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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Refuse the Hour, di William Kentridge

 


In concomitanza con la mostra Vertical Thinking al Maxxi di Roma, ha debuttato in prima nazionale, al Teatro Argentina, l'ultimo lavoro di William Kentridge, Refuse the Hour, scaturito dalla collaborazione drammaturgica tra l' eclettico artista sudafricano e il fisico Peter Galison. Si tratta di un mastodontico esempio di teatro totale che amalgama in modo geniale tutte le arti e che materializza in scena il concetto astratto del Tempo mettendo in relazione il suo implacabile fluire con il significato della vita e dell'arte. Con la collaborazione del compositore Philip Miller, della coreografa Dada Masilo, e della video-maker Catherine Meyburgh, Kentridge mette insieme attori, danzatori, sei musicisti e tre cantanti liriche in un universo scenico caotico e fortemente visionario, oberato di ingranaggi meccanici e ordigni sonori di sua stessa invenzione, di oggetti di uso quotidiano sottratti dalla loro funzione primaria al modo di Dushamp, e di immagini in forma di disegni, foto, e video.

La partitura musicale che assembla arie di Berlioz con canti africani tradizionali, impasta le discordanze visive e in qualche modo funge da collante tra segni disparati che sono il correlativo oggettivo di quelle tracce umane che potrebbero essere archiviate o ingoiate per sempre nel buco nero.

Il testo è diviso in capitoli e ruota intorno al concetto del tempo visto da diverse angolazioni, spaziando dalla storia del controllo del tempo nel mondo alla teoria della relatività, dalla teorie delle stringhe a quelle dei buchi neri. In scena compare Kentridge in veste di attore di se stesso e di regista, un moderno Prospero che domina il caleidoscopico palcoscenico azionato da invisibili Ariel al suo servizio. Una orchestrina giocattolo, posta in alto, sull'arco di proscenio, attacca a suonare da sola, mentre lui, impeccabile nel controllo dei gesti e dei movimenti, dice il testo in un fluido inglese davanti ad un leggìo.Il monologo di Kentridge inizia con un ricordo d'infanzia, quando suo padre gli racconta di Perseo che uccise involontariamente suo nonno alla gara del disco. Il bambino di allora rifiuta l'inevitabilità del destino e l'adulto di adesso riflette sulla possibilità di riavvolgere la vita all'indietro come fosse una bobina.

Sulle prime il tempo viene dunque associato al tema della libertà, ma subito dopo il testo si inerpica sulle teorie di Felix Eberty, secondo il quale l'universo è un grande archivio di immagini trasmesse nello spazio alla velocità della luce. Simultaneamente, alle sue spalle scorrono immagini proiettate in sincrono o più spesso in contrappunto, immagini sdoppiate di Kentridge, carte geografiche ritagliate da vecchi atlanti. Tre immensi metronomi si mettono in moto mentre la scena si affolla di performer e musicisti. La perfetta orchestrazione di suoni e immagini dà forma plastica non soltanto al passaggio stesso del tempo e al divenire del processo artistico. ma anche al caos di tracce umane lanciate nell'universo. Questo anche grazie alla presenza in scena di grandi coni pulifunzionali in alluminio che, riflettendo e rifrangendo le luci di scena. danno visibilità al concetto astratto delle informazioni lanciate nel cosmo.

Certo, agli spettatori che dipendono dai sovratitoli, il viaggio di Kentridge nelle teorie lineari di Newton, nel tempo relativo di Einstein e nel possibile nesso tra i buchi neri e la teoria delle stringhe, lo spettacolo può apparire ostico e astratto. Ma in realtà ciò che accade in scena altro non è che la teatralizzazione non soltanto del pensiero scientifico, ma anche della responsabilità dell'artista e della sua lotta contro l'oblio. Se è vero che la luce viaggia ad una velocità fissa e che ogni gesto umano può essere trasmesso e registrato nell'universo, allora l'artista deve più che mai riflettere sul senso del suo operato perché la luce, di certo, non può tornare indietro. Ma il nodo drammatico centrale poggia sul dubbio che le tracce dell'arte vengano ingoiate nel gigantesco buco nero al centro nella galassia e che nulla rimanga a testimoniare il passaggio umano.

