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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Teatro a Corte: un viaggio oltre i confini delle arti sceniche.

 

Durante i mesi estivi, i festival teatrali si accavallano l'un l'altro proponendo titoli che, il più delle volte, risbucano nei cartelloni dei teatri stabili della penisola. Si tratta, più che altro, di vetrine fitte di anticipazioni italiane o, nel migliore dei casi, di vecchi spettacoli stranieri che molti cultori del teatro possono anche aver già visto.

Giunto alla sua XVI edizione, Teatro a Corte è un eccezione che non conferma la regola. E' un festival nel senso originario del termine che, oltre a presentare novità assolute, offre una vasta panoramica sullo sviluppo delle varie arti performative in Europa. Si spazia dal Nouveau Cirque alle più bizzarre commistioni delle antiche arti circensi, dalla video dance alla danza contemporanea, dall'istallazione al tableau vivant, dal visual theatre alle performance site specific. Nella maggior parte dei casi, gli spettacoli inscenati nelle incantevoli Residenze Sabaude non sono incasellabili in un singolo genere e rifuggono dalla morsa di qualsiasi definizione. Selezionati con cura dall'affabile direttore Beppe Navello e scovati in giro per l' Europa dalle sue instancabili collaboratrici Mara Serina e Sylvie Cavacciuti, gli spettacoli sono caratterizzati da una sintassi performativa sempre originale, fatta di linguaggi diversificati che si intrecciano, si abbracciano o si contrappongono, costringendo il pubblico a nuove modalità di percezione e di interpretazione. La polisemia delle immagini e delle situazioni, la frammentarietà o la complessità della visione, la pluralità degli stimoli che toccano i risvolti più intimi della sensibilità di ognuno, implicano una partecipazione vigile e attiva che coinvolga tutti i sensi e l'immaginario degli spettatori.

Spettatori che accorro sempre più numerosi, a dispetto del fatto che questo tipo di spettacoli sia ancora considerato "di nicchia" negli ambienti teatrali nostrani. Questo si deve soprattutto alla lungimiranza e all'attenzione degli organizzatori che cercano in ogni modo di ascoltare i bisogni del pubblico. Il festival non si limita a promuovere spettacoli, ma organizza intere giornate a Corte che prevedono visite guidate all'interno o all'esterno delle regge, momenti di incontro tra spettatori e critici e, perché no, anche cene conviviali che spronano lo scambio di idee e di impressioni " a caldo" tra critici, amanti del teatro e organizzatori della rassegna. Sebbene immersi in un'atmosfera internazionale, ci si sente accolti in una grande famiglia di amanti del bello.

La calda giornata del 15 luglio è trascorsa veloce nel Castello di Rivoli che ospita un pregevole Museo di Arte Contemporanea. La visione degli spettacoli è stata preceduta dal una visita di notevole interesse negli spazi museali che, tra le altre cose, ha preparato il pubblico a prendere coscienza della contiguità tra arti figurative e arti performative. Non a caso, i due spettacoli successivi sono stati inscenati in due stanze adibite per l'occasione all'interno del museo.

Con Hanakai, spettacolo-installazione della compagnia francese Adrien M & Claire B, il sogno di una scenografia digitale si unisce alla realtà fisica di una danzatrice. Lo spazio scenico è costituito da un' intera stanza buia occupata al centro da un grosso cubo, con le pareti di tulle bianco, intorno al quale sono seduti a terra gli spettatori. Le immagini proiettate un po' ovunque dai sofisticati strumenti digitali, utilizzati a vista da Christophe Sartori e da Loïs Drouglazet, avvolgono il pubblico in una vertigine di segni. Metamorfosi e anamorfosi, frammenti di paesaggio e figure astratte che creano sempre nuove volumetrie nello spazio.

