Statistiche dal 2010

Visite agli articoli
4393022

Abbiamo 238 visitatori online

Cerca nel sito

Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

non ha scopo di lucro, non propone alcuna pubblicità e ha come unico interesse la diffusione della cultura.
Pertanto, le immagini pubblicate si attengono all'a
rticolo 70, comma 1bis della legge sul diritto d’autore, dove si afferma che è possibile la "libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro".


Iscriviti al nostro
canale WhatsApp
sul cellulare

 - Nuova informativa sui cookie -

 


Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Dies irae : l’apocalisse del Teatro Sotterraneo

Le creazioni collettive di Teatro Sotterraneo hanno il pregio di rendere accessibili tematiche complesse sull’essenza e sul farsi stesso dell’arte teatrale attraverso azioni sceniche giocose e scanzonate. I loro spettacoli sono assolutamente post-moderni e post-drammatici perché rinunciano al testo tradizionalmente inteso e con esso a quello di personaggio, e perché basano la performance sulla serialità degli eventi e sull’assemblaggio dei linguaggi artistici. Cinema, radio, televisione, fumetti, cartoon, body art si intrecciano e si accavallano sulla loro scenario pop che riesce a far meno di tutti gli elementi costitutivi del teatro fuorché del pubblico.

In Dies Irae – 5 episodi intorno alla fine della specie presentato al Teatro India nell’ambito di Short Theatre, il pubblico diviene centro tematico assoluto perché lo scenario apocalittico dello spettacolo ruota tutto intorno ai modi della percezione della realtà e dell’esperienza teatrale, suscitando inevitabili interrogativi sul concetto stesso di rappresentazione. Più organico dei precedenti, lo spettacolo si struttura sull’accumulo di cinque movimenti scenici intorno al tema della distruzione della specie e della arte, con larghe riflessioni sulla perdita dell’esperienza provocata dall’abuso mediatico, sull’ azzeramento del passato e l’impossibilità di lasciare tracce a chi sopravvivrà alla catastrofe.

Il tutto comincia con una sorta di prologo in cui un giovane attore in jeans e maglietta esorta gli spettatori a suggerirgli cosa fare nel prossimo minuto di rappresentazione per riempire il vuoto assoluto della scena. Un nulla scenico presentato con il sorriso sulle labbra e che al termine dei sessanta minuti esatti della rappresentazione, scanditi da un enorme timer digitale, si dissolverà nell’immagine di due performer camuffati da anziani che osservano nel buio il countdown verso la fine del Tempo.

Il primo movimento è una action painting dal vivo : i performer bardati con tute bianche anticontaminazione e armati di erogatori, imbrattano il fondale bianco di vernice rosso sangue mentre fingono spudoratamente di infliggersi le più atroci violenze. Sgozzamenti e amputazioni al rallenty, colpi di karate alla Matrix, onomatopee da fumetto e grida disumane provocano il riso anche perché la mattanza è troppo fitta di rimandi e citazioni per impressionare davvero. La crudeltà è comunque spaventosa e fa riflettere sull’indifferenza che ormai si prova davanti ai massacri veri trasmessi in diretta. Quando l’opera è compiuta gli attanti firmano il fondale scarlatto come fosse un dipinto innescando con forza un cortocircuito tra realtà e finzione. Viene subito da chiedersi se l’episodio sia una denuncia alla connivenza di certa arte contemporanea con la violenza oppure se aderisca all’utilizzo degli stessi moduli espressivi. Ma il confine tra critica e fascinazione rimane labile anche nel resto dello spettacolo dove il bersaglio si sposta sui media.

Il secondo episodio è la parodia di una trasmissione radiofonica dove due performer trasmettono il programma What if in cui chiedono agli ascoltatori/ spettatori di inviare un messaggino in cui ipotizzino quale piega avrebbe preso la Storia se certi fatti si fossero o non si fossero verificati. Cosa sarebbe accaduto se Hitler fosse stato ucciso in culla ? è l’interrogativo più scottante : un attore risponde che il mondo non avrebbe potuto beneficiare del piacere di leggere la letteratura della Shoah, altri due si presentano con una carrozzina in scena e tra un urlo e l’altro del neonato, chiedono al pubblico di alzare la mano su chi è d’accordo sul far fuori la creatura.

A mano a mano che si procede, l’oggetto della rappresentazione diviene sempre più astratto e lo spettacolo si connota sempre più esplicitamente come auto- rappresentazione. Il terzo episodio impegna i performer in un andirivieni frenetico sulla scena per fotografarsi a vicenda. Gli obiettivi fissano e immortalano parti anatomiche, gesti e sensazioni per lasciare una qualche testimonianza sul genere umano ai futuri abitatori del pianeta Terra. Al di là dei riferimenti al tema apocalittico, la scena è quella di maggior impatto perché fotografa con algido distacco la nostra tendenza a catalogare la realtà attraverso filtri che da essa ci separano e soprattutto perché allude alla difficoltà di afferrare e raccontare l’umano nella tua totalità. La rappresentazione oggi non può che essere frammentaria, come lo è la percezione stessa dei fatti : per dimostrarlo un attore interroga un paio di spettatori su ciò che hanno appena veduto. Il tutto, ovviamente, con l’ironia tipica della giovane compagnia che sa ammantare di leggerezza l’argomento più ostico. Non sono mai pedanti, anche quando, nel quarto episodio, mettono su uno show televisivo in cui si vendono all’asta le sette meraviglie del mondo. Un’asta al ribasso in cui le ceneri del Colosseo o del Taj-Mahal vengono offerte per pochi euro e poi sparse per terra perché rimaste invendute.

Le riflessioni sull’arte non sono certo nuove, ma sono dette con intelligenza e con un linguaggio scenico e drammaturgico spiazzante. Ci sono tuttavia momenti di noia durante lo spettacolo (sostenuta anche dalla ripetizione ossessiva di Alleluja di Leonard Cohen nelle sue varie versioni), momenti di stasi che provocano anche una leggera irritazione. Perché nonostante le buone intenzioni, Teatro Sotterraneo racconta troppo se stesso, dimenticando che la comunicazione teatrale è cosa molto più complessa della condivisione di idee.


Scheda tecnica

Dittico sulla specie (parte 1);Dies Irae_5 episodi intorno alla fine della specie

Creazione collettiva di Teatro Sotterraneo. Scrittura : Daniele Villa.  Luci : Roberto Cafaggini.  Costumi: Lydia Sonderegger.  Graphic design : Claudio Paganini. 
In scena : Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ciccarelli, Claudio Cirri.

Prima assoluta : Via Scena Contemporanea Festival, Modena 2009.
Visto al Teatro India di Roma l’8 settembre 2011, nell’ambito di Short Theatre.

abbiamo aggiornato l'informativa sui cookie