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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Die Ehe der Maria Braun, di Thomas Ostermeier

 

La versione di Die Ehe der Maria Braun (Il matrimonio di Maria Braun) di Thomas Ostermeier è così artigianalmente metateatrale da scoraggiare qualsiasi confronto con il film di culto girato nel 1979 da Rainer Werner Fassbinder. Ostermeier bandisce la verosimiglianza e impedisce il coinvolgimento emotivo nelle vicende rappresentate, privandole di quella patina melodrammatica che si riscontra in alcuni passaggi del film. E' uno spettacolo ruvido, scabro e brechtianamente straniante che guarda al passato con l'occhio critico e defilato di chi vuole riflettere anche sul presente.

Durante l'incontro con il pubblico a Ca' Giustinian, sede ufficiale della Biennale di Venezia, Ostermeier ha ammesso candidamente di non aver visto il film né prima né durante la lavorazione dello spettacolo e di essersi ispirato esclusivamente alla sceneggiatura che, tra l'altro, non fu scritta direttamente da Fassbinder.

Ostermeier, dunque, si limita a mettere in scena gli accadimenti principali del film per interrogarsi su quella fase cruciale della storia tedesca che va dall'inizio della disfatta bellica alla ricostruzione e allo sviluppo di una Germania federale opulenta che, alla fine, festeggia la vittoria ai Mondiali di Calcio del 1954. La sua attenzione si sofferma in modo particolare sul ruolo rivestito dalle cosiddette Trummerfrauen che hanno fortemente contribuito alla crescita economica del paese, e sulla loro graduale perdita di potere. L'ascesa di Maria Braun è la metafora di quella di un'intera nazione e la pièce è una lucida riflessione sui nefasti del potere economico che a tutt'oggi è nelle mani degli uomini e che, ora più di allora, raggela i sentimenti e trasforma gli individui in strumenti da manipolare.

Quel che più colpisce dello spettacolo è la sua capacità di sfidare le potenzialità narrative del cinema con i poveri mezzi del teatro. L'impianto scenico rimane sostanzialmente fisso, ma l'azione si sviluppa in un flusso continuo di scene e di passaggi spazio-temporali ottenuti con piccoli cambiamenti a vista.

La scena di Nina Wetzel è occupata da tanti salottini con tavolini e poltrone imbottite anni Cinquanta ed è suddivisa in più piani per facilitare il passaggio repentino da una scena all'altra. Gli oggetti di scena rimangono più o meno gli stessi e sono polifunzionali. Soltanto verso la fine, un frigorifero e una vecchia televisione fanno la loro comparsa in scena per testimoniare la scalata sociale di Maria.

I ventisette personaggi del film ci sono tutti, ma sono impersonati da quattro ottimi attori che interpretano più ruoli, sia femminili che maschili. Cambiano identità con un nonnulla. Basta indossare una parrucca e un paio di scarpe con i tacchi alti per trasformarsi a vista nella madre di Maria, in sua sorella Betti o in altri personaggi femminili. Soltanto la bravissima Ursina Lardi, pettinata come la mitica Hanna Shygulla, recita un'unica parte, quella di Maria, restituendo al personaggio una vasta gamma di stati d'animo e di inquietudini.

Intorno a lei gira un mondo volutamente artefatto dove basta far uscire del fumo bianco da una piccola pompa per evocare un treno alla stazione, e dove un bianco può recitare la parte di un soldato americano di colore senza intaccare la credulità dello spettatore.

In un certo senso i piccoli artifici teatrali servono anche a dare maggior risalto alla statura umana della protagonista che appare sempre più isolata nella sua tenace ascesa sociale. E' il personaggio più vero e credibile, ma anche gli altri quattro attori riescono a dare una rilevanza drammatica ai personaggi principali. I loro rapidi trasformismi, a volte, possono anche indurre alla risata, ma non scadono mai nella comicità grassa, grazie alle loro straordinarie doti interpretative e all'occhio severo del regista.

Durante lo spettacolo vengono proiettati sullo sfondo alcuni video di Sébastien Dupouey. All'inizio appare un'enorme fotografia di Maria da bambina, seguita da immagini in bianco e nero che raffigurano parate di donne in divisa e folle osannanti che protendono il braccio destro nel saluto nazista. Subito dopo due attori in abiti femminili leggono al microfono alcune lettere d'amore inviate da anonime donne tedesche a Hitler. Questa sorta di preludio è stato aggiunto da Ostermeier per mettere in risalto la colpevole insensatezza di questo stordimento di massa.


Poi si passa ai bombardamenti e al frettoloso matrimonio di Maria con Hermann che subito dopo viene spedito sul fronte russo. Un matrimonio di guerra che,come tanti altri, è destinato a fallire o a finire tragicamente.

Nel frattempo Maria si rimbocca le maniche per sbarcare il lunario e per aiutare la madre e la sorella Betti che mal sopportano l'assenza di un punto di riferimento maschile. Come tante donne della sua generazione, Maria assume il ruolo di capofamiglia. Si mette a fare del mercato nero e, allo stesso tempo, lavora come entraineuse in un locale frequentato da soldati americani. Va a letto con il soldato nero Bill e rimane incinta di un figlio che non sopravvive ai travagli del parto.

Gli avvenimenti sono tanti, forse anche troppi per i limiti imposti da un palcoscenico e non c'è tempo per uno scandaglio psicologico. Le emozioni sono visibili attraverso azioni concrete e Maria si racconta attraverso quello fa. Gesti e movimenti si modificano impercettibilmente nell'arco della rappresentazione e rispecchiano i suoi cambiamenti interiori. Nella sua rapida ascesa al potere, diviene sempre più scaltra e sicura di sé ma anche più consapevole dei danni irreparabili prodotti dal capitalismo.

Quando Hermann, creduto morto, torna dal fronte, non esita ad uccidere Bill e mentre il marito sconta in prigione una colpa che non è sua, Maria sfrutta la sua bellezza per diventare l'amante del ricco industriale Oswald. Crede di utilizzare gli altri ma, alla fine, si rende conto di essere stata usata dagli uomini. Quando Oswald muore, Maria scopre che Hermann l'aveva ceduta al rivale in cambio della sua eredità. Nella ricchezza e nella prosperità, Maria conosce la verità e scopre di vivere in un mondo dove l'amore è più freddo della morte.

Come sempre nei lavori di Ostermeier, il ritmo si modula perfettamente all'azione, alternando tempi lunghi ad altri molto più veloci. Non c'è soluzione di continuità tra una scena e l'altra e tutto scorre in modo fluido davanti agli occhi degli spettatori grazie a una tenuta registica che non ammette esitazioni e che esige una partecipazione attiva dell' immaginazione del pubblico per colmare <le imperfezioni della scena>.

 

Scheda tecnica

DIE EHE DER MARIA BRAUN, dal film di Rainer Werner Fassbinder. Sceneggiatura di Peter Marthesheimer e Pea Frolich. Scene: Nina Wetzel. Costumi: Ulrike Gutbrot, Nina Wetzel. Video: Sébastien Dupouey. Drammaturgia : Julia Lochte, Florian Borchmeyer. Con: Thomas Bading, Robert Beyer, Moritz Gottwald, Ursina Lardi, Sebastian Schwarz. Regia di Thomas Ostermeier. Produzione Schaubune (riedizione della produzione del Munchner Kammerspiele).

Prima nazionale: 31 luglio 2015 al Teatro Goldoni di Venezia nell'ambito della Biennale Teatro 2015.

 

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