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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

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Testuali parole

Primarie della cultura

L'idea del FAI (Fondo Ambiente Italiano, organizzazione senza scopo di lucro nata nel 1975)  è interessante: sottoporre agli italiani degli argomenti-problemi-candidati per cui votare, stabilendo quindi una scala di priorità all'interno degli infiniti orrori della politica culturale italiana.
Se la cosa è stimolante, i punti scelti sono stati resi abbastanza illeggibili dalla struttura web che li pone a confronto (www.primariedellacultura.it) e per questo motivo li ho trascritti qui di seguito uno dietro l'altro. In coda, un commento critico molto personale sul contenuto e sulla forma che il FAI ha dato alle sue argomentazioni.


 

 FAI

PRIMARIE DELLA CULTURA

 

01. NON 1 DI MENO: QUOTA MINIMA 1% DEI SOLDI PUBBLICI PER LA CULTURA

Perchè con la cultura si mangia: aumento degli stanziamenti pubblici al mantenimento del patrimonio storico e artistico ed alle attività culturali in linea con quanto avviene nei maggiori paesi europei per favorire il conseguente turismo culturale che ne deriva.

L’industria culturale italiana ha superato i 68 miliardi di euro, pari al 4,9% del valore aggiunto prodotto complessivamente dalla nostra economia (2010) ed il suo contributo al PIL è oggi stimato al 4,5%. Nel 2010 era quasi il 7%.Gli occupanti nelle attività culturali sono 585.000 A fronte di questo gli stanziamenti per i beni culturali in Italia sono solo lo 0,19% contro l’1 circa della Francia e l’1,20 dell’Inghilterra.

 

02. CHI TOCCA IL SUOLO MUORE: STOP AL CONSUMO DEL PAESAGGIO

Per fermare il consumo di suolo: revisione delle norme che tutelano il paesaggio, imposizione di limiti al consumo di suolo anche per le aree non agricole e aggravamento delle sanzioni contro l’abusivismo

In Italia il suolo viene consumato al ritmo almeno di 75 ettari al giorno. Dal 1991 al 2001 (Dati dell’Agenzia Ambientale Europea), pur registrando una stabilità demografica, le città continuano a crescere di 8.500 ettari all’anno. Nei prossimi 20 anni la superficie occupata dalle aree urbane crescerà di circa 600 mila ettari, raffigurabile come un quadrato di 6.400 kmq. Negli ultimi 50 anni, persino quei Comuni che si sono svuotati a causa dell’emigrazione sono cresciuti di oltre 800 mq per ogni abitante perso.
Si stimano 1 milione e 700 mila alloggi abusivi abitati da circa 6 milioni di abitanti per una superficie illegale totale di 800 milioni di metri cubi nonostante ben 3 condoni in Italia: nel 1985, nel 1994 e nel 2003.



03. IO NON DISSESTO: PIANI CERTI PER LA SICUREZZA DEL TERRITORIO

Per contrastare i disastri ambientali : una strategia nazionale contro il dissesto idrogeologico per mettere in sicurezza i territori. La tutela dei territori ha bisogno di misure che favoriscano la valorizzazione dei paesaggi agricoli e della loro vocazione produttiva efficace anche contro rischi idrogeologici

Entro marzo il Ministero dell’Ambiente deve presentare al CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) la Strategia Nazionale per l’Adattamento ai cambiamenti climatici. La Strategia dovrà tener conto di alcune priorità di intervento tra cui: il contenimento del consumo di suolo, la manutenzione dei corsi d’acqua, il recupero di terreni degradati, il miglioramento della gestione dei boschi, l’identificazione delle misure più appropriate per ridurre la vulnerabilità delle coste, etc. Per attuare questa strategia il CIPE dovrà approvare, entro il 1 marzo di ogni anno (a partire dal 2014), un piano annuale degli interventi per la messa in sicurezza del territorio predisposto dal Ministero dell’ambiente.  In dicembre, 6 delle maggiori Associazioni di tutela Ambientale in Italia (FAI, CAI; Italia Nostra, Legambiente, WWF, Touring Club) hanno chiesto al Governo di attuare un'efficace politica di gestione del territorio per prevenire il rischio idrogeologico, in particolare di:

  • Attuare un'efficace politica di gestione del territorio per prevenire il rischio idrogeologico.

