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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

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Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Il richiamo delle terre estreme. Into the wild di Sean Penn

 

Into The Wild

Regia di Sean Penn

Con Emile Hirsch, Marcia Gay Harden, William Hurt, Jena Malone,
Brian Dierker, Catherine Keener, Vince Vaughn, Hal Holbrook

Distribuzione: BIM

 

 

 

 

Volevo il movimento, non un’esistenza quieta. Volevo l’emozione, il pericolo, la possibilità di sacrificare qualcosa al mio amore. Avvertivo dentro di me una sovrabbondanza di energia che non trovava sfogo in una vita tranquilla.”
Lev Tolstoj, La felicità familiare

La felicità appare sempre molto lontana dagli individui. Si fa fatica a ritrovarla dentro se stessi ed è quasi impossibile cercarla nell’affollato clamore del nostro tempo. Forse per questo si fugge altrove a inseguire un’utopia, a coltivare la propria solitudine, oppure a tentare di ricostruire l’armonia con il mondo. In tutti i casi bisogna compiere un viaggio. È ciò che probabilmente pensa Christopher McCandless, un ventiduenne di Atlanta, all’indomani del conseguimento della laurea in politica internazionale. A uno spirito libero i sogni di un roseo futuro professionale nella società del benessere, di un matrimonio felice e di una vita confortevole possono non bastare.

Così, nel 1990, donati tutti i suoi risparmi in beneficenza a un’associazione che combatte la povertà, il giovane abbandona famiglia, agi e identità (Alexander Supertramp il suo nuovo nome) per infilarsi nel cuore dell’America più remota, dove per due anni respirerà la polvere delle strade prima dell’aria gelida dell’Alaska che gli procurerà la morte. Questa “evasione dalla civiltà” conclusasi drammaticamente è diventata, grazie alla tenacia di Sean Penn, che ha lottato per un decennio per ottenere dalla famiglia McCandless il permesso di raccontare la vicenda del loro unico figlio maschio, una spettacolare storia per il cinema intitolata Into the Wild, già calorosamente salutata al Festival di Roma.

Tratta dal libro di Jon Krakauer Nelle terre estreme, ristampato in Italia dalle edizioni Corbaccio, la pellicola narra la vera odissea di Chris McCandless (Emile Hirsch, già visto in Alpha Dog), dall’allontanamento dagli increduli genitori Billie e Walt McCandless (rispettivamente Marcia Gay Harden e William Hurt) e dalla sorella Corinne (Jena Malone), ripercorrendo tutte le tappe del suo viaggio, fino all’inatteso epilogo. Congedatosi “francescanamente” da ogni confortevole tepore, il giovane intraprende il suo itinerario prima con un’auto sgangherata, poi in autobus, con i treni merci, in autostop e a piedi, con in testa i sogni e le pagine di Jack London e Henry Thoreau.

L’America degli emarginati e dei vagabondi lo accoglie come un figlio. Tanti come lui sono in cerca di un nuovo modo di vivere, ma pochissimi sono risoluti a spingersi oltre. Chris raggiunge il South Dakota e le distese di frumento, dove sarà agricoltore, poi sfiderà in kajak le rapide del fiume Colorado, si procurerà il cibo con la caccia e la raccolta, o con lavoretti occasionali, sconfinerà in Messico e sarà ospitato in una comunità hippy a Slab City, nel deserto della California. Ma in quei luoghi non si fermerà che il tempo necessario per trarre “stille di saggezza” dai numerosi incontri on the road, e nuova carica per continuare la sua avventura alla ricerca della verità.

L’attrazione per la solitudine e il richiamo della libertà lo portano, nell’aprile 1992, verso il Grande Nord, in Alaska, dove l’immersione nella natura selvaggia sarà pressoché totale. Le foreste e le impervie montagne, i fiumi impetuosi e le nivee distese costituiscono una suggestione inimitabile per ogni essere umano. In quei paesaggi in cui è facile perdersi nella contemplazione la telecamera di Sean Penn si lascia andare a lunghe riprese accompagnate dalle note di chitarra e di altri strumenti a corda (splendida la colonna sonora di Eddie Vedder dei Pearl Jam). Perfino l’alloggio di fortuna del giovane, un vecchio relitto di autobus, dispone lo sguardo all’afflato poetico.

