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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

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Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

La discesa di Orfeo, di Tennessee Williams

Con La discesa di Orfeo, presentato in prima nazionale al Festival di Spoleto, Elio De Capitani prosegue il suo appassionato lavoro sulla drammaturgia di Tennessee Williams, iniziato nel 1993 con la regia di Un tram che si chiama desiderio, e ripreso nel 2011 con Improvvisamente l'estate scorsa.

Messo in scena per la prima volta al Martin Beck Theatre di New York nel 1957, La discesa di Orfeo non ottenne il successo sperato da Williams che aveva dedicato diciassette anni alla stesura del dramma, faticosamente ricostruito sulle macerie di Battle of Angels del 1940. A salvarlo dall'oblio intervenne subito dopo la versione filmica di Sidney Lumet, The fugitive kind (Pelle di serpente in italiano) con Anna Magnani e Marlon Brando e, più tardi nel 1988, l'allestimento teatrale di Peter Hall, con Vanessa Redgrave e Kevin Anderson.

Una scelta coraggiosa, dunque, quella di De Capitani, perché il dramma, inedito in Italia, è problematico e contraddittorio, un complesso assemblaggio di mito e realismo sociale, ritualità (vi compare anche un misterioso stregone nero) e lirismo.Ambientato nell'Ade americano di un drugstore spettrale, in una altrettanto spettrale cittadina del profondo Sud razzista e bigotto, la piéce presenta una struttura poco compatta, con chiari riferimenti al mito orfico e alla tragedia greca, e con ben diciannove personaggi di cui solo pochi svolgono una funzione corale.

 La vicenda ruota intorno all'incontro di Lady Torrace, una delle tante emarginate archetipiche di Williams, e Val Xavier, un chitarrista fuggitivo dal passato misterioso, che l'autore ricalcò sulla figura di Elvis Presley. Lady è la figlia di un immigrato siciliano ucciso tempo addietro dal Ku Klux Klan. Depredata della sua casa che venne data alle fiamme e separata dal suo grande amore Cutrere, Lady è stata "comprata" da Jabe Torrace, un marito che non ama e con il quale vive da vent'anni. Val arriva nell'inferno di questa moderna Euridice per cercare lavoro e, una volta assunto, fa rinascere la donna a nuova vita attraverso la sua musica e il suo amore. Una rinascita, come nel mito, che dura ben poco, prima della morte di entrambi. Intorno alle due figure principali si muovono altri personaggi inquieti e solitari che tentano di liberarsi dalle grinfie della tirannia sociale. Prima fra tutti, Carol Cutrere, bandita dalla città per la sua promiscuità e Vee, la moglie dello sceriffo Talbott, che dipinge e si abbandona a visioni cristologiche per sottrarsi a quel moderno Cerbero di suo marito.

L'intreccio è dunque pericolosamente in bilico tra melodramma e dramma simbolico e il novello Orfeo, Val Xavier, coniuga in sé eroticismo e idealismo, due aspetti difficili da bilanciare in scena.

L'adattamento drammaturgico di De Capitani, sostenuto dalla traduzione di Geraldo Guerrini, vira decisamente verso la resa simbolica del dramma che viene in parte decontestualizzato dalla realtà americana di quei tempi, per rimanere sospeso in un non tempo dove la libertà dell'artista e dell'emaginato viene tarpata da una società miope e oppressiva. Sette personaggi vengono depennati e gli elementi più melò vengono decisamente neutralizzati da un impianto registico che punta sullo straniamento. Le minuziose didascalie vengono dette al microfono per essere spesso contradette e, all'inizio del dramma, tutti gli attori prendono posto attorno ad un lungo bancone, come per accingersi ad una prova a tavolino.

