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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Arturo Cirillo interpreta l'Avaro

Nella versione di Arturo Cirillo, la casa di Arpagone assomiglia ad una camera oscura, definita da una serie di gigantesche cornici concentriche che degradano verso un fondale buio. Uno spazio claustrofobico e opprimente dal quale può fuoriuscire soltanto il vecchio tiranno, per accucciarsi ai margini bui dell'avanscena dove nasconde la sua cassetta e da dove origlia i discorsi dei suoi figli con i servi.

Cirillo, che compare anche nei panni del protagonista, ha scavato nei meandri del testo, tradotto dal grande Cesare Garboli, per riportare a galla tutta l'amarezza, la crudele analisi dei comportamenti umani che fa sfumare il comico nel tragico, e viceversa. La proverbiale taccagneria di Arpagone, il suo feticistico attaccamento agli oggetti e al denaro, diviene poca cosa rispetto alla sua volontà vampiresca di succhiare la vita dei suoi figli, di impossessarsi della loro giovinezza. Come da copione vorrebbe disfarsi di Elisa, facendola sposare ad un vecchio facoltoso, e lui stesso, ultrasessantenne e catarroso, vorrebbe prendere in moglie la giovare Mariana, di cui Cleante è innamorato.
Ma qui Cleante non è soltanto un imbrobabile rivale, ed Elisa non è soltanto una figlia disobbediente. Elisa e Cleante sono i nemici giurati del padre perché respirano l'aria che solo lui vorrebbe respirare, perché aspirano a vivere una vita di cui lui vorrebbe depredarli. Cirillo non muove una virgola del testo, non sottrae e non aggiunge, ma ne restituisce i significati più profondi. Il tutto adottando un taglio registico che fa leva sui gesti e sui registri vocali della sua collaudata compagnia, su tempi e ritmi perfetti, e su un impianto scenico visivo di grande impatto simbolico. Lui stesso è imbacuccato in una palandrana nera, il volto nascosto da un parruccone spettinato, ripiegato su se stesso e claudicante.
A mano a mano che il copione gli sfugge di mano, il suo profilo si incurva sempre di più e la sua voce si fa più stridula, il sibilo minaccioso di un gatto che soffia. Il personaggio viene super caratterizzato, ma mai a scapito di una sua credibilità. Non è la caricatura di se stesso, ma un mostro accentratore, un avido paranoico, separato e scisso dal resto.

Gli altri personaggi si definiscono in realazione al vecchio e appaiono come devitalizzati nei loro costumi bicolori che ricordano le tele di Rothko e nei loro spostamenti rallentati o,addirittura, intralciati da un pavimento irregolare. Lo svolgimento dell'intreccio è scandito dal progressivo spostamento di una o dell'altra cornice che, muovendosi con gli attori, provoca distorsioni di prospettive e di punti di vista. Sebbene cupa e amara, la versione scenica risulta anche terribilmente comica. La leggerezza fa leva sulla perfetta tempistica degli scambi di battute e la ritmica scansione dei passaggi, delle complicazioni e degli equivoci. Non si stacca lo sguardo dalla geometria simbolica della scena che fa risaltare il perfetto meccanismo del testo, e, nello stesso tempo, ci si lascia coivolgere dagli eventi rappresentati, perché sebbene a tutti noti, acquistano una nuova rilevanza. Questo, indubbiamente, grazie alle doti attoriali di ognuno e alla coesione tra tutti. Servi, cuochi, mezzane e innamorati sono come pedine di una scacchiera, ma ciascuno è caratterizzato a tutto tondo. Dalla indimenticabile Frosina di Sabrina Scuccimarra, anchilosata dalle fatiche del suo lavoro di ruffiana ma pur sempre briosa e tagliente, alla inquieta Elisa di Monica Piseddu; dallo strategico Valerio di Luciano Saltarelli al tormentato Cleante di Michelangelo Dalisi. Lo sdegno di quest'ultimo, nei confronti di un padre che gli ha negato l'amore e che vorrebbe sottrargli la felicità, è un grido di dolore, contenuto ma non per questo meno lacerante.

Lo scioglimento comico è commentato ironicamente fa un fondale dipinto con vista sul golfo di Napoli, ma il sopraggiungere del vecchio e ricco Anselmo, che si scopre essere il padre di Mariana e di Valerio, non cancella la violenza e la crudeltà del testo. Anzi, i due matrimoni non fanno che accrescere la tensione: Arpagone è fuori gioco, sdraiato sull'avanscena che amoreggia con la sua cassetta (per giunta vuota), ma che ne sarà degli altri, illuninati sullo sfondo nella loro interrogativa immobilità? Una volta liberi dalla cupidigia di Arpagone, sceglieranno la via dell'essere o quella dell'avere? Si può fare ancora, oggi, questa distinzione?

Il fatto che nel giro di poco tempo ben due versioni de L'avaro (l'altra, memorabile, è quella del Teatro delle Albe) emergano per la loro impresionante attualità, invita ad ulteriori riflessioni.


Scheda tecnica

L'avaro di Molière. Traduzione di Cesare Garboli.

Con Arturo Cirillo (Arpagone), Michelangelo Dalisi (Cleante), Monica Piseddu (Elisa), Luciano Saltarelli (Valerio), Antonella Romano (Mariana), Salvatore Caruso (Anselmo, Saetta, Filodavena), Sabrina Scuccimarra (Frosina), Vincenzo Nemolato (mastro Simone, Baccalà, Commissario), Rosario Giglio (Mastro Giacomo).

Regia di arturo Cirillo. Scene : Dario Gessati. Costumi : Gianluca Falaschi. Disegno luci : Badar Farok. Musiche : Francesco De Melis.

Al Teatro India di Roma fino al 18 marzo 2012.

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