In quegli spazi enormi e vuoti Chris oltrepassa i limiti della vita. Forse raggiunge quella felicità tanto anelata, che non sa o non vuole condividere. O forse no. Into the Wild non ha la presunzione di fornire troppe risposte. Appassionato e ribelle, immaturo ed egoista, Christopher McCandless rappresenta la parte sana della gioventù americana (e non solo) che non delega a nessuno la costruzione del proprio futuro, che vuole scrollarsi di dosso la dipendenza dalle comodità e dai falsi miti della società, che vorrebbe cambiare il mondo iniziando da se stesso. È un idealista, romantico e individualista, un figlio perduto nell’utopia della frontiera.

Sean Penn (La promessa, 2001, con Jack Nicholson), regista, sceneggiatore e produttore del film, al quale non è ignota la lezione di Terence Malick (la voce fuori campo è della sorella di Chris, Corinne), dimostra di possedere la giusta disposizione per un soggetto che sembra uscito dagli anni Settanta. Il rifiuto del benessere, difatti, è associabile, in parallelo, all’esplosione dei simboli del consumismo in Zabriskie Point di Antonioni, così come l’ottima disposizione degli attori (Brian Dierker, Catherine Keener, Vince Vaughn, Kristen Stewart e Hal Holbrook), che compongono il ritratto di un’umanità ai margini, favorisce il richiamo alla nostalgia e alla commozione.

Qualcuno potrà tacciare quest’opera di retorica e d’ingenuità. Ma la sincerità si presta a questo genere di critica. Perché l’ammirazione delle infinite espressioni della “grande madre natura” induce ancora allo stupore e alla meraviglia ogni essere umano. Perché in tempi in cui l’uomo ha procurato offese, forse irreversibili, al delicato equilibrio degli ecosistemi, l’ideale di una natura potente e impenetrabile può riprendere ad alimentare le ataviche suggestioni dell’individuo affinché l’amore e la conoscenza di se stesso vengano finalmente ad identificarsi con il rispetto nei confronti del creato.

 

 

Inseguendo il mito della natura selvaggia…

La natura selvaggia attirava chi fosse annoiato o disgustato dall’uomo e dalla sua opera. Non soltanto costituiva una possibilità di fuga dalla società ma anche il palcoscenico ideale sul quale esercitare il culto che l’individuo romantico spesso faceva della propria anima. La solitudine e la totale libertà di una terra selvaggia creavano l'ambientazione ideale per la malinconia o l’esaltazione”.
Roderick Nash, Wilderness and the American Mind

 

A dispetto di tutto ciò che un filosofo di scuola hegeliana possa eccepire, Into the Wild, viaggio alla scoperta dell’Io, è un moderno “Bildungsroman”, ovvero la storia dell’esistenza di un giovane eroe che attraverso una serie di errori e di disillusioni giunge a instaurare un rapporto positivo, o perlomeno di compromesso, con il mondo. È però importante che il protagonista di questo tipo di romanzo abbia coscienza della sua ricerca, che le esperienze da lui fatte non siano una sequenza casuale di avventure, bensì costituiscano dei gradini sulla via di un processo di orientamento, di crescita e di maturazione personale.

Per quello che mi riguarda - racconta Sean Penn - la mia esperienza personale che si avvicina di più a quella di McCandless è stato crescere nei pressi dell’oceano e fare il surfista. Anche tra le onde si cerca una sorta di solitudine. Seppur inizialmente il protagonista fugge da qualcosa - dalla sua famiglia, dagli obblighi, da una situazione di comfort - il fulcro del film sta nella sua ricerca e nella celebrazione della libertà. Ed è una cosa che tutti dovrebbero provare a fare, magari non in una maniera così estrema.”

Le parole del regista, premio Oscar per l’interpretazione in Mystic River, rimandano ai viaggi di formazione intrapresi per mare di cui La linea d’ombra di Joseph Conrad rappresenta un modello, e alle numerose opere letterarie che non solo costituiscono il bagaglio culturale di Chris, ma svolgono la funzione di veri e propri “compagni di viaggio”. Nello zaino che lo accompagnerà verso il Grande Nord, oltre al fucile calibro 22 troviamo un pugno di libri: Il richiamo della foresta di Jack London e La morte di Ivan Ilic di Tolstoj, Walden, ovvero La vita nei boschi di David Henry Thoreau e Huckleberry Finn di Mark Twain, Il Dottor Zivago di Boris Pasternak e Education of a wandering man di Louis L’Amour.