  • Fermare il consumo di suolo, con lo stop all'edificazione e la delocalizzazione nelle aree più vulnerabili.

  • Privilegiare gli interventi di rinaturalizzazione e riqualificazione fluviale e dei versanti, in un quadro più ampio di tutela della biodiversità e di riconoscimento del valore dei servizi garantiti dagli ecosistemi.

In Italia circa il 70% dei Comuni è interessato da movimenti franosi per una superficie di 19 mila metri quadrati. Tra il 1950 ed il 2009 le frane hanno provocato 6439 vittime tra morti, feriti e dispersi.
I suoli coltivati, per le loro caratteristiche di permeabilità e porosità, riducono l'erosione idro-meteorica, cioè riducono la possibilità di esondazioni nel caso di piogge intense. L'agricoltura svolge dunque un'importantissima funzione di presidio ambientale e paesaggistico oltre a garantire la produzione di beni pubblici fondamentali quali: la sicurezza alimentare, la tutela della biodiversità e delle risorse naturali e lo sviluppo del turismo di qualità.
A fronte di queste considerazioni i dati sono preoccupanti: nel 2010 si contano 1 milione e 600 mila aziende agricole e zootecniche, il 32% in meno rispetto al 2000 e, nello stesso periodo di tempo, si è verificata una perdita di quasi 300.000 ettari di Superficie Agricola Utilizzata. Siamo dunque di fronte ad un fenomeno di abbandono delle zone rurali e, contemporaneamente, ad un'erosione dei terreni fertili. 

 

04. IO CENTRO: DIFENDERE I CENTRI STORICI

Per fermare l’abbandono dei centri storici: incentivi fiscali e semplificazioni burocratiche per l’apertura di attività artigianali, ricettive e commerciali consone alla vocazione architettonica dei luoghi e maggiori sgravi fiscali per chi abita e restaura la propria casa all’interno di un centro storico

Tra i fattori che incidono maggiormente sul fenomeno della dispersione insediativa e dunque sul consumo di suolo, c'è l'abbandono dei centri storici. Per questo motivo l'Unione Europea ed alcuni Paesi membri hanno messo in atto politiche per il recupero dei centri storici e per il miglioramento della loro vivibilità.
La Germania, ad esempio, all'interno della sua Strategia per la Sostenibilità ha previsto strumenti finanziari per sostenere interventi volti a migliorare l'attrattività dei centri urbani oltreché la loro funzionalità, ad esempio offrendo dei finanziamenti per il recupero di edifici in stato di abbandono o degradati.
La Gran Bretagna ha invece introdotto delle Linee Guida per l'Housing che hanno come obiettivo principale quello di migliorare l'accessibilità e l'offerta di abitazioni per tutte le comunità. Per raggiungere questo obiettivo il documento si propone di garantire un'elevata qualità degli edifici, consentire l'accesso alle abitazioni al maggior numero possibile di cittadini, sviluppare piani abitativi che prevedano servizi e infrastrutture adeguate, riutilizzare aree già precedentemente sviluppate.
Il punto di partenza è dunque investire per una efficiente ubicazione dei servizi pubblici, per migliorare i servizi di trasporto pubblico; aumentare gli spazi verdi e offrire servizi culturali e ricreativi; incentivare la riqualificazione degli edifici esistenti vuoti o in cattive condizioni e l'edificazione secondo criteri di sostenibilità, di basso impatto; ambientale e secondo i modelli costruttivi caratteristici di quell'area; sostenere attraverso incentivi la possibilità per tutte le classi sociali di abitare nel centro cittadino offrendo una varietà di funzioni che consenta di disporre di tutti i servizi necessari in uno spazio ristretto.

