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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

La Tempesta del disincanto di Declan Donnellan

Non c’è la magia del teatro barocco né quella delle arti occulte delle quali Prospero è maestro nella versione della Tempesta di William Shakespeare che il grande regista irlandese Declan Donnellan ha allestito con la straordinaria compagnia di attori russi con la quale lavora ormai da anni. Presentata in prima nazionale al Napoli Teatro Festival, questa quarta produzione del gruppo (preceduta nel tempo da Boris Godunov di Puskin, La dodicesima notte di Shakespeare e Tre sorelle di Chechov), offre una lettura insolita del capolavoro scespiriano senza modificare più di tanto la partitura testuale. Più che altro Donnellan dà priorità ad alcuni motivi del dramma attraverso un attento scavo nei possibili significati dei versi. Di fatto i tagli interni e la traduzione in russo prosciugano il testo riducendolo ai suoi tratti essenziali e delegano la resa della musicalità del verso inglese alla perfomance.

La scena disadorna di Nick Ormerod è delimitata sul fondo da una parete azzurrognola ricurva dove si aprono tre porte per rivelare squarci fulminei di azione che vanno dalla lotta frenetica dei marinai contro la furia del mare, alla suggestiva immagine del corpo riverso sott’acqua del principe Ferdinand, sino a quella del banchetto illusorio imbandito da Ariel per torturare l’appetito dei naufraghi. La tempesta ordita da Prospero per vendicarsi dei torti subiti appare subito come artificio meta-teatrale perché, ancor prima che lo spettacolo abbia inizio, egli si aggira in maniche di camicia sul palcoscenico nudo per controllare che i pochi oggetti di scena di cui dispone (per lo più secchi e funi) siano tutti al loro posto. E’ un Prospero umanissimo e sciatto quello del grande Igor Yasulovich che si siede su uno sgabello al centro della scena, rivolto verso il pubblico, per osservare il naufragio da lui stesso inscenato. Un naufragio tutto da immaginare perché, a parte la proiezione delle onde sul diorama e l’andirivieni intermittente dei marinai, c’è solo il rombo del mare e il rantolio dei tuoni ad evocare l lotta impari dell’uomo contro gli elementi. Il suo volto solcato da rughe racconta il suo dolore e la sua profonda amarezza, mentre la sua solitudine al cospetto della sua stessa opera d’arte ridimensiona il suo potere. Si inferisce da ogni gesto degli attori che il fulcro tematico della versione sia proprio quello dell’illusione del potere, e non soltanto del potere politico ma anche di quello di tenere sotto controllo la realtà.

