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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Cenerentola palermitana

Con Anastasia, Genoveffa e Cenerentola, Emma Dante si rivolge ad un pubblico di picciriddi, come li chiama lei, ma gli ingredienti drammaturgici di questo delizioso spettacolo per bambini e adulti sono quelli che farciscono la sua ampia e variegata produzione teatrale. La storia è quella di Perrault, ne più ne meno, ma la tragicommedia familiare della figliastra sfruttata e abusata da matrigna e sorellastre tanto più crudeli perché stupide, viene calata in un microcosmo domestico del Sud mitologico e simbolico tanto caro alla Dante. Un microcosmo che coincide e si identifica con quello del teatro e che è tanto tangibile e umano, quanto fantastico e marionettistico. La movimentatissima azione scenica ruota infatti attorno ad un siparietto che evoca un piccolo carro di Tespi ma che, allo stesso tempo, rimanda ad un interno di famiglia meridionale e popolare grazie ai tendaggi, alle coperte e agli scampoli di stoffa che di volta in volta vi si srotolano sopra. La fata con il suo vestitino tipo maschera di carnevale per bambini anni sessanta, è impacciata e sbadata e dà l’impressione che gli incantesimi le riescano per puro caso. Il focolare domestico è un vero e proprio nido di vipere e il chiacchiericcio tra le sorellastre un po’ bruttine e la dispotica madre a caccia di un buon partito, seppur comico, suona come asfissiante, anche grazie al dialetto palermitano che rimanda, inevitabilmente, ai confini soffocanti di un universo femminile ancestrale e repressivo. Le donne sono sgraziate e volgari, e Cenerentola che è l’unica a non parlare il dialetto, si difende come può dal suo isolamento, evadendo nel suo stesso immaginario. Le occasioni di fuga si concretizzano in scene di straordinaria sospensione magica, come quando la fanciulla danza da sola con le ramazze in equilibrio su se stesse o come quando insegue lo squittio del suo unico amico, il topolino. Nulla di patetico né di fiabesco nella vita della giovane donna, sottomessa per causa di forza maggiore, ma che tuttavia trova un’arma di riscatto nella sua stessa intelligenza e generosità d’animo. Appare chiaro che il principe la scelga non soltanto per la sua bellezza (tanto bella, a dire il vero, non lo è) ma anche per l’ unicità della sua persona e forse anche per la sua libertà che si scatena in un sensualissimo tango (altro che walzer!) durante la festa a palazzo.

Il ritmo dell’azione scenica è a dir poco accelerato e alla fine dello spettacolo ci si chiede come abbiano fatto i quattro giovani attori a sostenere più ruoli (i personaggi sono sette) rispettando i tempi di entrata e di uscita. Anche perché i brevi episodi sono sostenuti da brani musicali che, oltre ad offrire un satirico commento sonoro ai fatti, ne scandiscono la convulsa successione. Si può dire che da Le pulle in poi, e subito dopo la regia operistica di Carmen, la Dante abbia iniziato a piegare la parola alla musica, conferendo alla struttura drammaturgica la qualità di partitura musicale. Nel caso di questa piéce per bambini di può parlare di operetta o di musical in forma ridotta. Si passa dal frenetico “Billie Jean” di Michael Jackson che scandisce il frenetico agghindarsi delle sorelle occhialute a “ Perdere l’amore” di Massimo Ranieri cantato in playback dal principe quando la sua bella gli sfugge di mano allo scoccare della mezzanotte. Musica popolare per un teatro povero, fatto con pochissimi mezzi ma tante idee. In un periodo di teatro-panettone, preconfezionato per spettatori in fuga da preoccupazioni, questa Cenerontola agile e frizzante, per niente buonista ma nemmeno ammantata di psicologismi intellettualistici o di ovvie interpretazioni sociologiche, giunge come un sollievo. E’ uno spettacolo intelligente, che smaschera le illusioni. Cenerentola non perdona le sorelle, non porge l’altra guancia, bensì si vendica. La matrigna viene trasformata in un mastino napoletano al quale le due sorellastre si attaccano per succhiargli il sangue. Un finale comico e nero che ben si amalgama con la sospensione onirica e il realismo graffiante e un po’ crudele dell’insieme.

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