Something rich and strange. I tesori di Hirst a Venezia

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Se si cerca qualcosa di fuori dal normale, di spettacolare, di enorme e anche di divertente e suggestivo per trascorrere una giornata o un weekend diversi dal solito, un viaggio a Venezia (entro i primi di dicembre del 2017) con la visita alle ultime invenzioni di Damien Hirst è una soluzione perfetta e indimenticabile. Personalmente non avevo mai visto, da quando mi interesso di arte, qualcosa di simile; neppure lontanamente Ai Wei Wei e Kapoor a Berlino, i musei di Picasso e Rodin a Parigi, la retrospettiva di Koons a New York, per non dire di tante sale tematiche dentro a molti differenti musei di arte antica, possono rivaleggiare con i Treasures from the Wreck of the Unbelievable. Raccolti nei due grandi complessi espositivi di Venezia posseduti da François Pinault, Palazzo Grassi e Punta della Dogana, i tesori di Hirst non sono descrivibili se non con aggettivi comunque inadeguati, piacciano o non piacciano le sue scelte.

Fig. 1

Fig. 2

Molti commentatori si sono già lanciati nelle ipotesi economiche di rilancio della produzione di Hirst, gli hanno fatto i conti in tasca e si sono dimenticati della mostra in sé; molti di loro hanno anche fatto riferimento al cinema, perché quella che vediamo è effettivamente una storia i cui costi di produzione si avvicinano a quanto James Cameron o Ridley Scott impegnano nei loro film, qualcosa che sta nell’ordine delle decine di milioni di sterline, forse in totale più di cento milioni di euro.

Ma se dimensioni e spese sono cinematografiche, la mostra non lo è nonostante tutto, e i suoi riferimenti sono anche e soprattutto altri, a mio parere, cioè Disneyland, il museo archeologico universale, la Fortezza della Solitudine di Superman, e cose del genere; Hirst ha costruito un finto museo del mondo a Venezia, un museo che verrà smantellato a dicembre e i cui pezzi saranno dispersi tra acquirenti privati e collezioni sparsi dappertutto.

In questa essenza massiccia e allo stesso tempo effimera, Hirst si avvicina al suo modello estetico, il barocco, e alla sua base concettuale, il surrealismo. Non diversamente da noi spettatori di oggi dovettero sentirsi i cittadini di Roma quando Bernini svelava la Cattedra e il Baldacchino e le tombe dei papi nella basilica di San Pietro; avranno pensato che era pazzo, ma anche geniale, e Damien Hirst risponde in pieno a entrambe le definizioni.

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Da quando, in modo spesso scorretto, si parla di “narrazioni” per intendere qualunque tipo di operazione culturale, di vere, grandi, originali narrazioni in arte, in letteratura, in musica, se ne sono viste molto poche. Anche per questo motivo, credo che abbia ragione Francesco Bonami che, in tempi recentissimi, ha espresso la convinzione che il grande ciclo dell’arte contemporanea, fatta di trovate, di sorprese e di incredibili invenzioni inutili, sia completo o stia per completarsi. La mostra di Hirst allora conclude probabilmente i cento anni circoscritti da Bonami - dall’orinatoio di Duchamp al WC d’oro di Cattelan - e soprattutto chiude in modo trionfale la tendenza manierista del post-modern, di cui troppo spesso negli ultimi dieci anni è stata dichiarata la morte presunta. Si chiude perché, molto semplicemente, è del tutto improbabile che si possa ancora dire qualcosa di nuovo dentro o intorno alla postmodernità dopo le invenzioni veneziane di Hirst; e bisogna vederle per crederci.

Fig. 3

Fig. 4

Il punto di partenza è il ritrovamento di una nave antica carica di tesori d’arte collezionati da un miliardario vissuto tra I e II secolo d.C., nella cui figura si riconosce un alter-ego di Hirst stesso, ipotesi confermata dai due ritratti esposti del Collector, un busto a Palazzo Grassi abbastanza normale, l’altro a Punta della Dogana in piedi e in compagnia di Mickey Mouse (Figure 4 e 14) . La storia che spiega uno per uno le centinaia di oggetti esposti è consegnata ai visitatori in un puntuale fascicolo che, sala per sala, ci dice cosa stiamo vedendo e dove si trovava. La meticolosità delle piantine di riferimento per ogni sala (vedi Fig. 16) e la stessa presenza di una guida tascabile confermano la vis catalogatoria di Hirst, già manifesta in gran parte della sua produzione precedente. L’artista inglese, oggi 52enne, è noto per le sue ossessioni e manie, tra cui il collezionismo, mentre qui conferma anche la passione per i reperti antichi, sicuramente eccitata nel 2000 dal celebre ritrovamento da parte di Frank Goddio (che è stato coinvolto da Hirst nella mostra) della città perduta di Thonis-Heracleion, oggi sepolta nel mare.