Se il Prospero scespiriano è l’ultimo grande principe del rinascimento che, rinunciando alla sua arte, abbandona l’illusione di assoggettare la natura al suo volere, quello assolutamente moderno di Donnellan è un despota malfermo che incarna la finitezza e la fragilità dell’uomo prima ancora di parlare. Grazie all’aiuto di Ariel e del suo seguito di musicisti balcanici, Prospero tiene le fila dell’azione, ma il suo intreccio comincia a sfuggirgli di mano già alla prima comparsa della figlia Miranda (Anya Kalilulina) che qui appare come una creatura ferina e ribelle. La fanciulla ha ben poco della principessa romantica e ingenua a cui siamo adusi. Con indosso pantaloni e camicia sdruciti, Miranda cammina a quattro zampe e morde il braccio del padre per indurlo a calmare le acque e, soprattutto, non è tanto incline all’ascolto della storia che l’ha condotta sull’isola deserta. Il lungo monologo in cui Prospero racconta di come venne spodestato dal ducato di Milano dal fratello Antonio con l’aiuto del re di Napoli e lasciato andare alla deriva in mare, viene ridotto e teatralizzato con audace colpo di mano registico: mentre rievoca il suo passato, Prospero presenta in scena gli usurpatori acconciati come mafiosi post-sovietici e li costringe a recitare per una seconda volta la scena in cui lo tradirono e lo costrinsero ad abdicare. L’eliminazione di quegli elementi narrativi che fanno della Tempesta un dramma romanzesco, serve a dar forma concreta al sopruso che ancora grava pesantemente sull’animo di Prospero.
La sospensione visionaria data dalla intensa carica evocativa del racconto viene così recisa bruscamente per pilotare l’attenzione sulle atroci dinamiche del potere che hanno portato l’ex duca ad un inasprimento del carattere e forse anche ad una qualche forma di sociopatia. Donnellan porta in superficie alcuni aspetti della personalità si Prospero che rimangono spesso sommersi nel magma polisemico del testo, quali, ad esempio, la sua tendenza ad isolarsi o le sue scarse capacità empatiche, la sua propensione all’autoritarismo e all’ossessione compulsiva. Non è più lo studioso immerso nei libri di scienze e di alchimia di Prospero’s books di Greeneway, ma semplicemente un uomo iracondo e fortemente turbato dalla sua incapacità di venire a patti con i suoi limiti. Prospero ama Ariel e il mostro Caliban ma non riesce ad esternare i suoi sentimenti e si arrocca su atteggiamenti molto più autoritari nei loro confronti di quanto il testo non preveda.
Di tanto in tanto dimostra di essere un padre affettuoso ma il più delle volte usa le maniere forti con l’indomita Miranda per affermare il suo dominio su di lei e anche per paura di perderla. Prospero ha in mente un matrimonio dinastico tra Miranda e l’erede al regno di Napoli Ferdinand, ma allo stesso tempo è geloso del loro amore che lo condannerà alla più completa solitudine. Per questo tratta il principe alla stregua di uno schiavo e si spinge persino a schiaffeggiarlo in scena. Tutte queste sfaccettature del personaggio, che si trovano annidate tra le maglie del testo, vengono rivelate magistralmente dall’interpretazione di Yasulovich che sembra perdere se stesso nella complessità del personaggio.

Non mancano ironia e persino qualche tocco di assurdo beckettiano nella rappresentazione della dinamica dei rapporti tra gli abitanti dell’isola e non soltanto nel subplot comico che vede Stephano e Trinculo, i marinai avvinazzati, alle prese con la rivolta di Caliban. Crescere una ragazza impulsiva e per certi versi selvaggia come Miranda non è impresa da poco e per raffreddare l’attrazione fisica che la spinge tra le braccia di Ferdinand, il mago moderno è costretto a lanciare secchiate d’acqua sui loro corpi. Le immagini equoree che pervadono il testo nella doppia valenza simbolica di metamorfosi e rinascita, si traducono scenicamente in abluzioni rituali (prima fra tutte quella in cui Ferdinand viene mondato del fango prima di affrontare il matrimonio) oppure in veri e propri gavettoni da slapstick comedy lanciati da Ariel o da Prospero sui malcapitati di turno.

