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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Testuali parole

Salvador Dalí e la geometria metafisica.

 


Fig. 1


«[…] L’unica cosa di cui il mondo non avrà mai abbastanza è l’esagerazione»
1 scrive Salvador Dalí nel suo Diario di un genio, e di esagerazione ne sapeva qualcosa: la sapiente costruzione del personaggio pittore-genio sempre sopra le righe è creazione razionale che prende le mosse da questa consapevolezza. Perché il pubblico brama la novità, il vizio, l’inaudito, il tabù detaubizzato; e l’eccentricità, se ben calibrata col talento, è garanzia di successo. Tuttavia lo scopo di Dalí non è, come ci si potrebbe aspettare, esclusivamente estetico, bensì anche filosofico, psicologico e finanche religioso. Attraverso l’immagine pittorica egli si avvia a compiere la missione, ciclopica, per cui si sente chiamato in vita: la conquista dell’irrazionale (dell’inconscio, del sogno, dell’inspiegabile), «[…] perché Dalí, da razionalista assoluto, voleva conoscere tutto dell’irrazionale, non per estrarne un nuovo repertorio letterario e umano, ma al contrario per ridurre e sottomettere questo irrazionale»2. L’arma da lui congegnata per portare a termine tale impresa è il celebre metodo paranoico-critico, in sintesi: analizzare razionalmente – attraverso l’arte – la paranoia, le idee sbocciate ma subito inibite dalla morale, i sogni deliranti tabuizzati dai codici sociali, i desideri inconfessabili. Per usare le parole di Dalí: «si tratterebbe della sistemazione più rigorosa dei fenomeni e dei materiali più deliranti, con l’intenzione di rendere tangibilmente creative le mie idee più ossessivamente pericolose»3. E «una volta spiritualizzato totalmente e definitivamente questo brulichio in putrefazione, la missione e la ragion d’essere dell’uomo sulla terra sarebbero compiute e tutto diverrebbe tesoro»4. Il brulichio in putrefazione è la nostra vita biologica soffocata dagli schemi, i quali, per definizione, semplificano il reale emarginando ciò che di misterioso e potenzialmente nocivo esso custodisce. Fine daliniano è dunque quello di liberare l’uomo dallo schema, perlomeno mostrandogli la via maestra mediante le sue opere razionalmente folli. La tentazione di San’Antonio,ma anche il Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio e molti altri, ad esempio, nel loro capovolgere le regole dell’abitudine ed evocando contemporaneamente un mondo alternativo, surreale (in questo caso potremmo
Fig. 2anche dire surrealista) ma in sé compiuto – razionalizzato dal suo creatore – sconvolge, o perlomeno stupisce, lo sguardo dello spettatore, il quale forse per la prima volta avrà contemplato la rappresentazione nitida di qualcosa che per sua natura non può esserlo (un sogno, un’intuizione, una credenza…). Dalí ci tiene a ricordare che «tale missione, soltanto uno spagnolo poteva compierla tra le scoperte più laide e demoniache di tutti i tempi. Si trattava infatti di dare a queste un senso, di inventare la geometria metafisica»5. Ma non uno spagnolo qualunque; Dalí ne è sicuro: soltanto lui avrebbe potuto riuscirci.