La performance si fonda sull'interazione continua tra i movimenti coreografici minimalisti di Akiko Kajihara e le effimere immagini prodotte dalla tecnologia informatica. Non a caso, in lingua giapponese, il termine hanakai definisce tutto ciò che è transitorio, fragile ed evanescente. Prima che Akiko entri nel cubo, una miriade di lettere dell'alfabeto in continuo movimento fluttua sulle pareti come fosse in attesa di farsi linguaggio verbale. Ma non è di questo che si tratta. Subito dopo immagini prevalentemente geometriche prendono il sopravvento per dialogare con la danzatrice. La donna si inginocchia e quando si alza in piedi,una sorta di rete bianca si solleva e balla con lei. I rapidi movimenti delle braccia e delle mani giocano con le immagini, distorcendole e trasformandole in figurazioni sempre nuove che a volte si ingrandiscono fino a creare nuove fughe prospettiche. Sottili linee verticali scrosciano a pioggia accompagnate da tuoni, vortici di microscopiche costellazioni imprigionano l'esile corpo della donna che solo a volte figura come "regista" della coreografia digitale. E' vero che le immagini obbediscono ai comandi del suo corpo, ma ci sono casi in cui lo intrappolano.

Le suggestioni visive in continua trasformazione sono ad alto impatto spettacolare, ma la performance risente di un impianto drammaturgico troppo esile e di alcune lungaggini che annoiano lo sguardo. E' questo un caso in cui la tecnologia si impone sull'arte, invece si asservirsi alla sua completa espressione. E le emozioni profonde, come è ovvio, non passano.

L'esatto contrario avviene in Under Flat Sky, ideato e coreografato dal quel grande poeta visionario che è Billie Cowie. Ospite d'onore di Teatro a Corte, il filmmaker scozzese, inventore, tra le altre cose, della video dance in 3D, questa volta fonde musica, immagini, poesia, racconto e danza in un insieme organico, misurato e meditativo. La performance fa largo uso di immagini dall'artista tedesca Silke Mansholt proiettate sullo sfondo nel quale sembrano immergersi i corpi scultorei delle due danzatrici Simone Schmidt e Kanako Yamamoto. Vestite di bianco per catturare le proiezioni, le due performer si stagliano dalle immagini che si susseguono sullo schermo senza soluzione di continuità. Sono immagini astratte che evocano antichi graffiti scavati nella roccia o pitture rupestri lontane nel tempo. Immagini ancestrali associabili al mondo della natura che si modificano impercettibilmente sotto lo sguardo dello spettatore. Alcune mostrano strappi, graffi e ferite che attraversano i profili e le ombre, a tratti quasi immobili, delle danzatrici. I loromovimenti leggeri e aggraziati sono fortemente controllati e ricordano alcuni aspetti del Butoh. I canti di Rowan Godel creano un'atmosfera di magica sospensione onirica e le numerose microsequenze di cui si sostanzia lo spettacolo sono intervallate da poesie giapponesi che parlano di fusioni e di separazioni, di abbracci e di gesti di ripulsa. Si parla di amore, ma di quell'amore che dovrebbe fondere gli esseri umani e la natura che li ospita in un tutto organico. Questo potrebbe spiegare l'alternanza di movimenti dentro e fuori l'immagine di fondo che ingloba i corpi per poi farli riemergere, forse rigenerati. In questo senso lo spettacolo non è soltanto una poesia visiva sull'essere, ma anche sull'esserci, qui e ora, nonostante tutto.

La giornata seguente al Castello di Racconigi ha riservato sconcertanti sorprese. Dopo una stupefacente visita guidata al Centro Cicogne e Anatidi Lipu adiacente alla reggia, gli spettatori hanno assistito a due spettacoli a dir poco bizzarri.


A String Section (Una sezione d'archi) della compagnia anglo-belga Reckless Sleepers (Dormiglioni Spericolati) non mantiene quel che il titolo promette. Cinque sedie di diverso stile poste in fila attendono le " musiciste " che compaiono vestite di tutto punto con tubini neri e scarpe col tacco. Sono tutte compite ma lanciano sguardi ironici al pubblico e, al posto di violini e violoncelli, stringono in mano dei seghetti d'acciaio con i quali faranno a pezzi le sedie.

Coreografata da Leen Dewilde e diretta da Mole Wertherell, la performance abbraccia l'idea del "readymade" per ridefinire il ruolo degli oggetti e i loro possibili significati. L'interpretazione dei riguardanti non può che essere multipla.

