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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Der Park, di Botho Strauss, per la storica regia di Peter Stein

La stagione del Teatro Argentina di Roma sta giungendo alla sua conclusione con la monumentale tragicommedia Der Park che Botho Strauss scrisse appositamente per Peter Stein nel lontano 1983 e che andò in scena l'anno successivo alla Schaubune am Lehniner Platz di Berlino Ovest, con Bruno Ganz e Jutta Lampe. Dopo più di trenta anni, il maestro tedesco ripropone lo stesso allestimento di allora lasciandolo immutato nella sua complessa e rigorosa partitura registica e affidandolo ad un cast italiano di alto livello dopo aver consegnato il testo all'abile traduttore Roberto Menin.

Secondo Stein <il teatro è in grado di raccontare “vecchie storie” in modo contemporaneo> ma questo suo spettacolo per quanto ben realizzato mi sembra ancorato al secolo scorso sia per quanto riguarda le modalità registiche che le tematiche affrontate.

Il dramma si ispira al Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeareper puntare il dito contro il degrado della società tedesca degli Anni Ottanta, una società opulenta ed esibizionista sprofondata nel vuoto esistenziale. La scena si affolla di individui isolati, di coppie avvolte nella solitudine e intorbidite da una terribile astenia sessuale. Sentimenti ed emotività appaiono raggelati dal carrierismo e dalle convenzioni sociali imposte da quell'imperante capitalismo in nome del quale arte, bellezza e amore vengono sviliti e ridotti a merce di scambio. Tutti questi temi che allora potevano scuotere e turbare gli spettatori, ora sono dati di fatto ai quali non si fa più caso. L'elefantiaco sviluppo del capitalismo ha centuplicato voglie e desideri e l'espansione del villaggio globale attraverso i social network ha moltiplicato le possibilità d'incontri, più o meno virtuali, creando ulteriori desideri e nuove illusioni. Il mondo insomma è cambiato in fretta e in modo radicale e la denuncia sociale di Strauss, seppur condivisibile, non può far breccia più di tanto sull'immaginario del pubblico di oggi. Lo spettacolo è imponente, diretto con sapienza ma resta un pezzo pregiato di modernariato teatrale.

Dura più di quattro ore, prevede trentasei cambi di scena e la presenza di diciassette attori. In piena era digitale, il ritmo dell'azione è rallentato dai continui spostamenti a mano di istallazioni mobili. L'inventiva di Stein che si traduce in una miriade di immagini di indubbia fascinazione visiva e la bravura degli attori giustifica tuttavia la visione di uno spettacolo storico che ha il torto di pretendere di essere contemporaneo.

Di Shakespeare rimane ben poco: Teseo e Ippolita e la corte che li circonda vengono eliminati insieme alla sgangherata compagnia degli attori artigiani. Rimangono in lizza con il loro nome originale soltanto Oberon (interpretato da un magistrale Paolo Graziosi ) e la multiforme Titania di Maddalena Crippa che scendono tra i mortali per risvegliare il loro eros anestetizzato. Il re e la regina delle fate non abitano più una foresta incantata ma uno squallido parco di Berlino. Oberon appare attempato e prossimo alla demenza senile. Si aggira tra cespugli rinsecchiti e carichi di rifiuti mostrando un enorme fallo illuminato al neon. Anche Titania è avanti con gli anni ma si spoglia tra le fratte e si accoppia con il conteso paggio che qui figura come un giovane negro addetto alla manutenzione del parco. Al posto di Puck c'è Cyprian (l'ottimo Mauro Avogadro) un ex scultore omosessuale che si è ridotto a costruire statuette da usare come amuleti per provocare pulsioni sessuali. I quattro giovani amanti che in Shakespeare si rincorrono nel bosco vengono rimpiazzati da due noiosissime coppie mature altoborghesi che stanziano nei loro appartamenti eleganti ma spogli di oggetti e di vita. Sono l'ex trapezista Helen (Pia Lanciotti) e il suo amante Georg (Graziano Piazza) che rinviano a Elena e a Demetrio e Wolf (Gianluigi Fogacci) e Helma (Silvia Pernarella) che corrispondono a Ermia e a Lisandro. I loro legami sono avvelenati da reciproche incomprensioni, gelosie, competizioni e ripicche. In realtà non provano né sentimenti né sane pulsioni sessuali. L'avvocato Georg non tollera il razzismo di Helen che afferma di odiare a morte i negri . Wolf ha rigurgiti di fanatismo nazionalsocialista e la moglie appare totalmente assuefatta all'indifferenza di lui. A nulla servono i talismani di Cyprian che non riesce a ristabilire tra le coppie una minima parvenza di intesa. Non a caso il vecchio mago esce presto di scena, ucciso dal negro adescato nel parco. A completare l'affresco di questa umanità allo sbando, ci sono quattro punk (una ragazza e tre ragazzi) che si aggirano minacciosi sulla scena senza sapere dove andare. Non sono neanche capaci di esprimere il loro disagio o di dar voce ad una protesta.

Più che di riscrittura scespiriana il bulimico testo di Strauss sembra voler utilizzare Shakespeare come mito a cui rifarsi per sottolineare attraverso il contrasto la bassezza e la povertà umana dei suoi personaggi. Strauss fa ricorso al mito in molti suoi drammi e in Der Park non si accontenta di Shakespeare. Titania viene trasformata in una moderna Pasifae che si accoppia con un toro per poi mettere al mondo un Minotauro gay (Alessandro Averone) con gli zoccoli dorati. Il dramma si conclude con la festa per le nozze d'argento di Oberon e Titania disertata da tutti gli invitati. Invece di rinvigorire e di redimere gli esseri umani, i due sovrani della natura scespiriani divengono mortali e si adeguano al loro stile di vita. Titania viene ritratta come una signora di alto rango ben conservata che attende inutilmente i suoi ospiti in una vuota casa di lusso. Oberon gira per il salone senza sapere dove dirigersi e il figlio mostruoso accetta di buon grado le attenzioni della madre edipica.

E' il finale tristissimo di un dramma pletorico e stancante che per l'abbondanza di riferimenti e di motivi rasenta l'irrapresentabilità. Il dramma inoltre non ha una trama organica ma si sostanzia di un accumulo di episodi non sempre consequenziali. Ci sono troppe immagini, alcune delle quali sono a mio avviso superflue, come le scene nel bar allestito nello spazio che separa la platea dal palcoscenico. Il materiale drammaturgico strabordante esalta ulteriormente i meriti della regia di Stein che, pur rimanendo fedele al testo, crea una partitura performativa proteiforme, ma assolutamente organica.

 

Scheda tecnica

DER PARK, di Botho Strauss. Dal Sogno di William Shakespeare. Traduzione dal tedesco di Roberto Menin. Scene: Ferdinand Woegerbauer. Costumi: Anna Maria Heinreich. Musiche originali: Massimiliano Gagliardi. Lighting designer: Joachim Barth. Con: Alessandro Averone, Mauro Avogadro, Carlo Bellamio, Martin Chishimba, Maddalena Crippa, Michele De Paola, Arianna Di Stefano, Gianluigi Fogacci, Paolo Graziosi, Pia Lanciotti, Laurence Mazzoni, Andrea Nicolini, Silvia Pernarella, Graziano Piazza, Daniele Santisi, Fabio Sartor, Flavio Scannella. 
Regia di Peter Stein. Foto di scena: Serafino Amato.  Produzione: Teatro di Roma.

Al Teatro Argentina di Roma dal 5 al 31 maggio 2015.

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