Gli oggetti ritrovati da Hirst vanno dalle monetine d’oro all’umanoide colossale in resina di 18 metri d’altezza che campeggia nel cortile coperto di Palazzo Grassi (Fig. 1). Come in un museo, appunto, ci sono statue, reperti, frammenti, e ricostruzioni; e con la medesima lingua usata nelle spiegazioni didattiche, il fascicolo-guida segnala epoche storiche e ci propone ipotesi. Ammiriamo colossali figure che raramente hanno complete fattezze umane: o i crani sono deformi, o le mani animalesche, o le proporzioni scorrette. Abbondano gli animali, tra cui l’orso Baloo, Mickey Mouse e Goofy, ovvero Topolino e Pippo (Fig. 2). Ci sono sfingi, bacchi, minotauri, scimmie, cadaveri, sirene, dèi di qualunque mitologia antica. In bellissime fotografie applicate su lightbox sono documentati i (fantomatici) ritrovamenti subacquei e il ripescaggio dei tesori (Fig. 8), mentre in alcune sale – proprio come nei musei – sono allestite grandi vetrine per gli oggetti minori, che sono varie centinaia, ma che possiedono ciascuno un’identità, come i gioielli, le armi, gli elmi, i frammenti di minerale e di pietre preziose (Figg. 5, 11 e 13).

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 7

Fig. 8

Fig. 9

I materiali usati da Hirst e collaboratori (almeno cento artigiani) sono infiniti, dal marmo di Carrara al marmo rosa e al granito nero, ai bronzi anche colorati, da decine di minerali diversi tra cui cristalli, agate e vetri, all’oro, all’argento e ai metalli più vari, e a composti moderni di resine e alluminio. Varie opere appaiono in versioni multiple, come originali ricoperte dalla vegetazione marina, e come riproduzioni ripulite e ricostruite. Le incrostazioni sono protagoniste, con coralli, spore calcificate e conchiglie in primo piano.

Molte cose sono orribili, di un gusto kitsch che rasenta la perversione, mentre altre sono perfette, classiche, levigate; le vie di mezzo tra orrore e bellezza sono ugualmente molte. Rintracciamo ovunque forme e stili egiziani, greci, romani, aztechi, indiani, dai bronzi di Riace (citazione obbligata vista la natura del falso ritrovamento) a Michelangelo, da Bernini a Max Ernst, da Dalì all’amico Jeff Koons, da Walt Disney a mille anonimi autori antichi.

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Le immagini fotografiche possono dare un’idea pallida dei Tesori del Relitto dell’Incredibile, ma vale la pena di soffermarsi ancora sul senso dell’operazione che Hirst in collaborazione con il miliardario francese e la curatrice Elena Geuna ha saputo portare a termine. Ce lo aveva insegnato Borges a scrivere recensioni di libri non scritti o biografie di autori mai esistiti, creando universi paralleli dove le apparenze sono quelle del sogno o del sogno di un sogno. La fantascienza ha giocato mille volte con temi come questi e in tempi recenti, ad esempio, un autore geniale come J. J. Abrahms ne ha ricavato storie complicatissime e infinite nelle serie televisive Alias, Lost e Fringe, che potrei scommettere siano ben note a Hirst. Il gigantesco piede con un ratto orecchiuto che Hirst colloca in una sala di Punta della Dogana potrebbe echeggiare tanto il piede della gigantesca statua romana di Costantino, quanto il piede che nell’isola di Lost rimanda a un misterioso colosso distrutto dal mare in tempesta.

Fig. 10  Fig. 11

Fig. 12  Fig. 13

Fig. 14  Fig. 15

I richiami al cinema sono in realtà molti, ma come dicevo all’inizio la struttura che lega questi oggetti non è una narrazione, ma un puzzle senza soluzione. Ricorda le esilaranti trovate di Umberto Eco, quando simulava l’osservazione antropologica alla Lévi-Strauss non dei selvaggi ma di noi occidentali, o quando in un ipotetico lontano futuro post-atomico Eco ricostruiva la nostra cultura perduta tramite i testi delle canzonette di Sanremo. Il mondo che Hirst immagina dentro la nave affondata, esposta anch’essa in uno straordinario modello ricostruttivo (Fig. 6) completo degli stessi oggetti miniaturizzati, è un mondo fatto di frammenti, di cose recuperate e riprodotte, di ibridi senza senso e senza tempo, mostruosi. Con un sorriso sardonico Hirst ci ricorda che il nostro mondo è assurdo, amleticamente sgangherato, non decifrabile e non ricostruibile.

Le sue intenzioni del resto le svela all’inizio, con la citazione dalla Tempesta che apre la guida della mostra:

Full fathom five thy father lies;
Of his bones are coral made;
Those are pearls that were his eyes;
Nothing of him that doth fade,
But doth suffer a sea-change
Into something rich and strange.

A ben cinque braccia nel mare
tuo padre si giace sepolto:
coralli son l’ossa,
son gli occhi due perle nel volto.
Ma niente di lui sarà vano
che per un incanto del mare
dovrà trasformarsi in qualcosa
di ricco e di strano.

 

Scheda tecnica

Treasures from the Wreck of the Unbelievable. Damien Hirst, Palazzo Grassi e Punta della Dogana, Venezia, aperta dal 9/04 al 3/12/2017, dalle 10 alle 19.
Chiusa il martedì. Biglietto unico 18 euro, ridotto 15 euro.


Fig. 16