L'impianto scenico rispetta, anche oltre il richiesto, la volontà espressa dall'autore nel Prologo, " La scena rappresenta in modo non realistico un comune drugstore". Di fatto il palcoscenico, delimitato da pareti grigie, è quasi vuoto. Fa pensare all'interno di un desolato capannone industriale, con grate di ferro e finestre di vetrocemento. Quel che resta della lista di arredi e oggetti scenici è lo stretto indispensabile, un vecchio registro di cassa, un telefono e, sullo sfondo, un letto d'ospedale per Jabe Torrance, malato di cancro. L'alcova dove sua moglie allestisce un letto per il suo Val, viene suggerita soltanto verso la fine da una semplice parete di separazione. Sullo sfondo, una grossa tela di plastica trasparente, bruciacchiata alla Burri, viene a tratti illuminata da improvvisi fasci di luce per evocare un minaccioso esterno temporalesco. Latrati di cani e lo sferragliare di treni in lontananza contribuiscono ad incupire l'atmosfera.

 Dopo il convincente attacco metateatrale, sostenuto dalla rapida alternaza di enunciazioni al microfono e dal vivacissimo chiacchiericcio delle donne del coro, Beulah Binning e Dolly Hamma, che spettegolano sull'antefatto, e dopo l'inquietante ingresso in scena di Val, il ritmo dell'azione scenica, sostenuto per altro dai minacciosi colpi di bastone del malato sul pavimento, comincia ad accusare alcuni rallentamenti.

Il Val di Edoardo Ribatto è annunciato da un accecante bagliore e da grida disumane, ma non indossa la fatidica giacca di pelle di serpente e lo stregone nero viene solo descritto dal coro. Sin dalle prime battute il personaggio viene come privato della sua ambiguità. Si presenta come uno che vuole guadagnarsi da vivere in modo onesto, e la prorompente sensualità del personaggio viene molto annacquata, per mettere in risalto il suo idealismo e la sua propensione all'arte. La regia lascia emergere i passi più poetici del dramma, lasciando la violenza un po' troppo in sottofondo. I vari elementi del dramma non sono ben amalgamati tra loro e l'intera performance appare, nel complesso, disorganica. Lo scenario allusivo ed alcune soluzioni registiche sono estremamente efficaci, come la scena in cui il vecchio Jabe trasforma i suoi esercizi di riabilitazione in un faticoso movimento di danza, con l'infermiera che lo guida in un passo a due eseguito agli estremi di un lungo tavolo che ruota su se stesso. Tuttavia, i ripetuti cedimenti del ritmo e l'eccessiva durata dello spettacolo allentano la presa sullo spettatore dalla seconda parte in poi.

Disomogenea appare inoltre la resa degli attori. Cristina Crippa, nei panni di Lady Torrace, si impiglia in una recitazione che, per non scivolare nel realismo, di fatto appiattisce il personaggio. Melancolico e femmineo, il Val di Ribatto non trasmette quell'energia d'artista attraverso la quale il novello Orfeo di Williams resuscita le anime morte. Più convincente sono la vibrante Carol Cutrere di Elena Russo Arman e il demoniaco Jabe Torrace di Luca Toracca. Bravi gli attori più giovani, tra i quali spiccano Sara Borsarelli (Beulah Binnings), Cristian Giammarini (David Cutrere) e Debora Zuin (infermiera Porter).

C'è da sperare che lo spettacolo, nato per altro come studio, sia cresciuto e abbia trovato un maggior equilibrio nell'intervallo di tempo trascorso dal debutto a Spoleto alla prima all'Elfo Puccini di Milano, attesa per il prossimo 16 ottobre.

 

 

Scheda tecnica

LA DISCESA DI ORFEO, di Tennessee Williams. Traduzione di Geraldo Guerrieri.

Drammaturgia : Elio De Capitani. Scene e costumi : Carlo Sala. Luci : Nando Frigerio. Suono : Giuseppe Marzoli.

Con : Cristina Crippa, Elena Russo Arman, Edoardo Ribatto, Luca Toracca, Cristian Giammarini, Corinna Agustoni, Sara Borsarelli, Federico Vanni, Debora Zuin, Marco Bonadei, Carolina Cametti e Alessandra Novaga (chitarra elettrica).

Regia di Elio De Capitani.

Produzione Teatro dell'Elfo.

Prima nazionale : 13 luglio 2012, San Nicolò Teatro, Spoleto.

Prossime rappresentazioni : dal 16 ottobre al 4 novembre all'Elfo Puccini di Milano.

 

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