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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

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Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Aspettando Godot di Samuel Beckett secondo Mario Sciaccaluga


Chi ha avuto modo di assistere ad alcune delle innumerevoli regie di Aspettando Godot che dagli anni 60 in poi si sono implacabilmente susseguite sui palcoscenici italiani, non può che rimanere colpito dalla densa umanità che emana dalla versione di Sciaccaluga, prodotta dal Teatro Stabile d Genova. Vladimiro ed Estragone che ingannano l’attesa di Godot reiterando i loro piccoli riti quotidiani e i loro bisticci apparentemente insensati, sono stati molto spesso ridotti ad un duo emblematico, due tragici clown cui spetta l’arduo compito di rappresentare il vuoto esistenziale della modernità. Indubbiamente lo sono, ma il perfetto meccanismo testuale è tanto scarno quanto ricco di spunti interpretativi, una vera e propria partitura musicale dove le abbondanti didascalie, i lunghi silenzi e le pause suggeriscono movimenti interiori da tradurre in azione scenica. Nulla è più deviante del credere che durante la piéce non accada nulla. Quel che manca è semmai un intreccio tradizionale, costruito sullo sviluppo diacronico degli eventi, ma il Tempo, sia interno che esterno, è scandito da tanti piccoli, impercettibili accadimenti. Il minimalismo espressivo degli ultimi anni ha interpretato l’economia verbale del testo come segno dell’assoluta incomunicabilità tra i personaggi.

Interpretazione più che mai plausibile e consolidata ma, forse, incompleta. La regia di Sciaccaluga pur rimanendo fedele al testo, si inoltra tra le maglie delle parole per esplorare le emozioni e i bisogni di Didi e Gogo, volgendo l’attenzione del pubblico sulle loro fissazioni, sui loro acciacchi, le loro improvvise visioni e rivelazioni, la loro pazienza e, perché no, anche la loro contentezza. Sempre in bilico tra concretezza e astrazione, i due vagabondi appaiono più credibili e per questo più tragici.

L’impianto scenografico pensato da Jean-Mare Stelé e Catherine Rankl, punta ad un maggior realismo e dà visibile consistenza all’arbusto striminzito che, oltre a rappresentare il passaggio del tempo e il susseguirsi delle stagioni, invoglia per ben due volte i due barboni ad impiccarsi. Racchiusa in un diorama, la landa desolata si colora di cespugli giallastri e di muschio terrigno e lascia intravedere fughe prospettiche troncate da un’enorme cornice a forma di campana che sembra comprime l’insieme all’interno di una enorme bolla di vetro. Il gioco sapiente delle luci suggerisce l’alternarsi del giorno alla notte, in una sequenza di immagini di rara bellezza mai fine a se stessa.

Ugo Pagliai nei panni di Vladimiro ed Eros Pagni in quelli di Estragone danno vita a due vagabondi ormai avanti negli anni, affaticati e appesantiti anche dai dolori della vecchiaia. Entrambi danno segni di sofferenze reumatiche e articolari e Vladimiro è visibilmente affranto anche da disturbi alla vescica. Sia l’uno che l’altro indossano le classiche bombette e le scarpe dei comici del varietà, ma non sono affatto personaggi intercambiabili né, tanto meno, riassumibili con un paio di aggettivi. Sono malinconici e disperati, ma l’arrivo del fantomatico e salvifico Godot non sembra essere il loro pensiero principale. Il tempo della rappresentazione sembra dilatarsi in quello interiore dei personaggi e il pubblico viene come invitato a condividere quel maledetto senso di vuoto che occorre riempire per non pensare. Vladimiro appare più paziente di Estragone che si rivela più che mai capriccioso nella sua continua richiesta di attenzioni. La vasta gamma di coloriture timbriche di Pagni esprime ad una ad una tutte le infinite variazioni di umore del personaggio e ridefinisce molti aspetti della sua personalità. La sua costanza e il suo senso pratico lo portano a non indugiare nei sogni. Sopporta la vita perché ha imparato ad accontentarsi e ad abituarsi alle piccole cose che gli restano da fare. Piuttosto, preferisce inseguire il flusso dei suoi ricordi per il puro piacere di farlo. Estragone, come si sa, è il suo perfetto contrario e cerca di evadere nel sonno e nella dimenticanza. L’interpretazione dei due attori, tuttavia, fa sì che la complementarità dei personaggi non risulti mai geometrica. Le battute fulminee vengono pronunciate con ponderata lentezza e sono accompagnate da gesti che ne amplificano la portata di significato. Così, ad esempio, i frequenti vuoti di memoria di Estragone (a volte si scorda perfino del nome di Godot) si accordano sulle tristi note della senilità, aumentando la dimensione tragicomica del personaggio.

Lo spettacolo grottesco offerto da Pozzo e Lucky è, come deve essere, una brutale incursione dal mondo esterno e pietra di paragone dei valori incarnati dai due vagabondi. Tuttavia la coppia padrone -vittima si configura troppo marcatamente come emblema della violenza e della volgarità del potere famelico delle nuove generazioni. La tracotanza di Pozzo, interpretato dal giovane Gianluca Gobbi, esplode in scena in modo parossistico e sottolinea l’inerzia di Lucky (Roberto Serpi),associabile a quella dell’ “artista in vendita” di oggi. L’identificazione non è ingiustificata perché Lucky viene presentato nel testo come paladino ingenuo della ragione, della bellezza e della verità. Ed è lui stesso un fenomeno da baraccone da gettare in pasto al pubblico, tanto che Vladimiro ed Estragone parlano dello spettacolo offerto dagli intrusi in termini apertamente meta-teatrali:

V.: “Sembra di essere al teatro”.
E.: “Al circo”.
V.: “Al varietà”.

E.: “Al circo”.

Ma la scelta di far coincidere Pozzo e Lucky con l’orda barbarica dell’oggi, rischia di banalizzare l’intera pièce, trascinandola in contesto culturale fin troppo riconoscibile. Inoltre l’arroganza di Pozzo, la sua aspirazione alla ricchezza, pone la superiorità di Vladimiro e di Estragone su di un piano morale generico, mentre la grandezza dei due vagabondi è sostanzialmente definita dalla loro totale assenza di illusioni e dalla consapevolezza che, a parte Godot, c’è poco da aspettarsi dalla vita.

Lo spettacolo nel suo insieme conserva tuttavia una notevole forza d’impatto. Riplasmando a tutto tondo l’umana fragilità dei due barboni, la regia riesce a trasmettere con maggior forza la disperata condizione dell’attesa che tutti ci riguarda. Ma non mancano spiragli, perché Didi e Gogo sembrano dirci che, nonostante tutto, ci sono momenti in cui la vita, vale la pena viverla.

 

Scheda tecnica
Aspettando Godot, di Samuel Beckett. Versione italiana di Carlo Fruttero

Scene: Jean-Marc-Stehlé, Catherine Rankl. Costumi: Catherine Rankl. Musiche: Andrea Nicolini. Luci: Sandro Sussi.
Con Ugo Pagliai, Eros Pagni, Gianluca Gobbi, Roberto Serpi, Alice Arcuri

Regia : Marco Sciaccaluga.

Visto a Roma al Teatro Argentina

Prossime rappresentazioni:

8-13 febbraio 2011, Teatro Verdi, Padova.

16-20 febbraio, Teatro Sperimentale, Ancona.

23-27 febbraio 2011, Teatro Metastasio, Prato.




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