A Milano il Museo del Novecento

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Fig. 1

Apre il 6 dicembre a Milano il Museo del Novecento, nuovo spazio museale del Comune di Milano nato dalla trasformazione del Palazzo dell’Arengario. Sarà sede di esposizione di circa 4000 opere pittoriche e scultoree, già proprietà delle Civiche Raccolte, che fino ad oggi erano smembrate ed, in parte, conservate in depositi. Un museo simile mancava a Milano dalla chiusura, nel 1998, del Civico Museo d’Arte Contemporanea, situato al secondo piano di Palazzo Reale, una mancanza molto sentita dagli studiosi, ma anche dai cittadini e dai visitatori della città.

L’intento principale del Comitato Scientifico è stato quello di creare un percorso coerente sull’arte del Novecento a Milano. Quindi non solo, come è ovvio, artisti milanesi, ma anche e soprattutto movimenti artistici nati a Milano e collezioni milanesi, che hanno contribuito a creare un clima culturale identitario della città, certo con i suoi bassi, ma anche con picchi qualitativi clamorosi. Non a caso la prima sala che si incontra lungo il percorso è dedicata all’avanguardia internazionale, nucleo che deriva pressoché integralmente dalla collezione Jucker, acquisita nel 1992.

Il primo grande lavoro che si è dovuto affrontare è stata la sistemazione delle opere in un deposito presso Palazzo Reale, la loro catalogazione scientifica ed il restauro di quante ne necessitassero. Questo riordino ha permesso di affrontare la selezione e di stabilire le linee di massima dell’ordinamento museale, al termine del quale sono stati presi in considerazione anche alcuni depositi a lungo termine da parte di esterni, al fine di riempire alcune lacune storico-artistiche ritenute imprescindibili per le scelte espositive. Il periodo preso in considerazione va dai primi del Novecento (si parte con Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, terminato nel 1902) ai primi anni Settanta, sette decenni di un secolo già storicizzato. Alle ricerche artistiche dei quarant’anni più vicini a noi il Comune, invece, progetta di dedicare un altro museo negli spazi della ex Fiera di Milano, su progetto di Daniel Liebeskind.

Fig. 2

Questo, a grandi linee, è il progetto scientifico alla base della collezione museale. Un lavoro di scelte che, come è sottolineato nell’introduzione al catalogo, “lasciano qualche rimpianto. Avremmo voluto mettere qualche simbolista in più […], concentrare l’attenzione su qualche natura morta degli anni trenta o su qualche quadro tragicamente neocubista post 1945 […], esporre qualche milanese di area informale in più”, e via dicendo. Il dato di fatto è che non c’era spazio per mettere tutte queste opere, ma alcune di esse saranno oggetto di indagine dei vari Focus che saranno allestiti in una sala al pian terreno, ad essi appositamente dedicata (si comincerà con Ennio Morlotti).

Preme sottolineare, però, che, nel caso del Museo del Novecento, pari importanza rispetto alla collezione hanno, sicuramente, l’edificio storico e l’allestimento (è un raro caso di progetto costruito attorno ad una collezione preesistente, già ordinata e catalogata in modo scientifico). L’Arengario è, di per sé, un edificio simbolo del XX secolo: costruito negli anni Trenta su progetto degli architetti Portalupi, Muzio, Magistretti e Griffini, decorato in facciata da bassorilievi di Arturo Martini, “un palazzo mai finito, un parto interrotto dalle bombe del 1942 e da 65 anni in cerca di una identità adulta per affrontare il secolo nuovo” (Italo Rota). I lavori per la ristrutturazione e l’adattamento a sede museale sono stati affidati, in seguito a concorso, al Gruppo Rota nel 2001. Italo Rota e Fabio Fornasari sottolineano che il loro lavoro è stato, più che altro, un’installazione: “le installazioni esistono solo quando il nostro corpo è parte integrante dell’installazione stessa, esiste solo in relazione con il nostro corpo e questo è il Museo del Novecento. Non è un’architettura ma un’installazione.”

Il problema principale affrontato è stato quello di rendere gli spazi dell’Arengario, lunghi, stretti e su diversi piani, adatti all’allestimento di sale e alla creazione di un percorso logico e funzionale. Il risultato è un luogo fatto per camminare, per fermarsi e per pensare, presupposto per l’incontro conFig. 3 le opere e per lasciarsi affascinare da esse.

