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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

L’accademia infelice

 

 

Marivaux – voce dominante del teatro dell’ancien régime, di quella torva lunga parentesi tra l’assolutismo del Re Sole e l’eruzione rivoluzionaria – in genere si muove con arguzia ed eleganza nel regno dei giochi d’amore. Tuttavia non disdegna talora pedagogismi riformistici, specie nei primi anni della sua produzione, quando per l’Europa ancora si aggirava l’illusione dell’assolutismo illuminato.

Il testo messo in scena da Federica Tatulli (Teatro Eutheca – Roma 12 – 22 dicembre 2013), ‘L’isola degli schiavi’, del 1725, è uno dei pochi che vadano in tale direzione. Il pretesto è un naufragio, con approdo in un’isola ‘altra’, mix di utopia e omaggio al primitivo. Si pensi che Crusoe è del 1719, Gulliver del 1726.

L’isola è una repubblica di ex servi, che si trasforma, per la duplice coppia sopravvissuta – padrone e servo (Iphicrate e Arlecchino), padrona e serva (Euphrosine e Colombina) – in una specie di persecutorio campo di rieducazione maoista per i padroni. Dovranno infatti subire lo scambio di ruoli fino a che non prenderanno coscienza delle loro colpe, confessandole e facendone ammenda. In caso contrario staranno lì per sempre, come gli spiega la attrice-regista Tatulli, nei panni della educatrice portavoce della comunità degli isolani. Il testo - che ha qualche parentela con lo scoronamento degli uomini-yahoo nella swiftiana repubblica dei cavalli (per altro più crudele critica in generale della società umana, della guerra e del colonialismo) – è un po’ fiacco e moralista, ed ha un finale buonista, che rimette tutto al suo posto. Anche i servi alla fine riconosceranno i loro difetti caratteriali, a cui si aggiungono quelli padronali di cui si appropriano nella inversione di ruoli, ed una volta che l’educazione psicologica li avrà tutti coinvolti e resi ‘più buoni’, tutti torneranno al loro ruolo, ma con coscienza e pietas, ed il rapporto di classe sarà confermato, e tutti liberi di tornare in patria. Dunque l’assolutismo può essere ‘illuminato’, buon governo, e i padroni ‘buoni’. In linea di massima il tutto è poco eccitante, se non per qualche perversione che traluce nei servi fattisi padroni (anche se ben lungi dalle crudeltà future de ‘La signorina Giulia’ di Strindberg, o dai ‘Servi’ di Genet). E quindi? Come muoversi?

Il Settecento può essere pedagogico e riformista, sferzantemente satirico, perverso, rivoluzionario, ma sempre, specialmente in teatro, è armonia e leggerezza, ritmo, ed esprit de géometrie e de finesse; sensiblerie. E dove perverso, si diletta di giochi di specchi e simmetrie, di divertite allusioni.

Ci sarebbe voluta dunque una regia astratta e geometrica, ironica e sdoppiata, ritualizzata.

Qui la regia invece è sgangherata e statica. Sul fondo scena, con un trucco ormai logoro, imperversa una gigantografia cinematografica, che ammannisce, filtrate in blu, sequenze di disastri nucleari e proteste popolari, quasi a voler equiparare le colpe della classe dominante novecentesca alla blanda incriminazione domestico servile in atto nel testo settecentesco. Quanto alla scena sottostante, sembriamo buttati sul set di una pièce Beckettiana. Sul pavimento c’è sabbia. Sul fondo scena, a sinistra una montagna di stracci, a destra reperti da discarica.

A cosa attribuire questo scenario di degrado da ultimi giorni dell’umanità? Tanto più che la recitazione non riprende assolutamente – modernizzando o stralunando – questi riferimenti attualizzanti e tragicizzanti. E’ una recitazione statica ed iper accademica, e nella regista addirittura melensamente statica (senza che questo pero’ slitti, come avrebbe potuto essere, in una parodia di questa insopportabile pedagoga).

In Euphrosine (Ilaria Piemontese) la recitazione si fa poi isterica ed infanteggiante. Un po’ meglio l’accademia dei servi. In particolare Romano Talevi che, nella veste di Arlecchino, riesce a tirare fuori una sua allegra e divertita energia da rozzo coatto americaneggiante, e persino verso la fine qualche tono da sofferta contraddizione sentimentale, arieggiante dietro le convenzioni del divertissement, la rivendicazione di una propria complessa dignità umana. Colombina (Lorena Ranieri) è più tradizionale, ma talora vivace nelle sue mossette da Colombina sguaiata.

Ma il Settecento dov’è? Dove il fremito quando il crudele gioco di specchi porta i protagonisti a rendersi conto di essere uguali, non appena i ruoli si invertono. E dove la leggerezza e l’allegria che sottolineino la bonomia burlesca in cui tutto si risolve? Dove l’eleganza da commedia dell’arte che ironicamente poteva permeare mozartianamente i servi in questo burlesco balletto micro sadico.

Il testo di Marivaux non è dei suoi più felici, e non se ne vede l’urgenza ripropositiva, ma certo la performance ricavatane è assai più infelice.

 

Scheda tecnica
‘L’isola degli schiavi’
, di P.C.de Marivaux, Teatro Eutheca, dal 12 al 22 dicembre 2013. Traduzione – F. De Martin. Regia di Federica Tatulli. Scene di Francesco Persico. Costumi di Mariella D’Amico.

Disegno luci di Luca Barbati. Aiuto regia Salvatore Costa. A completare il cast: Romano Talevi (Arlecchino), Giovanni Grasso (Iphicrate), Lorena Ranieri (Colombina) e Ilaria Piemontese (Euphrosine).

 

 

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