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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Macbeth, o del sovrannaturale

 

 

Tragedia della bramosia di potere per eccellenza, dell’ambizione sfrenata capace dei più efferati delitti per affermarsi, della malvagità umana in grado di sfidare anche l’incognito e l’occulto, mossa tuttavia non da un rancoroso riscatto alla propria deformità come in Riccardo III, ma da una predizione stregonesca attinente alla sfera del magico, del surreale, dell’onirico che permea l’intera vicenda, facendone un testo di grande impatto emotivo e forza drammatica.

Per la sua compattezza di stile e coerenza narrativa, per il suo forte richiamo agli istinti più primordiali, per la sua dimensione trascendente che governa le azioni umane Macbeth è un’opera che si è prestata a svariate rappresentazioni in grado di sfidare proprio quegli elementi inconsci di ossessione, delirio, visione, incubo, profezia che rendono la tragedia quasi “sovrumana”, incontrollabile dagli stessi protagonisti che da autori di misfatti ne diventano le vittime.

Luca De Fusco si era già misurato con un grande dramma storico shakespiriano, Antonio e Cleopatra, e con l’unica trilogia intera pervenuta dal teatro greco, l’Orestea di Eschilo. In entrambi aveva sperimentato una contaminazione di codici che sul palcoscenico avevano creato una messinscena multipla grazie all’intreccio di teatro, musica, danza, installazioni video, trasparenze scenografiche, primi piani cinematografici.

Nel dramma storico ambientato nell’antica Roma il buio dominava la scena, laddove alternativamente si illuminavano i corpi degli attori che a distanza dialogavano tra loro mentre sul trasparente venivano proiettati i loro volti in primo piano. Le posizioni spesso statuarie che assumevano su blocchi di pedane e scale dislocati sulla scena rappresentavano anche i diversi “luoghi” del dramma - Alessandria, Roma, Atene, Azio - rendendo più coesa la vicenda che si articolava proprio attraverso quei corpi e quelle voci che emergevano dal buio.

Il lavoro sulla trilogia eschilea è stato ancora più sperimentale, dal momento che il regista ha combinato la prosa con la musica, la danza con il canto, la classicità con l’elettronica, il cinema col video. Tanto da connotare ogni tragedia con un linguaggio dominante e una specifica regia in cui risaltasse la proprietà dei mezzi usati - come la scenografia teatrale, la proiezione cinematografica, l’installazione video - grazie a cui i corpi degli attori, dei danzatori e dei cantanti potessero dare forma ai diversi momenti della storia senza mai scadere nella retorica o nella staticità.

Col Macbeth la regia di De Fusco addensa ancora di più la sua sperimentazione in una scena scarna, asciutta, ridotta a un blocco centrale di piani componibili che assumono di volta in volta la forma del talamo o del banchetto o del trono nella reggia di Macbeth, intorno a cui orbitano i diversi personaggi a loro volta proiettati sullo sfondo o sul trasparente a seconda del rilievo che gli si vuole dare. Un pannello dietro la struttura centrale funge in particolare da specchio quando vi si proiettano gli attori di spalle, da primo piano quando invece ne risaltano i volti, da riflesso onirico quando vi appaiono gli spettri dei morti o altre ossessioni inquietanti come il pugnale insanguinato o il volto dell’erede al trono.

La dimensione propriamente visionaria è invece concretizzata da tre corpi di donne nude che si intrecciano tra loro con movimenti plastici e sinuosi mentre scandiscono in qualità di streghe le loro profezie. Da raccordo tra una scena e l’altra la proiezione sul trasparente di un rapace in volo simboleggia invece quella sete di potere che assale Macbeth grazie anche all’incalzo della Lady, non meno posseduta da una sfrenata cupidigia. Quanto all’azione in scena ce n’è pochissima, i delitti efferati avvengono tutti “fuori campo”, Macbeth stesso trova la morte dietro le quinte, non c’è alcun effetto scenico riguardo il “movimento” della foresta, tutto è costretto in uno spazio asfittico che rende ancora più claustrofobica la tragedia.