La prima sorpresa è la rampa elicoidale, che parte dal mezzanino della metropolitana del Duomo e sale svelta fino al primo piano, un po’ Guggenheim e un po’ futurista, ospitando nel suo percorso alcune opere che attraggano l’attenzione del visitatore: alcune sculture di De Chirico dai Bagni Misteriosi della Triennale, un pavimento romano trovato nel corso degli scavi di piazza Diaz ed Il Quarto Stato, isolato come sempre, in uno spazio scuro. Seconda sorpresa il colore del pavimento della rampa che, mi si permetta, è di un “verde Tiffany” assolutamente inaspettato. Il percorso poi continua in una serie di ambienti non molto ampi, ma ben ordinati, su più livelli, collegati da scale mobili. Al secondo piano, poi, una passerella raccorda gli spazi dell’Arengario con un’ala di Palazzo Reale, che ospita gli Archivi del Novecento e altre sale.

Fig. 4Non sto a descrivere l’organizzazione delle opere e la logica espositiva, che a me è sembrata molto limpida, ma può sembrare sterile alla lettura (meglio apprezzarla dal vivo). Poche parole solo sui punti di forza. Innanzitutto, come ha detto Vincente Todoli - ex direttore della Tate Modern e parte del Comitato Scientifico del Museo del Novecento - si tratta di un museo con personalità. E la personalità è data, a mio parere, dalla sua interazione con la città. Da un lato, ogni parte del percorso è “invasa” dal panorama cittadino: piazza del Duomo, la Galleria Vittorio Emanuele, Palazzo Reale, Santa Maria presso San Satiro e piazza Armando Diaz sono solo alcuni degli scorci che si possono apprezzare camminando lungo i corridoi o dalle finestre delle sale (chissà cosa ne pensano i turisti, ma i milanesi certo si sentono orgogliosamente a casa). Dall’altro lato, ci sono alcune opere di cui si può godere anche dall’esterno: Il Quarto Stato è visibile dalla cima dello scalone monumentale e l’installazione di Lucio Fontana Struttura al neon per la IX Triennale di Milano (1951), situata al piano più alto in una sala dedicata monograficamente all’artista, si apprezza da piazza Duomo grazie ad una parete vetrata. La trasparenza come cifra architettonica è un aspetto davvero apprezzabile, che sottolinea positivamente la fusione tra la città ed il museo.

Altro aspetto apprezzabilissimo è l’idea sviluppata dagli architetti di un percorso attraverso le opere, che consenta sia la riflessione “della passeggiata” che la sosta in alcuni punti strategici, con pause fisiche e mentali che permettano di metabolizzare il pensiero. Insomma un luogo adatto per lasciarsi ammaliare, “un luogo dove si fanno incontri stupefacenti […], luogo di grandi piaceri, diversi, di perversioni da collezionisti. Il museo casa d’appuntamenti […], casa di cura. Cura di che cosa? Degli OCCHI.” (cit. Italo Rota)

E con un direttore donna (Marina Pugliese), … che non fa mai male.

 

Didascalie delle immagini
Fig. 1, Raccordo tra Arengario e Palazzo Reale
Fig. 2, Rampa elicoidale
Fig. 3, Sala dell’Informale Segnico e Gestuale (opere di Gastone Novelli e Francesco Somaini)
Fig. 4, Rosa nera, di Jannis Kounellis, smalto su tela, 1966 (immagine utilizzata per la copertina del catalogo)

Scheda tecnica
Museo del Novecento,
Palazzo dell’Arengario, Piazza Duomo (ingresso via Marconi 1), Milano. Aperto martedì, mercoledì, venerdì, domenica 9.30-19.30, giovedì, sabato 9.30-22.30, lunedì 14.30-19.30.
Dal 7 dicembre 2010 al 28 febbraio 2011 l’ingresso è gratuito. Da marzo 2011: intero 5 euro, ridotto 3 euro (studenti, over 65, dipendenti comunali), gratuito fino a 18 anni e ogni venerd’ dalle 16.00 alle 19.30.
Info:
www.museodelnovecento.org
Catalogo: a cura di Flavio Fergonzi, Antonello Negri e Marina Pugliese, Museo del Novecento. La collezione, Electa, Milano 2010. 40 euro, 376 pagine.