 

05. BASTA LEGGI MANCIA, PIANI TRIENNALI PER LE RISORSE DELLA CULTURA

Per la musica, il teatro, il cinema, la danza: programmazione triennale e certezza delle risorse pubbliche a favore delle attività culturali stabilite con criteri di valutazione condivisi anche con gli Enti Locali

Il volume d’affari generato dalle attività di spettacolo è di 3,5 miliardi di euro (2010). Il sostegno statale alle attività di spettacolo è di solo 2 miliardi di euro e ad oggi non è possibile fare programmazione alcuna per mancanza di certezze 

 

06. AGRI-CULTURA: PIU’ LAVORO E BENESSERE A KM ZERO

Agricoltura: se smettessimo di importare prodotti alimentari dall’estero l’Italia avrebbe una capacità di sopravvivenza di soli 3 mesi. Incentivi all’agricoltura come fonte di cibo, lavoro, cura del paesaggio e territorio con criteri innovativi sviluppando l’agricoltura a Chilometro Zero. Il più vecchio lavoro del mondo dal quale dipende molto la futura vocazione del nostro paese.

L’agricoltura a scala europea è stata gravemente colpita dalla crisi, in Italia le aziende sono calate in 10 anni del 32,2% e il loro reddito del 25,3%. C’è stato un forte consumo di suolo agricolo negli ultimi sessant’anni dovuto alla crescita indiscriminata delle città e delle infrastrutture e, in tante aree della penisola c’è stato un significativo abbandono agricolo: questo mette a rischio anche la nostra sicurezza alimentare. Il modello aziendale che più riesce a contrastare la crisi del settore sono le aziende più innovative, legate a modelli multifunzionali, vicini ai principi della sostenibilità ambientale, capaci di garantire efficienza economica, equità sociale, tutela e valorizzazione delle risorse naturali e del paesaggio. Promuovere e sostenere le imprese agricole multifunzionali, ad alta intensità di lavoro, riavvicinare le nuove generazioni a queste attività e rilanciare il settore in una nuova chiave legata alla sostenibilità ambientale, alla salute alla valorizzazione dell’agricoltura di vicinato. Inoltre, da qualche anno il cosiddetto made in Italy agroalimentare, sta mostrando tutte le sue potenzialità come componente robusta e dinamica delle nostre esportazioni.
Agricoltura a Km zero significa anche che gli acquisti sono sostenibili soprattutto dal punto di vista ambientale. Evitano infatti il consumo del carburante indispensabile al trasporto dei prodotti che sono importati; in pratica contribuiscono a ridurre la produzione di CO2 tipica dei veicoli che movimentano la merce. All’estero, in particolare in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, i “Farmers Market” sono diffusi già da molti anni. In Italia ci è voluto più tempo ma questa nuova forma di acquisto si sta diffondendo. I Mercati del Contadino rendono possibile l’accorciamento della filiera produttore-consumatore, eliminando gli intermediari e consentendo, in questo modo, un risparmio economico pari al 30%. Ma il vantaggio non è solo questo. Comprare direttamente dal produttore consente di acquistare prodotti freschi, ma soprattutto nazionali se non addirittura locali. Ed è questo l’aspetto più interessante. Prediligendo i prodotti nazionali di stagione la nostra spesa si trasforma immediatamente in una spesa a “Km zero” .

 

07. LEGGE SPECIALE PER IL TERZO SETTORE CHE OPERA NEI BENI CULTURALI

Perché insieme si è più forti: riconoscimento del terzo settore e dei privati come fondamentali interlocutori per la valorizzazione, la gestione e la promozione del patrimonio storico, artistico e naturalistico

Non esiste una legge speciale per il no profit in Italia e l’apertura ai privati è burocraticamente ostacolante e demotivante. Necessità di individuare i privati con i requisiti adatti per essere partners seri dello stato e stabilire regole condivise che favoriscano l’entrata in campo di soggetti privati che possano garantire la corretta gestione dei beni culturali pubblici anteponendo gli interessi della collettività.