"Beauty is Truth, Truth is Beauty" : il verso di John Keats è il presupposto dell'operato artistico di Kentridge, ma forse mai come in questo spettacolo Arte e Scienza si amalgamano nella ricerca della verità. Il monologo dottorale del mago della scena viene interrotto, commentato e avallato da sketches teatrali ironici, che sdrammatizzano la portata filosofico-scientifica del testo. Straordinario è il momento in cui Kentridge duetta con Dada Masilo per rappresentare la possibile inversione del tempo. Entrambi si avvicinano al proscenio e si allontanano verso il fondo camminando all'indietro, poi la danzatrice inverte il movimento di andata, mentre Kentridge ripete all'incontrario la frase pronunciata nell'atto di avvicinarsi. Decisamente più comica è la scena in cui una coppia ripete i gesti quotidiani mentre sullo sfondo scorrono filmati dell'interno del loro appartamento con disegni di personaggi tridimensionali. UNDO, UNSAY, UNSAY, UNREMEMBER, UNHAPPEN, queste parole dette e proiettate sullo sfondo, commentano brechtianamente la banale ripetitività della vita quotidiana, auspicando una negazione del tempo.

Più discalico nel senso di Brecht è il capitolo nel quale il tempo è visto come strumento di controllo della mappatura temporale del mondo. Immagini dell'interno del Royal Observatory di Greenwitch commentano la protesta di Kentridge contro l'insensatezza di creare un tempo unificato. Ognuno ha il suo tempo individuale e ogni cultura ha il suo orologio. " Ridateci il nostro sole " è lo slogan proietato sul muro e, mentre una splendida sequenza di immgini in bianco e in nero si difana sullo schermo, un immenso uomo -mondo pneumatico compare in scena pronto ad esplodere. Tocco di genio del maestro che, a dispetto del calibro teorico del testo, riesce a creare immagini di magica sospensione visiva. Come nel rush finale di teatro delle ombre, in cui silhouette nere su sfondo bianco si incamminano in processione verso il nulla, chissà, del buco nero.

Volutamente eterogeneo lo spettacolo può confondere alcuni, e in certi punti, rischia di tediare altri anche a causa di sporadici rallentamenti del ritmo performativo provocati dall 'astrazione speculativa. Ma rimane un capolavoro di inventiva, dove la potenza scenica dei performer e la geniale commistione di stimoli uditivi e visivi trasforma lo spettacolo in una esperienza unica di teatro totale e totalizzante.

 

Scheda tecnica

REFUSE THE HOUR, ideazione, testo e libretto: William Kentridge. Musica: Philip Miller. Coreografia: Dada Masilo. Ideazione e video-editing: Catherine Meyburgh. Drammaturgia: Peter Galison. Stage design: Sabine Theunissen. Movement direction: Luc De Vic. Costumi: Greta Goiris. Machine design: Christoff Wolmarans, Louis Olivier, Jonas Lundquist. Luci: Urs Schoenebaum. Direzione musicale e orchestrazione: Adam Howard.

Performers: William Kentridge, Dada Masilo danzatrice, Donatienne Michel-Dansac soprano, Ann Masina vocalist, Joanna Dudley vocalist, Bahm Ntabeni attore e cantante, Thato Motlhaolwa attore, Adam Howard direttore musicale, tromba e filicorno, Philip Miller harmonium, Tiale Makhene percussioni, Waldo Alexander violino, Dan Selsick trombone, Vincenzo Pasquariello pianoforte, Thobeka Thukane tuba.

Co-prodotto da Holland Festival, Festival D'Avignon, Romaeuropa Festival, Teatro di Roma, Onassis Cultural Center.

Visto al Teatro Argentina di Roma il 18 novembre 2012..

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