In questo Macbeth il regista concentra dunque il lavoro sperimentale e tecnologico fatto negli allestimenti precedenti, portandolo all’estremo della sua essenzialità. L’ambientazione storica è volutamente atemporale, le streghe appaiono più “umane” degli stessi soldati, il delirio di Macbeth davanti allo spettro di Banquo come il sonnambulismo della Lady ossessionata dal sangue sono amplificati dalle loro figure ingigantite, la musica stessa assume un ruolo di significativo contrappunto ai vari passaggi della storia, come una vera e propria colonna sonora cinematografica.

Eppure può esservi un limite in questa messinscena rigorosamente “amplificata” anche nelle voci degli attori. Recitare su motivi musicali richiede una grande prestanza vocale per cui si impongono spesso i microfoni agli interpreti. Col risultato tuttavia non solo di enfatizzare troppo le voci e impedirne una modulazione più articolata, secondo le singole possibilità timbriche, ma anche di non permettere una netta distinzione di chi parla quando sono più voci a farlo, in quanto l’amplificazione tende ad appiattire la provenienza del parlato, considerando anche la distanza di visione dalla scena.

Appare dunque difficile coniugare appieno il dispositivo audiovisivo con quello eminentemente teatrale, lo spettacolo per così dire registrato con quello dal vivo, soprattutto quando non si vuole insistere tanto su una monumentalità scenografica, quanto piuttosto su dialoghi serrati o monologhi sussurrati. La voce come il corpo dell’attore conserva una propria irriducibilità, poterla amplificare può sottrarre sfumature e modulazioni preziose all’intensità che le si vuole dare. Perché se i primi piani cinematografici dei personaggi possono accentuare l’intensità della rappresentazione e mettere in risalto particolari che il teatro non riuscirebbe a mostrare, le voci microfonate rischiano piuttosto di svilire la recitazione teatrale, finendo col consegnarla a una enfatizzazione troppo accentuata.

 

 

Scheda tecnica
Macbeth, di William Shakesperare, per la regia di Luca De Fusco. Compagnia Tetaro Stabile Catania e T. S. Napoli.

Con Luca Lazzareschi e Gaia Aprea nei ruoli di Macbeth Lady Macbeth, Giacinto Palmarini (MalcomSicario), Claudio Di Palma (Macduff), Fabio Cocifoglia (RossUn gentiluomo), Paolo Serra (BanquoMedico scozzese), Sara Lupoli (prima Strega), Chiara Barassi (seconda Strega), Sibilia Celesia (terza Strega), Paolo Cresta (Lennox), Enzo Turrin (DuncanUn vecchioSeyward), Francesca De Nicolais (FleanceFiglio di Macduff), Federica Sandrini (Lady MacduffDama di Lady Macbeth), Alfonso Postiglione (MessaggeroPortinaioServoSeyton), Alessandra Pacifico Griffini (Ecate), Luca Iervolino (DonalbainSicarioMessaggero), Gianluca Musiu (Capitano feritoGiovane Seyward), con la voce fuori campo di Angela Pagano (Streghe). Scene sono di Marta Crisolini Malatesta; costumi di Zaira de Vincentiis; luci di Gigi Saccomandi; musiche di Ran Bagno; installazioni video di Alessandro Papa; coreografie di Noa Wertheim, in video Lorenzo Papa.

REPLICHE
29/11/2016 - 04/12/2016: Quirino-Vittorio Gassman di Roma (RM)
07/12/2016 - 18/12/2016: Verga di Catania (CT)
17/01/2017 - 22/01/2017: Della Corte di Genova (GE)
25/01/2017 - 29/01/2017: Politeama Rossetti (Sala Assicurazioni Generali) di Trieste (TS)
01/02/2017 - 05/02/2017: Nuovo di Verona (VR)
08/02/2017 - 12/02/2017: Carlo Goldoni di Venezia (VE)

 

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