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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Il teatro di Fabrizio Gifuni

Il teatro rischia sempre più di snaturarsi e di allentare la sua capacità di parlare al pubblico. Da un lato si crogiola su se stesso azzardando commistioni di linguaggi che innalzano una nuova quarta parete tra palcoscenico e platea. Mi riferisco allo sfarzo tecnologico delle video-istallazioni che spesso riducono i performer a meccanismi di un ingranaggio. Dall’altro trasferisce in scena i modi espressivi del piccolo schermo. Intellettualismo estremo e sciatteria mediatica costringono il pubblico ad assumere un ruolo sempre più passivo. In questo panorama desolante, allora, il teatro di Fabrizio Gifuni e del fido regista Giuseppe Bertolucci si rivela molto più che necessario per chi a teatro si reca per condividere un’esperienza significativa.

Gifuni ben conosce la differenza tra i linguaggi del set, della tv e del palcoscenico e si trasferisce da un mondo all’altro rispettandone codici e modalità espressive, con intelligenza, umiltà e sapienza. E’ un attore straordinariamente flessibile, slegato da scuole e nodelli, e che ha creato un suo stile sottoponendosi ad un duro lavoro su se stesso e a continue prove più o meno ardimentose.

Quattro anni fa, sempre con per la regia di Bertolucci, Gifuni aveva trasformato la platea del Teatro Valle in una sorta di caffè letterario, con tanto di tavolini dove gli spettatori erano invitati a sedersi per partecipare a quello che si potrebbe definire un dibattito sulla visione della Storia di Pier Paolo Pasolini. Parlo di Na specie de cadavere lunghissimo che sempre il Valle ha riproposto in questi giorni insieme a L’ingegner Gadda va alla guerra, nell’ambito delle monografie di scena organizzate dall’Eti soppresso. La tragedia pasoliniana si sostanzia di testi non destinati alla scena e resi teatrali attraverso il montaggio ben strutturato delle parti e la straordinaria performance di Gifuni. Quello che sembra un monologo è in realtà una polifonia di linguaggi e quindi di voci opposte. C’è quella di Pasolini degli Scritti corsari e di Lettere luterane che attraverso il corpo e la voce dell’attore diviene accorato appello alla coscienza di chi ascolta. Gifuni gira tra i tavoli, guarda negli occhi gli astanti, calibra le parole che va pronunciando come fossero scelte sul momento. Si scaglia contro il genocidio culturale provocato dal neofascismo del consumismo e alimentato dalla dittatura della televisione. Accusa violentemente Chiesa e Partiti e non risparmia nemmeno gli intellettuali di sinistra di cui smaschera le menzogne e i luoghi comuni. Poi, d’improvviso, un grande momento di teatro: quando l’attore si denuda completamente sotto una luce cupa che scolpisce il suo corpo in tal modo da farlo sembrare un Cristo del Mantegna. Si riveste sul palcoscenico che ospita una fila di camerini e diviene il Padre che si assume la colpa della drammatica trasformazione dei Figli, giovani mostri che “non sanno più ridere, né sorridere, ma soltanto digrignare i denti e ghignare”. Il passaggio da un ruolo all’altro è ben concertato e contrassegnato da cambi di registri vocali e di modalità recitative. Quando riconquista la platea, l’attore sembra cadere in una trance : la mimica stravolge i suoi lineamenti, i gesti si fanno gradualmente più convulsi, e la voce si accorda sugli endecasillabi del poemetto Il Pecora del poeta milanese Giorgio Somalvico.Il potente dialetto romanesco, carico di invettive e gonfio di rabbia e di terrore, rievoca con forza la scorribanda notturna di Pino Pelosi per le strade di Ostia e di Roma, subito dopo l’omicidio. Così il pessimismo di Pasolini che interpreta la Storia come processo segnato dalla caduta e ricaduta delle colpe dei padri sui figli, da idea diviene dramma, che pullula di voci, di fatti, di corpi, anche se in scena ad agire è un uomo solo.

La stessa abilità di scindersi in diverse persone sceniche, o, addirittura di incarnarne più d’una nello stesso momento, caratterizza la performance di L’ingegner Gadda va alla guerra, dove Gifuni incarna la parola furente e anomala del grande scrittore lombardo, restituendole vitalità e potere deflagrante. Lo spettacolo è un pastiche raffinato di testi gaddiani destinati alla lettura ma miscelati in modo da costituire un testo drammatico a se stante, con tanto di prologo, svolgimento ed epilogo. E’ un monologo per un solo attore, ma l’assemblaggio di testi e rimandi, lo rende in qualche modo corale. La prima parte si sostanzia delle pagine dal diario di guerra del sottotenente Gadda durante la Prima Guerra Mondiale. Sono pagine dolorose ed ironiche che raccontano la discesa agli Inferi di un uomo alle prese con le atrocità e l’insensatezza della guerra. I toni caustici della denuncia e della condanna si alternano a quelli dell’ umana compassione per i compagni macellati dentro e fuori la trincea. Riecheggiano qua e là riferimenti a La cognizione del dolore, il romanzo incompiuto più sofferto e che forse meglio esprime la visione del mondo dell’autore. La partitura testuale si arricchisce di citazioni dall’ Amleto che innescano un meccanismo dialogico sottointeso tra il principe di Danimarca e il suo doppio Gonzalo Pirobutirro, alter-ego, a sua volta, di Gadda. Sul piano della performance le battute di Amleto vengono recitate come in un a parte con il pubblico ma soprattutto con se stesso. Il gioco delle luci avvolge l’attore in un’aura gelida, quando, in veste di Amleto riflette sulla spaccatura tra essere e apparire, tra volontà e azione. Dunque la scelta del testo più amato dagli istrioni diviene per Gifuni, strumento di inchiesta sul suo stesso mestiere di attore che, nel vuoto agghiacciante della scena, dispone soltanto del suo corpo e della parola per intervenire sul reale.