 

08. NO PROFIT, NO TASSE: INCENTIVI PER CHI OPERA NEI BENI CULTURALI

Per essere più europei: riduzione delle imposte indirette agli enti non profit che operano nella conservazione e nella gestione dei beni culturali e incentivi fiscali per le donazioni private

Le erogazioni liberali ed il sostegno alla cultura da parte dei privati in Italia sono ancora troppo poche rispetto il resto d’Europa e gli Stati Uniti:32 milioni di euro nel 2010 rispetto ai 4 miliardi di euro della Germania, gli 820 milioni di euro della Gran Bretagna, i 380 milioni di euro della Francia ed i 13,3 miliardi di dollari degli Stati Uniti.


09. RICOMINCIO DA TRE (ORE): PIU’ STORIA DELL’ARTE A SCUOLA

Perché un'ora alla settimana non può bastare a fermare l’ignoranza: triplicare le ore di insegnamento di Storia dell’Arte in tutte le Scuole superiori

L’aumento delle ore di storia dell’arte nei soli licei classici non può certo compensare il taglio netto del 50%  negli istituti tecnici per il turismo  o l’eliminazione negli Istituti professionali. L’insegnamento della storia dell’arte deve costituire parte fondamentale della formazioni degli allievi di ogni scuola superiore contribuendo alla diffusione della cultura artistica nonché dei principi di rispetto e tutela del nostro patrimonio.
I saperi dell’Italia sono sempre stati  arte/letteratura/musica ed architettura. Perché allora si privilegia solo lo studio della letteratura rispetto alle altre voci? Devono avere lo stesso peso a scuola.

 

10. MI RICORDO, SI’, IO MI RICORDO: SALVIAMO LE BIBLIOTECHE

Perché la memoria di ciò che eravamo non si perda: la riorganizzazione delle biblioteche e archivi e la loro digitalizzazione per garantire la loro sopravvivenza e consultazione in futuro anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie

Il numero di biblioteche che oggi chiudono è enorme. Non si percepisce più che queste sono sempre state il deposito del sapere e la testimonianza della storia dell’uomo e che pertanto non solo devono sopravvivere come documenti originali preziosissimi ma devono poter essere facilmente consultabili grazie alla digitalizzazione ed alle nuove tecnologie che oggi la scienza permette.
Il nostro patrimonio archivistico è uno dei più importanti del mondo, ben 1.646 km di scaffalature pari alla lunghezza dell’intero Paese, da Milano a Trapani.
Negli archivi si conservano ben 14 milioni di unità archivistiche, 1,5ioni di pergamene, 800.000 mappe, 35.000 sigilli, 12.500 monete, 600.000 fotografie ed un numero estremamente rilevante di negativi, audiovisivi, ecc.


11. PROGETTO MIBAC 2.0

Per uno Stato più efficiente e moderno: adeguare le politiche culturali e di tutela e le professionalità necessarie a metterle in atto per consentire al Ministero per i Beni e le Attività Culturali un ruolo più incisivo ed attuale.

Serve una riforma del Ministero per i Beni e le Attività Culturali perché la sua missione sia adeguata alle richieste che i tempi chiedono non solo di tutela ma anche di corretta gestione e valorizzazione attiva perché non sia mai più considerato un Ministero di serie B
Negli ultimi 10 anni il bilancio del Mibac è diminuito del 36,4 %. Forte diminuzione anche  per il Fondo Unico dello Spettacolo che perde il 17,9 % in un decennio mentre i fondi derivanti il Gioco del Lotto dal 2008 al 2011 passano da 78 a 47 milioni di euro, con una diminuzione del 39%. Le sponsorizzazioni legate alla cultura dal 2008 al 2011 diminuiscono del 38,3%.

