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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Banquo. L’altro chi?

 

In un’intervista a proposito del recente lavoro su Ravenhill - un ciclo epico da cui l’Accademia degli Artefatti ha realizzato finora 12 pièces (pluripremiate, nel 2010 e 2011) - il regista del gruppo, Fabrizio Arcuri, focalizza la sua ricerca sull’attore sulla problematizzazione della sua legittimità a stare in scena. E indica - in una chiave neo-brechtiana e poststanislavskiana - il perno della questione nella centralità lacanniana della ‘relazione’ , la relazione con ‘l’Altro’, come problematizzazione e gioco di specchi sul nesso scena-pubblico.

E’ anche questo, fa notare, ad orientare la scelta dei testi su cui lavorare, come è il caso di questo nuovo spettacolo, ‘Banquo’ (esordio, Genova, gennaio 2013, e poi al teatro Belli di Roma, aprile 2013 ), tratto dal ciclo di Tim Crouch I, Shakespeare, fondato sulla rilettura di più personaggi ‘secondari’ shakespiriani, secondo una attenzione di lunga corso di Arcuri alla nuova scena inglese.

Naturalmente Banquo è un personaggio secondario per modo di dire. Macbeth è forse la tragedia shakespiriana che più si avvicina alla scultorea monodia dei drammi marlowiani, e Lady Macbeth e Banquo, anche se l’ultimo di meno parole, giganteggiano come controluce del protagonista, ma sono poi in realtà il suo antefatto e la sua essenza, i due versanti amletici di una figura scissa. Macbeth è un fuscello al vento di queste due fiamme, e solo nell’ombra della loro morte assurge alla sua monumentalità nichilista. Gli altri sono in lui ed è da loro agito, inghiottito infine nell’alterità nonsense del potere come eutanasia dell’Io.

Proprio tuttavia perché i calibri da trattare sono enormi, la via percorribile non può essere che quella dell’understatement ironico grottesco (si pensi del resto che agli inizi del teatro della Tosse sta la frequentazione dell’ Ubu roi di Jarry ), del distanziamento ragionativo, che del potere vivisezioni le tare ‘umane, troppo umane’, piccole piccole, secondo uno straniamento tra il brechtiano e l’amletico. Sì, perché la parte più riuscita di questo ‘Banquo’(un duttilissimo Enrico Campanati) - che racconta la sua storia, e domanda a sé e all’amico (ombra dell’ombra), ponendo dubbi e irridendo possibili catarsi immedesimative del pubblico - è il registro amletico, è il suo oscillare pirandellianamente tra il ‘fuori’ ragionativo (mix di comico e tormento) e il ‘dentro’ di un riprecipitare, a sorpresa, in toni da recitativo tragico, microfonato. Una microaltalena tra parlato avvicinante e microfono-alterità, che ricorda in sottotono certi artifici di Carmelo Bene, il grande istrione borghese dell’alterità. E’ il registro dell’ironia accusatoria dell’Amleto del teatro nel teatro, che col suo teatrino rende accuse al pubblico, per poi scivolare via nello sberleffo della pazzia, e nelle tenebre del tormento personale autoaccusatorio.

Tutto comincia in piena luce. Sullo sfondo tendine argentate filiformi, televisive. Davanti banconi bianchi, astratti, a parallelepipedo. A lato il ‘servo di scena’, spettatore muto e renitente a qualsiasi chiamata in causa. Atono. Qui un tecnico di scena; nel testo di Crouch, il figlio di Banquo.

Banquo-Campanati, in elegante giacca bianca da presentatore, imbonisce e sfotte il pubblico, chiamandolo di volta in volta ad essere qualcuno dei ruoli secondari.

Man mano che la storia avanza, si chiede perché sia rimasto, perché l’amico lo abbia tradito, cosa avrebbe fatto lui. Si capisce lo rodano dubbi sulla sua purezza, benché alla fine ceda alla tentazione di condannare l’amico… “Io in paradiso.. mio figlio re [anche se in realtà non accade] …. Tu… All’inferno !”

Con ciclici colpi di scena alla Quentin Tarantino, immerge le mani in una vaschetta di ‘sangue di scena’, fino al climax di cospargersene il collo, quando si prevede nel racconto l’imminenza del suo massacro. Scherza sull’emozione del pubblico, e a fine show spiegherà che quel sangue non sporca. E’ polvere di velluto più gel.

In alcuni momenti di svolta seria, cala il buio, e al volume alzato della voce microfonata si aggiungono accensioni del retro scena, ora di un rosso vivo, ora del verde minaccioso della foresta che avanza.

Resta da chiedersi quale sia l’altro a cui si rivolge. E’ il pubblico, reo possibile di tutti i crimini del potere a cui assiste ? E’ lui, come possibile traditore dell’amico in altra situazione ? Diciamo con Rimbaud che ‘je est un autre’, o lacannianamente che l’Io è un falso incardinato sullo sguardo dell’altro. Non ci sono risposte.

Lo spettacolo è agile, e corretto lo smontaggio comico-pensante, e calzante la rinuncia finale, il cedere infine al registro tragico esistenziale del rancore doloroso e della condanna. Forse solo avrebbe potuto dilatarsi di più questo crescendo, e concludere, senza la cocciutaggine finale della gag comica sul sangue. E si sarebbe potuto dilatare anche l’aspetto, meno rabbioso e più dolente, dello stupore amicale, della nostalgia per l’amicizia infranta. Ma tra ironia ragionamento e rabbia, per il registro delicato del dolore, in questo spettacolo, c’è poco spazio, in onore alla coerenza della tesi. E poi c’è da chiedersi fino a che punto la vivace marionettizzazione del pubblico a comprimario serva più che al suo brivido comico. E’ veramente un portarlo a pensare, o il registro comico dello smontaggio rischia di calarlo in ben altri televisivi brividini? Ma forse questa è una delle cifre in filigrana. L’irrisione totale della rappresentabilità della coscienza del male, tra gag alla Tarantino, e saponificazione da show televisivo. E forse per questo il tecnico di scena deve tacere. Il fanciullo di Crouch è un testimone muto e innocente. Il tecnico forse un sabotatore cosciente.

 

Scheda tecnica

Banquo, di Tim Crouch, dal Macbeth di William Shakespeare (1564 – 1616). Traduzione italiana di Pieraldo Girotto. Regia - Fabrizio Arcuri. Accademia degli Artefatti – Teatro della Tosse. 
Interpreti - Enrico Campanati
All’interno della rassegna ‘Trend – Nuove frontiere della scena britannica’, a cura di Rodolfo Giammarco, Roma 2-14 aprile 2013

 

 

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