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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Il lavoro di vivere, di Hanoch Levin

 

Decisamente imperdibile Il lavoro di vivere in scena al Piccolo Eliseo Patroni Griffi fino al 5 marzo, per l'accurata regia di Andrée Ruth Shammah e la superba interpretazione di Carlo Cecchi, affiancato dai pur bravi Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto.

Poco conosciuto in Italia, l'israeliano Hanoch Levin, prematuramente scomparso nel 1999, ha lasciato 56 pièces, tra drammi politici, mitologici e da camera, caratterizzati da un linguaggio al cianuro che fa luce sui vari aspetti della vita con assoluto distacco e chiaroveggenza.

Il lavoro di vivere è una breve pièce che scava nel vuoto esistenziale di una coppia attempata, tenuta insieme da trent'anni dalla forza dell'abitudine. Lui, Yona Popoch (Cecchi) attribuisce il suo fallimento e la sua frustrazione alla noiosa e sterile convivenza con una donna stupida con la quale non ha nulla a che spartire. Per lui la moglie è "un culo che gli ha schiacciato l'anima ", "un pezzo di carne rinsecchita " per il quale ha rinunciato alla bellezza e alla spiritualità. Lei, Leviva Popoch (Carotenuto) è una donna pratica e senza pretese che ammette di averlo sopportato per la paura della solitudine.

I dialoghi essenziali e feroci trasformano la scena in un vero e proprio ring. Lo scontro, per lo più, linguistico avviene di notte nel chiuso di un'angusta stanza da letto. La scena opprimente di Gianmaurizio Fercioni posiziona un lettone bianco sopra una pedana inclinata, aggettante verso il pubblico. Lo stretto contatto tra attori e spettatori è previsto dal testo che sottolinea la sua natura metateatrale attraverso un'infinità di a parte in cui un personaggio si rivolge direttamente al pubblico per anticipare le battute che verranno dette da un altro. Questo accade quasi sempre a Yona che conosce così a fondo il repertorio di ricatti e lamentele della moglie da prevedere le singole parole che sta per pronunciare. L'effetto comico che ne deriva crea un distacco emotivo dalla vicenda, un senso di straniamento che induce lo spettatore a riflettere sui propri vuoti e fallimenti.

L'esplicita rivelazione del testo come finzione si accorda perfettamente con lo stile di Cecchi, che mescola indolenza, riluttanza e svogliatezza nel pronunciare le battute come per ostacolare una fluida autenticità della recitazione. Il personaggio di Yona sembra cucito su di lui, che sostiene la parte con gelido cinismo e totale disincanto, commentando gesti e battute con l'amara consapevolezza della vacuità del tutto.
E' terribilmente stanco della monotonia della sua vita e fa le valigie perché non vuole rinunciare a quel poco che gli resta. Leviva parte al contrattacco offrendogli il suo corpo "scaduto" e i goffi approcci erotici che ne conseguono sono a dir poco grotteschi. Fulvia Carotenuto ha uno stile recitativo vario, diretto e sanguigno. Sulle prime, la sua Leviva si prende gli insulti del marito in modo remissivo, balbetta qualche risposta alle accuse di lui, ma poi parte in quarta e gli rende pan per focaccia in modo molto aggressivo e convincente.

Meno riuscito appare il personaggio di Gunkel, un vicino di casa scapolo che bussa alla porta di casa per chiedere un'aspirina. In realtà cerca calore umano e fa di tutto per istallarsi nell'appartamento. Ha paura di morire da solo e si intrufola nel loro letto. L'interpretazione di Massimo Loreto scade un po' troppo nel patetico e nel grottesco, ma riesce a materializzare in scena il peso insostenibile della solitudine, che risulta ancor più penosa quando rimane poco da vivere. Per reazione, i coniugi si alleano e ballano nella stanza. Ma la riconciliazione è solo apparente e temporanea. Non c'è scampo per nessuno, single o accoppiati gli esseri umani sono tutti dei Gunkel. Soli, spaventati e incompiuti. E forse ha ragione Leviva quando immagina che tra il pubblico si nascondano delle anime dei morti, che sorridono davanti agli sforzi dei vivi di dare un senso alla propria esistenza. Un momento fortemente poetico che non contrasta affatto con la crudeltà della pièce.

La regia di Shammah rispetta i tempi e i ritmi del testo e quelli degli attori. I vari passaggi sono scanditi da un uso sapiente delle luci. Le immagini sono curate in ogni particolare, dalla scelta degli oggetti di scena alla prossemica degli attori.

Il finale per niente scontato offre uno spunto in più per interrogarsi sul senso della vita e su quello della morte.

  

Scheda tecnica

IL LAVORO DI VIVEREdi Hanoch Levine, traduzione dall'ebraico e adattamento di Claudia Della Seta e Andrée Ruth Shammah.
Allestimento scenico: Gianmaurizio Fercioni. Luci: Gigi Saccomandi. Costumi: Simona Dondoni. 
Con: Carlo Cecchi, Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto.
Produzione Teatro Franco Parenti-Marche Teatro.
Visto al Piccolo Eliseo Patroni Griffi di Roma nel febbraio 2017.
Prima nazionale al Teatro Franco Parenti di Milano, il 14 dicembre 2014.

 

 

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