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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Laboratorio aperto

 

Isabella dov'e'


Non sempre imbracciare l’artiglieria recensoria significa dir bene o dir male. Talvolta può essere il resoconto di un laboratorio, di un percorso ancora aperto. In questa fattispecie può rientrare lo spettacolo del giovane teatrante Emanuele Carboni – ‘
Isabella dov’è’ - andato in scena il 9-10 ottobre 2010, nell’ambito del ‘teatrofestivalcittà’ di Guidonia Montecelio, la cui rassegna (ottobre – dicembre 2010) quest’anno è intitolata ‘Miti e figure femminili’. Non a caso abbiamo usato per Carboni il termine teatrante. Non solo perché, benché trentenne, è ancora in piena formazione, nell’acquisizione e scelta di linguaggio, che spaziano dalla dizione classico-accademica, al mimo, al canto, al metodo stanislavsky, alle tecniche del terzo teatro barbiano. Ma perché questo crocevia si riflette nel suo essere - senza aver perfettamente scelto o risolto – attore e regista-narratore, senza che le due cose veramente si fondano, o si scindano con chiarezza.

E di questo il suo spettacolo porta le stimmate, nei pregi e nei difetti. ‘Isabella dov’è’ è la storia di due saltimbanchi, simpatici ed affamati balordi, artigianali e sognatori, che campano malamente la ‘vita’ di strada – tra arte e ciarlataneria fallimentare (lo smercio di pozioni) – in quel ‘600 in cui, accanto allo splendore teatrale del barocco spagnolo e inglese, e del teatro classico e comico francese, va consolidandosi la fama delle compagnie professionistiche della commedia dell’arte. Il mercato non tira, e il potere – blandamente – li perseguita. Sognano allora il sogno impossibile di arruolare Isabella Andreini – diva dell’epoca, apprezzata anche da Torquato Tasso – per fare il salto nel ‘professionismo’ d’alto livello. Il loro sogno tuttavia non si declina, come forse sarebbe stato meglio, in una variante picaresca di ‘En attendant Godot’. Vuole ostinatamente realizzarsi. Così peregrinano nella loro sciamannata quête – aiutati da incontri casuali (magici e reali). Ma se la luna li aiuta, una volta imparato a parlare il ‘lunese’ (una delle gag meglio riuscite della pièce, stralunata e poetica), il diavolo ci mette la coda, con suggerimenti nefasti.

Isabella dov'e'Arrivano così effettivamente da Isabelle – recitata da Brenda Bronfman (che impersona anche la luna) manieristicamente e accademicamente, e un po’ sopra le righe, come una presuntuosa e macchiettistica smorfiosa. Ma rovinano tutto passando goffamente dal poetico (per lei seduttivo) al discorso pubblicitario affaristico (la zampa del diavolo). E tutto naufraga nel nulla.

Aldilà dei retrodiscorsi sulla morte del teatro, tra commercialità e potere, che intenzionano il percorso del regista - e del mito ingenuo ma accettabile di un teatro puro e artigianale, ‘povero’, che nell’attore di strada dell’epoca avrebbe l’ultima epifania, e nel ‘teatro povero’ anni ’60-’70 del ‘900 una coda presto sconfitta - lo spettacolo avrebbe il suo meglio, che qua e là traluce, nell’esibire in concreto l’epopea della sofferenza e del sogno, nel poetico stralunamento e nel suo controcanto comico negli incidenti della realtà. Ma qui entrano - nei pregi e nei difetti – le remore dell’irrisolto nesso regia-attorialità.

