Statistiche dal 2010

Visite agli articoli
4393514

Abbiamo 217 visitatori online

Cerca nel sito

Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

non ha scopo di lucro, non propone alcuna pubblicità e ha come unico interesse la diffusione della cultura.
Pertanto, le immagini pubblicate si attengono all'a
rticolo 70, comma 1bis della legge sul diritto d’autore, dove si afferma che è possibile la "libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro".


Iscriviti al nostro
canale WhatsApp
sul cellulare

 - Nuova informativa sui cookie -

 


Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Armine, Sister, di Teatr Zar

 

Armine, sister è una rappresentazione concepita come parafrasi poetica di uno sterminio, quello pianificato e compiuto all'inizio del XX secolo dal governo dei Giovani Turchi e in cui perirono i due terzi degli armeni dell'Impero Ottomano, circa 1.500.000 persone.

L'opera di Teatr Zar è un appello alla memoria etica dello spettatore e si configura come AZIONE / TESTIMONIANZA. Il direttore artistico Jaroslaw Fret si avvale di un traduttore simultaneo per spiegare al pubblico il senso più profondo della rappresentazione e il lungo lavoro di ricerca che lo ha preceduto e che ne ha permesso la realizzazione. Negli anni 2010 e 2012 il gruppo ha intrapreso delle vere e proprie spedizioni a Istanbul, in altre città dell'Anatolia e anche a Gerusalemme, per conoscere coristi e musicisti armeni e raccogliere preziosi materiali da riadattare per la rappresentazione. Aram Kerovpyan, maestro cantore della Cattedrale Armena di Parigi è diventato un collaboratore fondamentale del gruppo, sostenendolo nel progetto di ricerca della tradizione del canto monodico armeno che si è conservata nonostante la diaspora che ebbe inizio nel 1915.

La rappresentazione è l'apice di un progetto che mira ad abbattere l'ignoranza e a rompere il silenzio dell'Europa intorno ad un genocidio di vaste proporzioni che il Governo Turco continua a negare.

Entrando in sala, di nota sulla sinistra l'enorme immagine di una chiesa armena semidistrutta proiettata sulla parete. A destra si accede alla vasta area scenica che impone agli spettatori di sedersi su due panche laterali, poste una di fronte all'altra. Nella semioscurità si notano quattro file di colonne mobili che rimandano all'immagine vista in entrata. L'azione scenica è accompagnata dai meravigliosi canti intonati dai performer del gruppo e da maestri cantori provenienti dall'Iran, dall'Armenia, dall'Anatolia e da Istanbul.

La rappresentazione è più simbolica che narrativa ma riesce a trasmettere l'orrore della sofferenza con una intensità che fa accapponare la pelle. L'umanità viene ridotta a primari riflessi animali. Non vi sono personaggi che si distinguano per una loro spiccata individualità. Esiste solo una comunità, figura metaforica di un'intera specie in una situazione limite. Gli attori si compongono una <maschera> organica grazie ai muscoli facciali e ognuno di loro indossa la stessa smorfia per tutta la durata dello spettacolo. Mentre il corpo si muove, la maschera rimane fissa in una espressione di sofferenza o di indifferenza. Privati dei tratti individuali, gli attori raffigurano l'immagine di una specie. I gesti e i movimenti scenici sono pochi ed essenziali, ma vengono reiterati in modo ossessivo e compulsivo, creando l'impressione che gli attori si moltiplichino in una folla di vittime di un odio insensato. I canti vengono sopraffatti dalla violenza inaudita dei rumori prodotti da tubi metallici sbattuti contro le colonne, dalle scudisciate prodotte da cinghie di cuoio uncinate, dalle porte di legno sbattute a terra con sopra il corpo di donne violate. Un letto di ferro arrugginito scorre avanti e indietro lungo la navata centrale con sopra il corpo ripiegato su se stesso di una donna atterrita. Le violenze non sono mai troppo esplicite, ma l'immagine della polpa rossa dei melograni che le donne spremono sui loro corpi inermi produce un effetto scioccante. Ad una ad una,gli uomini fanno cadere le colonne a terra per poi risollevarle e riabbatterle di nuovo. L'espediente crea angoscia nel pubblico perché si riceve l'impressione di poter essere colpiti durante l'abbattimento da qualche pezzo di quelle imponenti strutture. Di struggente bellezza sono le immagini in cui dalle colonne colpite da pesanti martelli, spilla una doccia di sabbia che copre quasi completamente i corpi delle donne rannicchiati alla base.

 

L'azione scenica è sempre carica di dolore imploso e inespresso e tiene in continua tensione anche quando i canti si interrompono per qualche minuto. 
Gli attori raffigurano gli iniziati ad una esperienza estrema. Sono i morti, e gli spettatori sono i vivi, i testimoni della testimonianza di un eccidio.
Quando la luce si accende sullo spazio scenico semideserto, gli spettatori che escono titubanti dalla sala vengono invitati a scattarsi una foto con una vecchia polaroid. Non andrà persa ma verrà conservata insieme a tutte le altre che immortalano i volti degli spettatori/ testimoni che hanno assistito alla rappresentazione nei vari teatri d'Europa.

 

Scheda tecnica

ARMINE, SISTER, drammaturgia musicale, istallazione: Jaroslaw Fret. Laboratorio permanente di canto modale diretto da Aram Kerovpyan. Collaborazione vocale: Virginia Pattie Kerovpyan. Scenografia realizzata da un team diretto da Piotr Jacyk Macciej Madry, Krzysztof Nawòj, Pawel Nowak, Bartosz Rodziszewaski, Andrzej Walada. Luci: Maciej Madry. Coordinazione del progetto: Magdalena Madra. Tour manager: Joanna Gdowska. Performer/musicisti: Davit Barojan, Ditte Berkeley, Przemyslaw Blaszczak, Alessandro Curti, Joroslaw Fret, Murat Iclinalca, Dengbej Kazo, Aram Kerovpyan, Kamila Klamut, Aleksandra Katecka, Simona Sala, Orest Sharak, Mahsa Vahdat, Marjan Vahdat, Tamasz Wierzbowski. 
Direzione di Jaroslaw Fret.
Visto al Teatro India di Roma il 20 giugno 2015.  

 

abbiamo aggiornato l'informativa sui cookie