nei contenuti una consapevolezza pittorica e scultorea che rende l'immagine in qualche modo ibrida; l'apprendista massone (personaggio del capolavoro di Barney, il terzo episodio di Cremaster) da un lato compie azioni legate alla complessa trama del film, dall'altro si presenta come una maschera, un singolare gigante con una parrucca rosa in testa e uno straccio insanguinato nella bocca.

* Eliasson e gli specchi. Olafur Eliasson punta completamente sull'aspetto tecnico delle sue opere, nel senso che lo spettatore è costretto sistematicamente a chiedersi come sono state costruite o come funzionano: in questo aspetto formalistico vive l'operazione estetica dell'artista danese. Eliasson agisce su due versanti, l'uno razionale egeometrico, basato su caleidoscopi formati da specchi, proiettori, impalcature e su modelli geometrici variamente complessi e articolati, l'altro ispirato direttamente dalla natura, con l'uso di materiali vegetali, di correnti d'aria o flussi d'acqua che entrano in competizione con fiumi e tempeste. Mi è già capitato di scrivere che Eliasson studia la luce artificiale allo scopo non di imitare la luce del sole, ma di creare qualcosa di nuovo; allo stesso modo l'osservazione della realtà lo porta a creare luoghi che, nella loro totale improbabilità, sono di fatto diversi dalla realtà e egualmente veri. Gli spazi immersi in nebbie colorate, creati da riflettori e prismi, non sono luoghi che imitano luoghi del mondo, ma sono luoghi altri, diversi e artificiali, che ognuno degli spettatori - e qui sta la principale novità dell'esperienza di Eliasson - vive in modo diverso: non davvero da spettatore, quanto piuttosto da interprete dell'opera. E' una declinazione resa possibile dalla tecnologia, ma anche dall'inventiva dell'artista; non si tratta di coinvolgere lo spettatore o di farlo entrare Damien Hirsta forza in un meccanismo spettacolare, ma di rendere lo spettatore creatore, perché in sua assenza l'opera non esiste.

* Hirst e la morte. Damien Hirst ha l'istinto e lo spirito di un imbalsamatore (o di un macellaio, come dice Francesco Bonami), un artista scienziato che esorcizza la morte guardandola in faccia. Migliaia di ali di farfalla sono incollate su tela a ricreare incredibili superfici goticheggianti, centinaia di pillole medicinali trovano posto in scaffali meticolosamente predisposti casella per casella, animali interi o sezionati sono esposti dentro la formaldeide. In fondo Hirst e Eliasson si somigliano nelle loro attente e scrupolose osservazioni scientifiche, ma l'inglese ha il gusto e l'ossessione del macabro insiti nella sua produzione artistica, l'amore e il terrore nei confronti del sangue, della carne, della materia stessa della vita e della morte. Dadaista al punto estremo, Hirst h scelto la strada della provocazione a tutti i costi e ne ha tratto popolarità e interesse, insieme a molte critiche. La sua quotazione sul mercato, altissima, lo rende anche soggetto a invidie e sospetti; personalmente, sono disposto a scommettere sulla durata di Barney e Eliasson, mentre su quella dell'artista inglese ho qualche riserva, come ce l'ho per Cattelan e pur tutti coloro che sembrano cercare più il rumore dell'opinione pubblica che la sua vera attenzione e ammirazione.



 



abbiamo aggiornato l'informativa sui cookie