Ci sono indubbie analogie tra il destino di Amleto e quello di Gadda/Pirobutirro- il difficile rapporto con la madre, la presenza invadente del “fantasma “ del padre (del fratello nel caso dello scrittore)- ma quel che più colpisce è la comunanza che viene a stabilirsi tra personaggio e attore, uniti da un comune dissenso per lo stato delle cose, dalla consapevolezza del dolore, e dalla coscienza di avere solo l’arte come freccia al proprio arco. Questa sorta di primo atto si spinge sino alla “crisi”, in senso anche drammaturgico, della disfatta a Caporetto che coincide con lo svuotamento interiore dello scrittore di ritorno dalla guerra (“ La mia vita è inutile, è quella di un automa sopravvissuto a se stesso”). Ed è attraverso il dispiegamento furioso delle parole di Eros e Priapo sulle quali è costruita la seconda parte dello spettacolo che il personaggio/ attore tenta di risalire la china. Come se l’uomo annullato dal dolore ritrovasse senso nella creazione artistica. Il libello è un atto di ribellione estremo e non soltanto per la violenta accusa al ventennio che contiene, ma anche per la violenza esplosiva del linguaggio distorto e reinventato di cui si sostanzia.

Lo spazio rigorosamente spoglio si riempie ora dei gesti inconsulti di un Ubu forsennato, di un dittatore “erotomane”e “infojato” che millanta il suo potere di seduzione sulle donne mentre pronuncia la satira acerrima alla sua stessa ideologia : “…il pragma della banda e del capintesta è un pragma bassamente erotico, un basso prurito ossia una lubido di possesso, di comando, di esibizione..”. Le profezie di Gadda, le sue immagini impietose di un Paese allo sbando e irresponsabile, divengono la satira di qualsiasi dittatura. Il linguaggio è un fiorentino inventato di sana pianta, una specie di toscano ibrido e contaminato da altri dialetti che di inerpica sull’invettiva furibonda, che gonfia e svuota la realtà, la violenta per ricrearla. Ma il processo di inversione rivela, come sempre in Gadda, una profonda verità umana. L’intensissima recitazione di Gifuni che dà corpo e consistenza tangibile ad ogni singola parola, decreta a piena voce la grande rivincita umana sulla sopraffazione degli orrori della guerra e sulla trivialità del potere. Poi, poco prima del finale, la voce straniata di colpo ripiomba sui suoi toni naturali e l’attore richiede le luci in sala. Ora è se stesso e cerca un confronto diretto con gli spettatori. Pronuncia sempre parole di Gadda ma la sua accusa al potere è così autentica e attuale che molti credono che si tratti di altro. Per di più egli entra ed esce dal personaggio, e passa da un registro recitativo all’altro, con tale naturalezza e verità che non ci si accorge delle sue finzioni. Quando pronuncia i versi di Amleto non lo fa per esercizio di stile, ma perché crede nella verità delle parole del primo grande tragico modero e si sforza di trasmetterla. Anche quando si spoglia delle vesti del personaggio e si confida con gli spettatori, egli continua, ovviamente, a recitare ma nessuno lo direbbe. Il testo apparentemente disomogeneo (molti scorgono una frattura tra la prima e la seconda parte) e certo non facile, arriva così direttamente al pubblico, passando per le viscere e l’intelletto nello stesso tempo. E la rivolta gaddiana con le sue amare riflessioni diviene spunto per ripensare, forse anche con maggiore lucidità, ai nostri mala tempora. Con effetto indubbiamente catartico.

 

Schede

L’ingegner Gadda va alla guerra
O della tragica istoria di Amleto Pirobutirro.
Un’idea di Fabrizio Gifuni, da Carlo Emillio Gadda e William Shakespeare. Disegno luci: Cesare Accetta.
Con Fabrizio Gifuni. Regia : Giuseppe Bertolucci. Visto al Teatro Valle di Roma, il 2 novembre 2010.  Prima nazionale : 14 gennaio 2010 Teatro Franco Parenti, Milano.
Prossime recite:
28-30 gennaio 2011- Teatro del Parco, Parma
9 febbraio 2011- Teatro Sociale, Bellinzona
11-12 febbraio – Teatro comunale Giuseppe Verdi, Pordenone
19 febbraio 2011 – Teatro delle Api, Porto Sant’Elpidio
23 febbraio 2011 – Teatro dei Rinnovati, Siena
25-27 febbraio 2011 – Teatro Ariosto, Reggio Emilia
1 marzo 2001 – Teatro Sociale, Bergamo9 marzo 2011 – Teatro Fraschini, Pavia
10 marzo 2011 – Teatro Sociale, Como12 marzo 2011 – Teatro Alfieri, Asti
15-20 marzo 2011 – Fonderie Limone Moncalieri, Torino1-3 aprile 2011 – Arena del Sole, Bologna

Na specie de cadavere lunghissimo
Un’idea di Fabrizio Gifuni. Materiali per una drammaturgia da Pier Paolo Pasolini : Scritti corsari, Lettere luterane, “Siamo tutti in pericolo”(intervista di Furio Colombo a P.P.P. dell’1/11/1975), La nuova forma della meglio gioventù, Abbozzo di sceneggiatura per un film su San Paolo e Il pecora di Giorgio Somalvico.
Immagini: Cesare Accetta.Montaggio: Federica Lang.Musiche: Giovanna Marini.
Con Fabrizio Gifuni.Regia : Giuseppe Bertolucci.Visto al Teatro Valle di Roma il 17 novembre 2010.

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