 

12. PIU’ START-UP PER TUTTI: VERE AGEVOLAZIONI PER I GIOVANI
Perché la cultura è un opportunità: dal recupero dell’evasione fiscale, un fondo per favorire lo startup delle iniziative affidate a cooperative di giovani che vogliano misurarsi con la gestione e tutela di beni ed attività culturali offrendo loro deduzioni fiscali così come dovrebbero essere offerte a tutti i privati che volessero appoggiare la cultura in tutte le sue manifestazioni.

 

13. MENO ITALIALAND, PIU’ ITALIA: POLITICHE INTEGRATE PER IL TURISMO

Perché andiamo indietro come presenza nel turismo quando abbiamo il paese più bello del mondo? Ha fatto bene l’Italia ad abolire il ministero per il Turismo attribuendo competenze in materia alle regioni?

Abbiamo meno visitatori della Francia ma  la Campania possiede tra i più importanti circuiti archeologici del mondo. E’ necessaria una programmazione coordinata a medio termine tra Ministero dello Sviluppo, del Turismo e dei Beni culturali insieme agli Enti Locali che riporti il nostro Paese tra i primi in numero di visitatori: infrastrutture,sostegno alla cultura e ai beni culturali, promozione, il grande progetto per il rilancio del nostro turismo culturale attraverso anche la creazione di una grande piattaforma digitale che raggruppi le principali azioni di promozione turistica.
Dopo un periodo di difficoltà per il mercato del turismo registrato tra il 2009 ed il 2010, nonostante la crisi economica mostra nell’ultimo anno un andamento positivo con un incremento del 4,4% rispetto al 2010 nel mondo, del 5,8% in Europa e del 5,4% in Italia con una spesa dei turisti stranieri nel nostro Paese aumentata nel 2011 del ben 5,3%.

 

14. RESTAURO, RESTA CON NOI: TUTELARE L’ARTIGIANATO DI QUALITA’

Noi siamo ancora i migliori: nel restauro, nell’artigianato di qualità, nella conservazione dei beni d’arte. Potenziare gli investimenti nella formazione e nella promozione di competenze che sono l’ orgoglio del nostro paese.

Come mai questo non avviene? L’Istituto Superiore per Conservazione e il Restauro è a tutt’oggi considerato il migliore al mondo sia per la formazione che dà sia per gli interventi che realizza ma i fondi gli vengono tagliati irrimediabilmente ogni anno.
Le prime stime elaborate dal Ministero dello Sviluppo Economico – DG PMI e Enti Cooperativi – Div. VIII - individuano in circa 5 milioni le imprese artigiane in Europa, pari al 25% dell’universo imprenditoriale. L’Italia si caratterizza per il ruolo di primo piano dell’artigianato, sia in termini di esportazioni, sia in termini di incidenza nella creazione della ricchezza nazionale: oltre 1.450.000 imprese artigiane attive (ovvero circa il 35% del totale delle imprese italiane extra agricole).
Un primo indicatore è rappresentato dalla vocazione imprenditoriale artigiana, espressa dal rapporto fra la numerosità delle imprese artigiane e la popolazione residente. In Italia tale incidenza si attesta su un valore medio di 24,7 imprese ogni 1.000 abitanti, ma risulta particolarmente elevata in alcune regioni (Emilia Romagna, Marche, Valle d'Aosta, Toscana, Veneto e Piemonte), tutte al di sopra della soglia delle 30 imprese artigiane per mille abitanti.

