Statistiche dal 2010

Visite agli articoli
4393242

Abbiamo 388 visitatori online

Cerca nel sito

Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

non ha scopo di lucro, non propone alcuna pubblicità e ha come unico interesse la diffusione della cultura.
Pertanto, le immagini pubblicate si attengono all'a
rticolo 70, comma 1bis della legge sul diritto d’autore, dove si afferma che è possibile la "libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro".


Iscriviti al nostro
canale WhatsApp
sul cellulare

 - Nuova informativa sui cookie -

 


Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Francesca Inaudi e Lorenzo Lavia a Colazione da Tiffany

Ormai è cosa risaputa che le grandi produzioni teatrali, quelle cioè che hanno più soldi da investire, accolgano sempre più spesso il cinema sulla scena per attirare spettatori in sala. In genere arruolano nel cast attori provenienti dal mondo di celluloide, e quando è possibile, propongono adattamenti drammaturgici di film di richiamo. Colazione da Tiffany di Piero Maccarinelli, ora in scena al Teatro Eliseo di Roma, è un esempio lampante di questa logica mercantile, nonostante il regista si vanti di aver tradito il cult di Blake Edwards in nome di una presunta fedeltà al romanzo e all'autobiografia di Truman Capote.
Lo sfavillante allestimento, di fatto, prende le mosse dalla versione che Samuel Adamson ha riscritto insieme al regista Sean Mathias per il Theatre Royal Haymarket di Londra (2009). Un testo sicuramente più fedele a Capote di quanto non lo sia stato il film che ha consacrato il mito della Hepburn, ma che tuttavia tradisce l'inimitabile essenzialità dello stile del grande scrittore americano, uno stile che crea mondi complessi attraverso la sottrazione, e che affonda nell'animo umano con pochi tratti di cesello.
L'adattamento di Adamson semplifica ma dilata le avventure della mitica Holly Golightly in un'azione scenica piuttosto lunga (due ore e tre quarti di rappresentazione), e per giunta segmentata in una serie di episodi che, al diretto conflitto drammatico, preferiscono l'evocazione generica di ambienti e situazioni. Il giovane scrittore William Parsons, che nel racconto funge da narratore interno, qui diviene personaggio a tutto tondo, ma la complessità del rapporto anche speculare tra l'artista sfuggito dall'Alabama per trovare una sua identità e l'avventuriera" in transito" a Manhattan, viene a dir poco lasciata in superficie.

La versione italana di Maccarinelli non aggiunge granchè a quella inglese, sia per quanto riguarda il testo che la sua messinscena, e soprattutto non osa una chiave di rilettura che oltrepassi un carezzevole e nostalgico intrattenimento. La bella scenografia di Gianni Carluccio in parte ricalca quella dell'Heymarket, con gli spaccati degli interni degli appartamenti di Holly e di William diposti su due piani, e collegati da scale antincendio. Il bancone mobile del bar di Joe Bell compare e scompare all'occasione, mentre il gioco delle luci punta sui toni chiaroscurali per avvolgere le vicende nell'aura nostalgica e dorata del ricordo. La regia non sfrutta al massimo la funzionalità dell'apparato scenico e non riesce a mantenere il ritmo dell'azione. Il meccanismo drammaturgico parte bene, ma poi si incaglia tra una dissolvenza e l'altra e, soprattutto nella seconda parte, sfuma in unindistinta sequenza di quadri che non mettono a fuoco il climax. Le luci indugiano sulle scene che fissano le pose della bella ma poco intensa Holly di Francesca Inaudi, fasciata dai bei costumi Anni 40 di Alessandro Lai, ma più spesso discinta o completamente nuda.
Dal buio emergono immagini di lei che strimpella la chitarra, che si cambia d'abito, che si passa il rossetto davanti allo specchio, che sorseggia, allegra e ciarliera, il suo champagne in compagnia dei suoi ospiti ricchi, arricchiti, mafiosi o in cerca di occasioni per la grande scalata sociale. La Inaudi sostiene di non aver visto il film con la Hepburn e di aver guardato a Marylin Monroe, la star che avrebbe scelto Capote, ma, purtroppo per lei e per noi, manca totalmente della umanità vibrante del suo modello. La sua Holly non ha profondità drammatica e non lascia emergere quel misto di paura, solitudine e di calcolo che si cela dietro la maschera frivola del personaggio. E' ironica, certo, e anche svampita e sexy al punto giusto, ma troppo spesso assume atteggiamenti divistici che appiattiscono il personaggio. Al suo fianco Lorenzo Lavia, nei panni di Parsons, sembra un pesce fuor d'acqua, come se fosse stato lasciato completamente da solo dal regista nel difficile compito di definire i profondi conflitti del personaggio, dall'accettazione della sua omosessualità alla presa di coscienza della necessità di arrendersi alla vita per poi riuscire a raccontarla.
Non c'è il lieto fine del film nè la melodia di Spoon River, ma neanche la problematicità del romanzo. New York viene evocata da un fondale con grattacieli in bianco e nero, dalle musiche ovviamente, ma tutti i personaggi che la abitano sono troppo caricaturali per evocare quell'atmosfera vacua e dorata nella quale i due protagonisti venuti dal Sud si perdono, tra lo scintillio delle vetrine di Tiffany e i pericoli e le promesse della Grande Mela. Madame Spanella il soprano che gorgheggia le sue arie al piano di sopra, il miliardario Rusty sudaticcio e mai cresciuto, Mag Wilswood la fotomodella stangona che osa competere con Holly, il troppo buffo fotografo giapponese Mr Yunioshi sembrano usciti da qualche vignetta della Settimana Enigmistica e reggono a stento la tridimensionalità della scena. Non c'è commedia, ma anche i toni più melanconici del testo vengono inghiottiti da una spettacolarità che rimane vuota e senza vita. Perfino il gatto di Holly che all'Heymarket era "interpretato" da un sensuale felino rosso di nome Jasper, qui è soltanto un grazioso e morbido peluche, un po' rigido e artefatto, come lo spettacolo.

 

Scheda tecnica

Colazione da Tiffany di Truman Capote. Con : francesca Inaudi, Lorenzo lavia, Mauro marino, Flavio Bonacci, Anna Zapparoli, Giulio Federico Janni, Cristina maccà, Ippolita Baldini, Riccardo Floris, pierto Masotti.   Regia di Piero Maccarinelli.

Adattamento di Samuel Anderson.  Traduzione di Fabrizia Pompilio.  Scene : Gianni Carluccio.  Costumi : Alessandro Lai.  Consulenza musicale : Antonio Di Pofi, Gianluca Grazieadio.  Disegno luci : Franco Sabbatino.

Al teatro Eliseo di Roma fino al 1 aprile.

 


abbiamo aggiornato l'informativa sui cookie