Il primo sbaglio del regista è voler istruire il pubblico. Contemporaneamente attore e voce narrante ‘a parte’, accompagna le vicende da narratore (il tradizionale cantastorie), ma anche da personaggio che ne parla. Non si sceglie un tono ‘altro’, e mischia la narrazione all’azione, con tono troppo enfatico lirico e/o pedagogico, insistendo a raccontarci cosa sia il teatro dell’arte. Così catechizza un po’ il pubblico – sguardo sognante nel vuoto – un po’ la sua spalla (ed è meglio, perché presta il fianco a controcanti comici). E’ un errore di ritmo, che rallenta e strania (ma senza l’ironico politica verfremdung brechtiana), ed è un non tenere separati i livelli, il che creerebbe un minimo di plurifocalità. La recitazione inoltre, in questi casi, risulta un po’ accademica, anche se ben impostata, ed enfatica, anche se redenta dall’intensità del volto. Insomma ci vorrebbe più contrasto di toni tra tragico-poetico-comico. Invece il tragico è un po’ latitante, e la parte migliore si esprime nello scontro tra comico e poetico.

Isabella dov'e'Vi è poi tutto il coté delle ‘macchine del destino’, che potrebbe far crescere il contrasto verso il surreale e inquietante. Purtroppo invece la pupazzeria che da dietro un separé è incaricata di veicolare questo aspetto è da teatro per ragazzi di livello dilettantesco, sia nella fattura che nel tono parodistico e in falsetto della loro vocalizzazione. Non sarebbe tuttavia stato da recensire lo spettacolo se non vi fossero, accanto a ciò, tutta una serie di nuclei positivi, degni e passibili di sviluppo.

Emanuele Carboni infatti si trasforma quando assume davvero i panni del comico dell’arte. Con la maschera di Arlecchino si muove agile e lieve come Soleri, e padroneggia solfeggi di voce e dialetti perfettamente. E’ il miracolo del passaggio dalla regia all’attorialità tecnica. Tutto diventa una danza, e il sogno si materializza. Lo si vede quando provano la gag del servitore che invece di farsi latore presso la bella dei desideri del vecchio bavoso e rintontonito, se ne fa distrattamente corteggiatore. E da approfittare è del minor mestiere del comprimario, Davide Scagnetti, abile strumentista e interprete di folk irlandese e limitrofo (qui usato come flautista nelle pause dell’azione e nei cambi di scena), prestato per amicizia al teatro. Con la mezza maschera nera e il suo corpo enorme, sa essere stupore goffo ed ebetudine, e supplisce all’ignoranza del repertorio con una serie di mugolii e squittii ebetudinali di delirante effetto comico. E’ un degno Falstaff-Sancho del suo aspirante re-poeta. Scagnetti è la terra immobile, il ruminante saggio e lento, che seguendo suoi ritmi improvvisatorii naturali (e che Carboni dovrebbe coltivare di più, ed espandere), sa dare corpo in controcanto ai voli del compare sognatore, introducendo controtempi e concretezza.

Lo spettacolo infatti, benché confinato in uno spazio scenico angusto, potrebbe espandere di più una potenziale plurifocalità terzoteatrista (Carboni – Scagnetti – le presenze dietro il separé), se si curasse di più un sovrapporsi centripeto e sfalsato delle linee di azione, incrociando in polifonia il poetico, il terragno improvvisatorio di Scagnetti, e il magico surreale delle macchinerei. Un controcanto che funziona bene quando òa perplessità statica di Scagnetti si fa spettatrice dei voli pindarici e stralunati di Carboni nel suo tentativo, alto su una pedana, di parlare il ‘lunese’. Qui Carboni infatti dà il meglio di sé, unendo invenzione e tensione lirica del linguaggio e della voce e tensione del corpo proteso in equilibrio precario, nel vuoto, per attimi con suggestivi ‘fermo immagine’. Insomma diciamo, una recensione interlocutoria per uno spettacolo ed un percorso registico-attoriale ancora in fieri ed interlocutori, per una coppia che merita di proseguire.

 

Scheda tecnica

Isabella dov’è, regia di Emanuele Carboni, scene e costumi di Antonia Persili, Giuseppina e Maria Rita Livi, Emanuele Carboni. Con Brenda Bronfman, Davide Scagnetti, Emanuele Carboni.

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