L’importanza delle imprese artigiane quali fonti di impiego risulta evidente anche dall’analisi del peso degli occupati dell’artigianato sul totale degli occupati, pari al 15,4% se si prende in esame l’occupazione extra-agricola complessiva.
Coerentemente con la diversa numerosità d’impresa, l’area del Paese in cui si registra la quota più consistente di occupati nel comparto artigiano è il Nord: il 30,6% degli occupati totali del settore è impiegato, infatti, nel Nord Ovest e un altro 26,2% nel Nord Est, a fronte del 23,5% del Mezzogiorno e del 19,7% del Centro.
 L’artigianato rappresenta in Italia non soltanto una realtà diffusa in termini di numerosità d’impresa, ma anche una notevole fonte di ricchezza per il Paese nel suo complesso: il contributo del settore artigiano in termini di valore aggiunto sfiora i 150 miliardi di euro, ossia il 12,5% del valore aggiunto nazionale al netto dell’agricoltura; inoltre, circa 58,6 miliardi sono imputabili alle imprese artigiane dell’industria in senso stretto, 35,4 a quelle attive nell’ambito delle costruzioni e 53,9 alle aziende artigiane dei servizi.

 

15. DIRITTO ALLO STUDIO, DOVERE DI FINANZIARLO

Formazione: sostegno alla creatività come nuova frontiera? Quale formazione sarà necessaria in futuro, come sostenere i migliori di ogni disciplina evitando la loro fuga all’estero?

I tagli di Stato all’Università italiana negli ultimi 5 anni sono pari ad un miliardo e mezzo di euro.
L’indispensabile collegamento tra Università e Ministero dei Beni Culturali, cioè l'indispensabile collegamento tra ricerca nelle facoltà di architettura, ingegneria e lettere/storia dell'arte e il Ministero, a supporto delle nuove frontiere della catalogazione, studio e restauro sia dei monumenti che di quadri e oggetti di ogni tipo. Come succede nelle facoltà di Medicina dove gli studenti di medicina possono fare i volontari in ospedale e dove gli specializzandi già lavorano percependo qualcosa. Se anche il MIBAC creasse delle sinergie del genere si ringiovanirebbe moltissimo e darebbe subito possibilità agli studenti di fare pratica mentre il Ministero ne avrebbe un indubbio vantaggio economico. L’università italiana è sempre meno strutturata per formare adeguatamente i suoi studenti, per garantire l' accesso ai meno abbienti tramite le borse di studio offerte dallo Stato, per saper selezionare e trattenere i migliori studenti e garantire cosi il naturale ricambio generazionale di accademici di qualità. Oggi gli insegnati in carica italiani sono in percentuale i più vecchi di Europa. I problemi risalgono alla riforma universitaria del 1980 e poi all'invenzione delle lauree brevi che di fatto ha diminuito il valore delle lauree in Italia. In ultimo la riforma del 2011 ha provato a ripristinare il vecchio ordinamento ed a introdurre norme più rigide nei concorsi per evitare le baronie e soprattutto contrastare la parentopoli universitaria,  ma pare che a norme più rigide non abbia corrisposto il ricercato successo. Il taglio dell'ultimo Ministro ai fondi destinati all'università (circa 1 miliardo di euro con misura inserita nella spending review significa che 145.000 studenti dell'ultimo anno accademico dei 180.000 ritenuti idonei non riceveranno le promesse borse di studio. Il fondo nazionale per le borse di studio e stato tagliato del 95 per cento (dati forniti dall'Unione degli universitari). Paesi come Francia o Germania investono nel diritto allo studio miliardi di euro mentre l'Italia nel 2013 arriverà a spendere solo 12 milioni.


 

 Un commento alle Primarie della Cultura

 

Se leggiamo i 15 punti proposti dal FAI come essenziali per una svolta nel rapporto tra la pubblica amministrazione e il territorio, non si può non trovarsi d'accordo su tutti e su tutto. Sono idee corrette, parlano di problemi veri, spingono a riflettere sul poco che l'Italia fa per mantenere il proprio patrimonio e sul molto che si dovrebbe invece fare.

In queste argomentazioni condivisibili, il FAI tuttavia espone e rivela, senza rendersene affatto conto a mio parere, una notevole quantità delle pecche che contraddistinguono in genere il comportamento degli italiani.