Appena si siedono, le cinque strabilianti performer assumono stravaganti posizioni. Accavallano le gambe e poi le divaricano, allungano i corpi oltre ogni limite per raggiungere con le mani gli spazi sottostanti e retrostanti la seduta, azzardano le più ardite contorsioni, ben attente a non allontanare troppo il busto dallo schienale. C'è qualcosa di comicamente erotico nelle pose che assumono. L'erotismo incoraggiato dalle riviste femminili per catturare l'attenzione del maschio, quello stupidamente acrobatico di certi film di Hollywood, e quello squallido del porno. Il tutto è commentato dagli sguardi seri e impassibili delle donne, testardamente impegnante a segare le gambe delle sedie. Il rumore stridulo prodotto dallo sfregamento dell'acciaio nel legno massello contribuisce non poco a sottolineare l'assurdità della situazione. Quando il legno si rifiuta di tagliarsi, le signore aumentano lo sforzo, ansimano, sudano e si dimenano in un crescendo di acrobatismi tragicomici. A mano a mano che i pezzi di questa o di quella gamba si staccano e cadono a terra, le donne cercano di trovare sempre nuovi precari equilibri. Sono molto determinate e persistono nel processo auto-distruttivo fin quando le sedie non diventano segatura. Indubbiamente, lo spettacolo è metafora dell'universo femminile. E' delle donne la tendenza a farsi del male per non incrinare relazioni improbabili o la spinta a tenersi in bilico tra i vari ruoli che devono sostenere nella vita di tutti i giorni. Ma sicuramente c'è dell'altro. Qualcosa che riguarda l'umanità intera. Lo si legge negli sguardi imperscrutabili delle performer, accasciate nello scenario in rovina del finale. Uno spettacolo artigianale assolutamente perfetto nella struttura, nei tempi e nei ritmi, e che si avvale di interpreti di altissimo livello. Va detto però che avrebbe acquistato maggior risalto in uno spazio al chiuso.

L'immenso prato retrostante la reggia è invece l'ambiente ideale per La partida diretta e coreografata dalla catalana Vero Cendoya. Lo spettacolo per cinque calciatori e cinque danzatrici è giocato, nel vero senso della parola, in un campo delimitato da porte, linee e aree. Su uno spalto laterale un gruppetto di spettatori (preparati durante qualche giorno di prova) intonano canti e sventolano bandiere. Gli altri appaiono incuriositi e un po' spaesati dall'originalissima idea di mettere a confronto due mondi così diversi e così lontani. Da un lato, i movimenti aggraziati delle esili danzatrici, dall'altro, gli scatti atletici dei muscolosi giocatori. Corpi tarchiati e corpi slanciati, potenza e leggerezza, grossolanità e armonia. Si assiste a un vero trionfo dell'incongruo in questa partita metaforica che non prende troppo sul serio le regole del gioco.

Lo scontro vero proprio è tra il maschile e il femminile e la coreografia racconta il diverso modo di affrontare la vita degli uomini, che giocano in prevalenza d'attacco, e delle donne, che giocano in difesa e appaiono più inclini a posporre se stesse a una causa comune. Quando l'arbitro (interpretato da un raffinato danzatore ) fischia un rigore, al posto del pallone, la squadra maschile calcia in rete il corpo raggomitolato di una danzatrice. Nel frattempo, una voce fuori campo parla delle discriminazioni che le donne subiscono nel lavoro, in famiglia e nella società. C'è qualcosa di scontato in tutto questo e la singolarità di alcune soluzioni registiche non basta a far decollare lo spettacolo. Vengono sfiorate troppe tematiche nei 50 minuti della sua durata e la partitura coreografica è troppo fragile per far trionfare la bellezza del gesto artistico su quello funzionale dello sport. Sostenuta dalle musiche di Adele Madau, lo spettacolo si lascia comunque seguire per le continue sorprese che riserva al pubblico, compresa quella del ballo finale tra attori e spettatori.

Un'ottima cena nelle cantine del Castello ha concluso questa scorribanda nel variegato mondo dello spettacolo. Un'esperienza indimenticabile di condivisione e di scambio. Assolutamente da ripetere, il prossimo anno.

 

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