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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Zio Vanja di Lev Dodin

 

L'”Ottobre Russo” al Piccolo di Milano si è concluso con Zio Vanja di Anton Cechov per la regia di Lev Dodin, con la straordinaria compagnia del Malij Teatr di San Pietroburgo. Non è uno spettacolo nuovo : lo si era già visto anche a Roma nei bei tempi andati del Teatro Valle (aprile 2004), ma a rivederlo, a distanza di anni, si è colti dallo stupore e dalla meraviglia di chi lo spettacolo lo vede per la prima volta. E' infatti uno spettacolo che resiste all'usura del tempo e che dimostra come la fragile arte della rappresentazione, drammaticamente legata ai capricci delle circostanze e spesso destinata alla dimenticanza, possa aspirare ad una persistenza non soltanto nella memoria storica, ma anche nella pratica spicciola del teatro. Quel che sembra irripetibile, dunque, può ripetersi quando, come in questo caso, una compagnia rimane stabile negli anni e, soprattutto, quando la tecnica degli attori è tanto raffinata da rendersi invisibile nel calore della rappresentazione. A guardarli si riceve l'impressione che recitare sia la via più breve per arrivare alla verità.

Con Zio Vanja, Dodin ha operato una profonda operazione di scavo nel testo, portandone in superficie i più riposti significati e cogliendo quella struggente melodia della vita quotidiana che permea di sé la partitura dei dialoghi e dei silenzi. Nulla o ben poco accade sulla scena dove la vita scorre in modo palpabile, con i suoi rimpianti e i piccoli riti quotidiani che proteggono dalla deriva chi vorrebbe vivere una vita diversa, ma che, allo stesso tempo, non crede di poterla modificare. Le vite dei personaggi sono vite irrisolte che anelano al non-vissuto e la forza interpretativa degli attori è tutta tesa a dare fisicità alle aspirazioni, ai desideri e alle impossibilità, in modo quasi impercettibile e con una levità che fa apparire ogni gesto assolutamente spontaneo.

La scena essenziale e spoglia è delimitata ai lati da pareti di legno con porte che danno accesso alle stanze della tenuta di Serebrjacov dove vivono zio Vanja (interpretato da un vitalistico e carnale Sergej Kurishef) e sua nipote Sonja (una sensibile Elena Kalinina). Sulla sinistra, una porta a vetri delimita il confine anche metaforico tra il dentro e il fuori, tra il qui e l'altrove, mentre tre enormi covoni di fieno incombono sopra le teste degli attori in attesa di venir calati alla fine sulla scena per imprigionarli nei loro ruoli. Pochi mobili, un samovar e una chitarra bastano a suggerire un mondo chiuso dove si inscena il dramma della banalità quotidiana, in un tempo che viene percepito come dilatato e a tratti sospeso nel ricordo, se non fosse per quegli sporadici rumori fuori scena (il canto del grillo, la tata che richiama le galline nel pollaio, il ritmico battere del martello), che evocano la ciclicità delle faccende domestiche e l'alternarsi del giorno e della notte.

Sin dalle prime battute, la regia evidenzia a tutto tondo la natura corale del dramma, facendo apparire tutti i personaggi insieme sulla scena intenti a sistemarvi gli oggetti e i pochi arredi. Non si tratta di un prologo pensato per distanziare il pubblico dalla finzione, perché, forse mai come in questo spettacolo, Dodin lascia che una sorta di quarta parete filtri, per così dire, il rapporto tra palcoscenico e platea. Si tratta piuttosto di un preludio che anticipa e definisce la comunanza dei destini di tutti i personaggi. Il rimpianto per ciò che non si è vissuto e per ciò che non si potrà mai vivere, non tormentano soltanto Zio Vanja, che ha sprecato i suoi migliori anni nella cura degli interessi del podere dell'odiato cognato Serebrjacov, e che ora ama non riamato sua moglie Elena, o sua nipote Sonja, segretamente innamorata dal medico Astrov ma da lui ignorata. Anche la corteggiatissima Elena (interpretata dalla straordinaria Ksenija Rappoport) ha rinunciato alla vita, dedicandosi al marito molto più vecchio di lei e malato di gotta e, se è vero che il suo arrivo alla tenuta porti un'ondata di vitalità insieme allo scompiglio della abitudini della casa, è anche vero che la sua abnegazione nei confronti di un uomo che non ama serve a rafforzare, in una sorta di drammatico contrappunto, quel senso di desolazione che abita l'animo di tutti. Bellissima è a tal proposito la scena in cui la donna fa finta di suonare un pianoforte immaginario sul tavolo dove tiene i medicinali per il marito, mentre Sonja è andata a chiedere al padre il permesso di cantare. L'urgenza del desiderio di vivere e di evadere dalla monotonia dell'assistentato illuminano il volto dell'attrice con un'intensità che fa partecipe lo spettatore della lacerazione del personaggio. Allo stesso modo, la sua momentanea ribellione al divieto del marito di cantare, esplode in un gesto di rabbia così inaspettato e violento da far vibrare sulla scena tutta la sua infelicità. La parola, del resto, è sempre esplicitata, se non addirittura anticipata, dal gesto e dalla mimica facciale e con una tale verità espressiva che spesso non servono i sopra titoli per capire le intenzioni, gli stati d'animo e le dinamiche interpersonali.

Un po' ovunque il dramma interiore dei personaggi sembra essere lenito dal calore della convivialità, dall'alcol e dalla musica, portando in superficie quella vaga vena comica che aleggia nel testo e che qui viene perfettamente miscelata con le note tragiche. Un vero e proprio sollievo comico è offerto da Tielieghin, il vecchio proprietario terriero caduto in miseria che strimpella la chitarra e sorseggia la vodka con Vanja, che, a sua volta, trova spesso rifugio nella bottiglia. Il desidero di lasciarsi andare ai piaceri della vita è tanto intenso da risultate struggente, soprattutto nel Vanja sanguigno di Kurishev. La sua intemperanza, i suoi improvvisi scatti d'ira che sfociano nel suo tentativo finale di uccidere Serebrjakov contrastano con la impotenza fisica e morale del suo antagonista immaginario. Il professore in pensione (interpretato dall'emaciato ed intenso Igor Ivanov) appare infatti come un vinto tra i vinti, un uomo piegato dalla vecchiaia e dalle delusioni, e la sua proposta di vendere la tenuta risulta tanto ipotetica e inoffensiva, da far sembrare sproporzionata la reazione di Vanja. Qui più che in altri allestimenti, appare evidente il desiderio del protagonista di inventarsi un ruolo tragico che lo riscatti, prima di accettare l'ancora più tragico ritorno alla noiosissima normalità.

Nessuna manipolazione, dunque, del testo ma un suo completo recupero attraverso uno spettacolo che può deludere alcuni per il suo impianto solo apparentemente tradizionale, ma che non può che entusiasmare tutti per l'altissimo livello della recitazione. I lunghi e calorosissimi applausi del pubblico milanese sono un segno di sincera gratitudine e di speranza che il Malij Teatr ritorni a farci visita in Italia.


Scheda tecnica

Zio Vanja di Anton Cechov.  Scene : David Borovskij.  Con Igor Ivanov, Ksenia Rappaport, Elena Kalinina, Tatiana Schuko, Sergeij Kurishev, Piotr Semak, Aleksander Zavialov, Vera Bycova, Aleksander Koshkarev.  Regia di Lev Dodin.  Produzione Malij Drama Teatr di San Pietroburgo.

Visto al Piccolo Teatro Grassi di Milano il 28 ottobre 2011.

 


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