Eppure il dramma sembra essere sempre sul punto di degenerare in tragedia. Come da copione, se non fosse per l’intervento drammaturgico di Prospero e del suo aiuto- regista Ariel che dall’alto della scena osservano e pilotano il comportamento dei superstiti, l’isola diverrebbe palcoscenico di efferati delitti. Questo lo prescrive il testo, ma la violenza fisica degli attori amplifica la percezione di pericolo imminente che accompagna lo spettatore nel corso della rappresentazione. La brama di potere di Antonio e di Sebastian viene manifestata dai loro gesti prima ancora che essi escogitino e nominino il piano di uccidere il Re di Napoli e il complotto ai suoi danni è preannunciato dagli sguardi di intesa che si lanciano. Meno drammatico risulta il tradimento di Caliban che cerca di attentare alla vita di Prospero con l’aiuto dei marinai. L’allentamento della tensione è dovuto anche alla comicissima contestualizzazione della scena nella Russia post sovietica. Trinculo, Stephano e Caliban vengono attirati da Ariel in un department store dove provano costosi abiti alla moda e subiscono il fascino della carta di credito.
Lo sconcerto del primitivo di fronte alle tentazioni del villaggio globale suscita ilarità e rischia di ridurre la portata universale della spietata rappresentazione del potere operata da Shakespeare. Alla satira del capitalismo fa da contraltare quella del comunismo con il Masque nuziale dove, al posto delle divinità allegoriche, compaiono contadini e contadine carichi di fascine che danzano con la falce in mano, mentre sullo sfondo vengono proiettate immagini di propaganda sovietica. I riferimenti alla storia recente della Russia sono parentesi umoristiche che tuttavia non si amalgamano con il resto della pièce che altrove tratta il meccanismo del potere con toni decisamente più drammatici. Caliban viene rappresentato come vittima assoluta della civiltà occidentale perdendo quella oscura ambiguità che lo caratterizza nel testo di partenza. E’ vero che odia e che vorrebbe uccidere il suo padrone, ma la regia mette più in risalto la sua disarmante ingenuità. La brutalità del colonizzatore Prospero che sfrutta l’indigeno dopo avergli usurpato il regno, appare qui ancor più folle e ingiustificata perché il “mostro” si comporta in modo molto più civile dei bianchi. Si prende cura di Miranda con benevolenza e servilismo e non cerca di attentare alla sua verginità nonostante lei non esiti a togliersi la camicetta in sua presenza. Ad un certo punto i cortigiani lo pendono a calci con una violenza che avrebbe potuto ucciderlo se Prospero non fosse intervenuto in tempo. Ferdinand è sicuramente più incline alla violenza e persino allo stupro dell’indigeno che non sa darsi pace quando la sua compagna di giochi Mirando abbandona l’isola per salpare con gli altri alla volta di Napoli.

Il finale si concentra sulla riconciliazione e sulla necessità del perdono come possibile cura dei tormenti di Prospero. Donnellan attribuisce una qualità rituale alle scene che precedono l’intensissimo abbraccio finale di Prospero e di Antonio. I cortigiani vengono giudicati colpevoli dei loro crimini in una sorta di processo presieduto da Ariel che si conclude con la restituzione dell’anello del potere a Prospero. Va detto tuttavia che poco prima Prospero aveva preso il fratello per il collo e gli aveva piantato un rasoio alla gola, lasciando intendere che il suo perdono sia più che altro frutto di un ripensamento.

Lo spettacolo, al di là dell’inconsueto taglio interpretativo, incanta per la sua assoluta perfezione formale. Il ritmo dell’azione è fluido nonostante alterni momenti di assoluto lirismo ad improvvise esplosioni di violenza. La rappresentazione si sostanzia della fisicità degli attori che, pur calandosi completamente nei rispettivi personaggi, non perdono mai di vista la dinamica dell’insieme. Sono coesi e sembrano muoversi come un unico corpo scenico. Anche per questo le singole scene si susseguono l’una all’altra senza soluzione di continuità (lo spettacolo, tra l’altro, dura due ore senza intervallo). Chi ricorda La Tempesta di Strehler, caratterizzata da una straordinaria sospensione visionaria, può rimanere spiazzato dalla concretezza di questa versione che più che sulla magia del teatro, riflette sui pericoli stessi dell’illusione. Ma l’esperienza teatrale rimane comunque intensa e memorabile.



Scheda tecnica

The Tempest di William Shakespeare. Scene: Nick Ormerod. Disegno luci: Kristina Hjelm. Musica: Dmitry Volcov. Arrangiamenti musicali: Roman Nasib. Coreografia: Kostantin Mishin.

Con: Igor Yasulovich, Anna Khalilulina, Andrey Kuzichev, Alexander Fecklistov, Mikhail Zhigalov, Povel Kuzmin, Evgeny Samarin, Ian Ilves, Alexander Lenkov, Sergey Zoytsev, Vadim Norshteyn, Ilga Iliin, Sergey Koleshnya, Gela Meskhi, Maxim Onishchetnko.

Regia di Declan Donnellan.

Produzione Moscow’s Chekhov International Festival, Les Gémeaux- Scène National de Sceaux in collaborazione con Cheek by Jowl.

Prima nazionale: 30 giugno 2001 al Teatro Mercadante di Napoli, nell’ambito del Napoli Teatro Festival.

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