In primo luogo, il FAI ripete per l'ennesima volta la patriottica affermazione che l'Italia è il paese più bello del mondo, che il nostro patrimonio artistico è eccezionale, che le nostre scuole di restauratori sono le migliori e che i nostri artigiani sono insuperabili. Ogni volta che leggo frasi del genere, mi trovo a pensare che ci meritiamo i danni che ci siamo inflitti; non ci vuole molto ad accorgersi del ridicolo di queste affermazioni piene di boria e del tutto prive di basi, in un contesto che dovrebbe essere pieno di umiltà. Mi ricorda il comportamento di molti emigrati che si procurano con ogni mezzo i cibi del proprio paese non perché trovino cattivo il cibo del paese ospite, ma perché neppure lo assaggiano, ritenendolo a priori immangiabile!

Ma se la forma delle primarie del FAI presenta questo spiacevole provincialismo di fondo, innocuo nel complesso, molto più imbarazzante è il pensiero che affiora dietro ai contenuti, un pensiero che di fondo appare antiquato, dettato da luoghi comuni, ancorato a una visione del mondo che era buona forse ancora 40 anni fa, ma che è ormai è tramontata. E' una visione che ignora – volutamente? - la svolta digitale del mondo, la interconnessione sviluppatasi tra i saperi, la totale e incredibile velocità delle trasformazioni che stiamo vivendo.

Intendiamoci bene: il ritorno all'agricoltura, per esempio, è fondamentale e personalmente ne ho scritto già in passato, ma la sensazione è che il FAI stia immaginando un ritorno alle fattorie di una volta, al lavoro di una volta, agli aratri tirati dai buoi … I contadini che sogna il FAI non esistono più, dovrebbero esistere invece agricoltori tecnologicamente evoluti, che hanno studiato, che amano la terra e che sanno custodirla; le tradizioni di una volta, specie nel Centro e nel Sud Italia, non sono in grado di produrre per una popolazione che è enormemente superiore a quella di 150 anni fa. Le tecniche produttive devono essere aggiornate.

Quando il FAI propone di salvare le biblioteche, non spiega come farlo, perché non bastano i soldi a salvare una biblioteca; e non basta studiare la Storia dell'Arte per salvare le opere d'arte, come non basta studiare Lettere per salvare i libri …. Se il FAI scrive che bisogna studiare più Storia dell'Arte a scuola (attenzione: io sono da 25 anni un docente di Storia dell'Arte!) sembra dire che grazie alla conoscenza del nostro patrimonio artistico saremmo maggiormente in grado di conservarlo. Il FAI non sottolinea, questa volta, che in Francia, Germania e Inghilterra, Storia dell'Arte NON è materia obbligatoria nelle medie superiori; lo propone perché crede che l'Italia possa vivere di turismo d'arte, e non capisce che è semmai la logica economica e matematica che bisogna imparare “di più” nel nostro paese, la filosofia economica e politica, la capacità di gestire un patrimonio e non soltanto di conoscerlo. E per gestire un patrimonio bisogna sapere che cos'è, com'è fatto, dove si trova, un'operazione che richiede conoscenze non artistiche, ma tecnologiche, soprattutto informatiche per la gestione delle banche dati. I veri problemi del Paese sono l'analfabetismo di ritorno (giunto al 45% della popolazione!) e il digital divide, basta sfogliare i dati internazionali in materia per accorgersene.

Quando il FAI ripete come in una litania per gran parte dei 15 punti che bisogna investire più soldi in cultura, finisce per sembrare uno di quei noiosi piantagrane che chiedono molto più del dovuto sapendo di poter ottenere comunque poco. In realtà, un piano per riformare le nostre strutture non può fare a meno della volontà di tutti, ma questa volontà si acquisisce comprendendo ciò che possiamo fare, ciò che possiamo dare; e per comprendere il mondo di oggi, non bastano le buone intenzioni e i soldi, ci vuole la capacità costosa e faticosa di diventare/essere/mantenersi aggiornati. 

 

 

 

 

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