Memorie e resoconti di viaggio, avventure in terre impervie o inesplorate, esperienze di vita vissuta a contatto con una natura benigna od ostile, alimentano i sogni del giovane McCandless che nel suo

rapporto intimo con l’ambiente selvaggio dell’Alaska cerca la riconciliazione con il mondo e, reputandosi unico artefice del suo destino, si misura con le proprie capacità di sopravvivenza. Una vicenda per alcuni versi affine, è quella raccontata da Werner Herzog nel documentario Grizzly Man, in cui l’esperienza di Timothy Treadwell, un ecologista animato dall’ossessione di proteggere dai bracconieri una comunità di orsi grigi, si conclude tragicamente.

I segreti di Brokeback MountainIl regista tedesco, descrivendo il travaglio dell’ennesimo eroe solitario, un “guerriero gentile” - e folle - che visse per ben 13 estati di seguito accanto agli orsi in Alaska, ribadisce la sua idea pessimistica della natura (spietata e violenta) tacciando di cieca ottusità la visione romantica che nutre il sogno utopistico dell’individuo di dominarla. Di altro segno il commovente Dersu Uzala, il piccolo uomo delle grandi pianure (1975), produzione russo-giapponese diretta dal mitico Akira Kurosawa, che narra l’esistenza di un solitario cacciatore mongolo in armonia con la natura selvaggia nella taiga siberiana, nei territori lungo il fiume Ussuri, ai confini tra Russia asiatica e Cina.

Trasposizione di due libri di viaggio di Vladimir K. Arseniev, scritti durante i primi anni del Novecento, il film, che si giova di immagini di straordinaria bellezza, è una storia di amicizia virile, e soprattutto la lunga elegia di un uomo libero “incatenato” fino alla vecchiaia alla natura per cui prova un amore e un rispetto che non suona esagerato definire “filiale”. Un sentimento di altro segno, ma di assoluta profondità, è quello che, invece, sboccia tra due cowboy omosessuali nell’emozionante scenario delle alture del Wyoming ne I segreti di Brokeback Mountain (2005) di Ang Lee.

Nel 1952 anche due giovani studenti universitari, Alberto Granado ed Ernesto Guevara partono per una sorta di viaggio iniziatico attraverso i paesi dell’America meridionale, nel mosaico di popoli e culture, tra paesaggi d’incomparabile fascino a cercare nel fondo della propria coscienza le radici comuni della civiltà del continente latinoamericano. I due amici troveranno povertà e sfruttamento, ma anche quegli ideali che li trasformeranno in uomini. Le notazioni di quell’epopea scritte a quattro mani da coloro che diventeranno l’uno medico e ministro della sanità a Cuba, l’altro il leggendario “Che”, sono diventate, grazie alla sapiente direzione di Walter Salles, I diari della motocicletta (2004), un memorabile racconto sulla gioventù come luogo prediletto dello spirito. I diari della motocicletta

A chiudere la breve rassegna, anche Una storia vera (1999), toccante road-movie diretto da David Lynch, è, a suo modo, una sorta di viaggio all’interno dell’anima. Durante il suo itinerario di avvicinamento al fratello malato, con il quale non parla da dieci anni a causa di una lite, Alvin Straight (Richard Farnsworth), claudicante e senza patente, partito su un tagliaerba con rimorchio, incontra una galleria di personaggi semplici e veri con i quali condividere il proprio malessere per la fuggevolezza del tempo: “La cosa più brutta della vecchiaia è il ricordo della giovinezza”. Percorrendo circa 500 km in sei settimane, l’anziano protagonista rappresenta la malinconia dell’essere umano per la brevità del suo viaggio esistenziale, visto come un’ininterrotta agonia interiore. Farnsworth che per questo film semplice e lento, amaro ed emozionante, ottenne la nomination agli Oscar per la migliore interpretazione, morì suicida nel 2000.

(Questo articolo, pubblicato il 17 gennaio del 2008 nella precedente edizione della rivista Fogli e Parole d'Arte, al momento della ristampa nella nuova edizione era stato letto da 3798 lettori)

Estratto da Primissima Scuola, anno 14 n.7 dicembre 2007

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