Tuttavia questa desiderio di scovare le formule segrete della geometria metafisica, alimentate da una sorta di misticismo lucido, non nascono nella mente del pittore di Figueres quali intuizioni pure, bensì derivano dalla tesaurizzazione e manipolazione di altre idee filosofiche che attrassero in gioventù il suo spirito inquieto, su tutte quelle del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche: «Quando aprii Nietzsche per la prima volta, rimasi profondamente colpito. Nero su bianco aveva l’audacia di affermare: “Dio è morto!”. Ma come! Avevo appena imparato che Dio non esiste, e adesso qualcuno mi partecipava il suo decesso! Mi si affacciarono i primi dubbi. Zarathustra mi appariva come un eroe grandioso di cui ammiravo la grandezza d’animo, ma nello stesso tempo si tradiva con delle puerilità che io, Dalí, avevo già superato»6. Dalí, pertanto, si apprestava a superare il suo maestro spirituale quando constatò la debolezza dell’uomo Nietzsche distante dalla sua stessa filosofia, divenuto folle, a detta del catalano, per incapacità di esperire fino in fondo la volontà di potenza da lui stesso tematizzata e posta a fondamento dell’agire. Dalí, invece, animato da un’autentica volontà di potenza nietzschena, volle spingere ai limiti estremi ogni esperienza vitale, mantenendo una ferrea lucidità – unica in grado di sancire l’effettiva realizzazione degli intenti, nonché la piacevolezza dell’azione. E continua Dalí: «Ma anche per i baffi, mi accingevo a superare Nietzsche! I miei non sarebbero stati deprimenti, catastrofici, prostrati dalla musica wagneriana e dalla bruma. No! Sarebbero stati affilati, imperialisti, ultra-razionalisti e puntati verso il cielo, come il misticismo verticale»7, come quelli “gai e vivaci” di Velázquez. Paradossalmente, la lezione deicida di Nietzsche «risvegliò in [Dalí] l’idea di Dio»8. Fig. 3Il catalano, fagocitata l’idea della “morte di Dio”, riabilita le tensioni umane al divino quali moti irrazionali ingiustamente soffocati dalla non evidenza razionale, facendoli rifiorire in un trionfo estetico garante di tutte le manifestazioni sotterranee del pensiero. Sul piano morale, però, Dalí confessa: «a imitazione di sant’Agostino, che mentre si abbandonava al libertinaggio e ai piaceri orgiastici pregava Dio di accordargli la Fede, io invocavo il Cielo, aggiungendo: “Sì, ma non subito. Solo fra qualche tempo…”»9. La possibilità della Fede sarebbe dovuta rimanere, appunto, una possibilità – d’altronde, nell’universo di Dalì, non c’è spazio per due dèi10. E tuttavia il tema sacro, oltre ad essere “rivalutato” da Dalí in quanto terreno fertile per compiere i suoi esperimenti razionali su materiale irrazionale, è perfetto per produrre nella testa dello spettatore l’irrappresentabile idea del possibile mondo metafisico, divino. Il Corpus Hypercubus, infatti, si svolge in tre dimensioni facendone però intuire una quarta a noi inaccessibile: quella propria alla figura geometrica dell’ipercubo. A causa della nostra tridimensionalità congenita non possiamo vederla ma solo intuirla, sempre tuttavia attraverso la rappresentazione di un’idea razionalizzata in chiare forme (in questo caso con l’esplicito aiuto della geometria) e colori. Un’idea che nessun uomo sarebbe riuscito a fissare così nitidamente in una sola immagine senza l’aiuto della rappresentazione artistica, in questo caso volontà di potenza cristallizzata in opera attraverso il metodo paranoico-critico daliniano.

Seppur caratterizzata da aneliti filosofici e quasi redentivi, ascetici, la produzione artistica di Dalí è mossa anzitutto da un’inalienabile passione per la pittura come stile d’amare – amore per l’immagine e ciò che si cela dietro, dunque la vita –, e quindi di vivere: «La pittura è l’immagine amata che entra dagli occhi e scorre dalla punta del pennello – e l’amore è la stessa cosa»11. È forse questo il segreto che Dalí ci nasconde? Che l’amore viene prima della geometria e che è l’irrazionale a muovere tutto? Può essere, ma di certo egli è consapevole – ne è testimone il suo metodo – che è nostro (o forse soltanto suo) dovere incanalare questo materiale apparentemente indomabile in energia positiva e utile alla vita.

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1, La tentazione di San’Antonio, 1946, Museo reale delle belle arti del Belgio, Bruxelles, olio su tela, 90 x 120 cm.

Fig. 2, Sogno causato dal volo di un’ape intorno a una melagrana un attimo prima del risveglio, 1944, El Museo Thyssen-Bornemisza, Madrid, olio su tela, 51 x 41 cm.

Fig. 3, Corpus Hypercubus, 1954, Metropolitan Museum of Art, New York, olio su tela, 58,4 x 73,7 cm.

 

Note al testo

1 S. Dalí, Journal d’un Génie, Éditions de la Table Ronde, 1964 ; tr. it. a cura di F. Gianfranceschi, Diario di un genio, SE, Milano 1996, cit., p. 104.

2 Ivi, p. 29.

3 Ivi, p. 165.

4 Ivi, p. 29.

5 Ivi, p. 30.

6 Ivi, p. 18.

7 Ivi, p. 19.

8Ibidem.

9 Ivi, p. 23.

10 Il ritorno di Dalí nel grembo del cattolicesimo è senza dubbio sui generis e ha di certo a che fare col suo essere spagnolo. Tuttavia dai suoi scritti non è facile sostenere la sincerità della sua fede cattolica. Ciononostante, nelle presenti considerazioni si propende per una risposta negativa.

11 S. Dalí, Diario di un genio, cit., p. 186.

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