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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

La Torre d'avorio, di Ronald Harwood, secondo Luca Zingaretti

 

 

Dopo qualche tempo, Luca Zingaretti ritorna a teatro nel duplice ruolo di attore e regista con l'allestimento di La torre d'avorio (Taking Sides in originale) di Ronald Harwood, più noto al pubblico per la versione filmica della commedia, The Dresser, con gli straordinari Albert Finney e Tom Courtney, e per la sceneggiatura de Il pianista di Roman Polanski. Il titolo originale che letteralmente potrebbe tradursi "schierarsi", definisce meglio il fulcro tematico di questa commedia processuale, che inscena la problematicità di scegliere da che parte stare, una problematicità che deriva dalla complessità stessa e spesso dell'inconoscibilità del reale.

Il caso in questione è quello del grande direttore d'orchestra Wilhelm Furtwangler, accusato di connivenza con il Terzo Reich. L 'azione si svolge nel 1946 a Berlino in un angusto ufficio dove il Maggiore Arnold (Luca Zingaretti) lavora ai procedimenti di istruttoria preliminare in vista del processo al tribunale di Denazificazione. La partitura testuale è un meccanismo drammaturgico perfetto, basato su una sequenza serrata di scene di confronto tra il Maggiore Arnold e il teste di turno. Gli stessi imputatati vengono interrogati due volte e le seconde deposizioni spesso contraddicono le prime, e quasi sempre svelano solo in parte la verità. Sono il secondo violino della Berliner Philharmoniker che ottenne un posto di lavoro grazie all'epurazione dei musicisti ebrei dall'orchestra ; l'irruenta Signora Sachs vedova del pianista ebreo Bruno Walter che venne aiutato da Furtwangler, e soprattutto Furtwangler in persona. Nonostante la sua struttura da court play, la commedia si espande in tanti rivoli tematici ed evoca abozzi di sotto trame attraverso due personaggi solo apparentemente laterali, la segretaria Emmi Straube e il Tenente ebreo americano David Willis, un personaggio di alta statura morale e intelligentemente propenso a sospendere il giudizio. La loro presenza e i loro commenti fugaci suscitano interrogativi sul difficile rapporto tra arte e potere, poiché entrambi credono fermamente che l'arte sia un potente stumento di libertà.

La orchestrazione di voci e di punti di vista viene efficacemente messa in luce dalla regia di Zingaretti, che dirige lo spettacolo nel pieno rispetto dei tempi accelerati, degli improvvisi silenzi e del ritorno dei motivi ricorrenti del testo. Il ritmo incalzante dell'azione è il punto forte dello spettacolo che per altri versi conserva un'impostazione piuttosto tradizionale e che non sempre riesce a mantenere quel "balance of culpability" che il testo impone.


L'impianto scenico di André Benaim è essenziale e perfettamente simmetrico. Pareti grigie con tubi neri a vista, una stufa di ghisa, la scrivania di Arnold al centro, quella della segretaria di lato. La luce algida di una Berlino dilaniata dai bombardamenti, filtra da tre finestroni nel secondo tempo, dove la scena rimane invariata nonostante la diversa posizionatura degli arredi. Una vera e propria stanza della tortura, uno spazio claustrofobico, dove l'unico elemento di fuga è la splendida musica di Beethoven che il rozzo Maresciallo Arnold detesta con tutto il cuore.

Zingaretti, seppur bravo, non riesce a togliersi di dosso la maschera di Montalbano e i suoi modi troppo odiosi e arroganti, rischiano di ingabbiare il personaggio nella trappola della stereotipia. Esplicita in modo troppo plateale l'ottusità dell'americano disposto a tutto pur di " affondare i suoi artigli sui bastardi". Arnold, l'integerrimo giustiziere delle vittime del Nazismo, è anche, a detta del suo creatore " l'unico che nomina i morti ", mentre gli altri parlano solo di arte e di musica. Per quanto sgradevole, Arnold è anche profondamente umano e contraddittorio, un paladino della giustizia che tuttavia è disposto a truccare carte pur di vendicare quei morti. Il suo grido in difesa delle vittime del Nazismo sarebbe suonato più autentico, se il personaggio fosse stato sviluppato in modo meno univoco ed enfatico.

Più convincente appare il Furtwangler di Massimo De Francovich, che scava il personaggio per restituirgli, con giusta misura, tutta la sua complessità. I registri vocali e la grammatica gestuale mutano nel corso del dramma, per lasciare intravedere le zone oscure del grande direttore d'orchestra, le sue umanissime debolezze, e quel coacervo di compromessi, connivenze e fede nella missione della sua arte che ha fatto della sua coscienza un campo di battaglia. Il suo rieserbo e la sua compostezza iniziali vengono messi a dura prova dal pressante interrogatorio e in particolare dalle insinuazioni sulla sua vita privata azzardate da Arnold. Dall'inchiesta emerge la difficoltà di distinguere tra le responsabilità di azioni private e pubbliche, e di risolvere il drammatico conflitto tra certezze ideali e le dure condizioni imposte da un regime dittatoriale. Furtwangler dichiara di aver consacrato la sua vita alla musica perché credeva di conservare nel suo paese " la libertà, l'umanità e la giustizia". Ha salvato la vita di molti ebrei, ma ha anche goduto dei privilegi che Hitler concedeva a chi non si opponeva apertamente al suo regime. Il giudizio rimane sospeso, le perplessità sollevate dagli studiati silenzi che chiosano il ritmo sostenuto della performance. La complessità del sottotesto emerge anche grazie alla coesione tra gli attori che sanno misurare le battute, i gesti e gli sguardi, per accrescere quel senso di ambiguità che avvolge l'intera vicenda. Tra i personaggi secondari spicca il Tenente Willis interpretato da un Peppino Mazzotta particolarmente intenso e la Tamara Sachs della convincente Elena Arvigo.

Al di là del fatto storico, rimane il rovello della funzione dell'arte in un mondo che ha perso le sue cordinate etiche e l' amarissima consapevolezza che a noi umani, per dirla con Shakespeare, " non è dato sapere".

 

Scheda tecnica

LA TORRE D'AVORIO, di Ronald Harwood.

Traduzione di Masolino D'Amico. Scene: André Benaim. Costumi: Chiara Ferrantini. Luci: Pasquale Mari. Consulenza musicale: Fabio Vitta.

Con: Luca Zingaretti, Caterina Gramaglia, Peppino Mazzotta, Gianluigi Fogacci, Elena Arvigo, Massimo De Francovich.

Regia di Luca Zingaretti.

Produzione esecutiva: Angela Zingaretti.

Prima nazionale: 12 gennaio 2013 al Teatro Pergolesi di Jesi.

Visto al Teatro Eliseo di Roma nel marzo 2013.

Repliche:

16-17 aprile 2013 al Teatro Comunale di Vicenza.

18-21 aprile 2013 al Teatro comunale di Ferrara.

23-28 aprile 2013, al Teatro Verdi di Padova.

30 aprile- 1 maggio2013, al Teatro Asioli di Correggio.

2-5 maggio 2013, al teatro Storchi di Modena.

 

 

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