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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

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Storie di un fotografo

Fig. 1

Si è aperta a Palazzo Reale a Milano, dopo la tappa veneziana alla Casa dei tre Oci, la più importante retrospettiva su Gianni Berengo Gardin, un autore che non vuole passare per un artista, considerando l’impegno del fotografo soprattuto sociale e civile

Il percorso espositivo, completamente in bianco e nero, perché Berengo Gardin è “nato e cresciuto in bianco e nero” ma soprattutto perché i colori “distraggono” e “fanno perdere l’orientamento” a chi guarda, si snoda attraverso varie sezioni che scorrono sovrapponendosi quasi in dissolvenza e permettono di abbracciare la produzione fotografica di un autore tra i più importanti della storia fotografica nostrana.

Fig. 2

La mostra si apre su Gente di Milano, una sezione che amplia e diversifica il percorso espositivo dalla sua prima tappa lagunare. Scorrono case di ringhiera (fig. 1) accanto a ritratti di gente operosa, tra ingranaggi industriali e rotaie di treni e tram, che mostrano il volto cangiante e metamorfico della città, sospesa tra un’anima antica e popolare e l’identità di capitale economica. Una città che non è solo centro industriale e produttivo ma anche polo culturale e artistico come testimoniano i volti dei protagonisti della cultura meneghina: tra gli altri Dario Fo, Ugo Mulas, Gio Ponti e Giovanni Basilico immortalati dal fotografo con le numerose macchine fotografiche usate nel corso della sua carriera, esposte in mostra quasi cimeli “archeologici” nell’era del digitale.Fig. 3

Da Milano si passa a Venezia, la città della formazione fotografica di Berengo Gardin. Di origini liguri, vi si era trasferito ancora ragazzo ed era entrato in contatto con “La Gondola” uno dei più importanti circoli fotoamatoriali del secondo Dopoguerra, fondato da Bolognini, Monti e Scattola, dal quale tuttavia si sarebbe distaccato fondando nel 1958 “Il Ponte”. I circoli amatoriali nell’Italia del dopoguerra, rimasta estranea durante il ventennio del regime alle novità e tendenze fotografiche internazionali e di avanguardia, avrebbero rivestito un ruolo fondamentale nel traghettare la nostra fotografia sulla scena internazionale più aggiornata facendola emergere dallo stallo provinciale in cui era stata immersa e diventando ricettacolo delle più importanti personalità fotografiche del nostro paese.

Gli scatti della Serenissima, confluiti nel volume Venise des Saisons del 1965, costituiscono una testimonianza vivida e sincera della città italiana più fotografata e spesso vittima di stereotipi e banalizzazioni. Berengo Gardin ne coglie invece gli aspetti più umani, lontani dal trambusto disumano e assordante; colpiscono il silenzio dei suoi scorci e le poche comparse umane che attraversano piazze immense e incredibilmente vuote (fig. 2), quasi irreali e favolistiche o le scene sulle spiagge del Lido, un omaggio alla giovane e spensierata libertà finalmente riconquistata (fig. 3).

Fig. 4

Meravigliosa anche la serie al Caffè Florian dove gli ospiti sono spesso colti nell'isolamento e nella solitudine malinconica che sembra scontrarsi con il luccicante splendore degli interni lussuosi del bar di Piazza San Marco. Fotografie che a quasi cinquant'anni di distanza tra loro sembrano ritrovare nelle diverse culture di passaggio la stessa umanità (fig. 4). Un debito di stile certamente a Brassaï conosciuto per i suoi ritratti quasi grotteschi nei café parigini.

Fig. 5E la fotografia francese affascina Berengo Gardin, colpito da quel realismo umano e ricettivo nei confronti di quella fotografia umanista che lo porta, sulle orme di Doisneau a scovare le coppie di innamorati rubandone e catturando il semplice gesto di un bacio, così eternizzato in immagine iconica e senza tempo, a Parigi, davanti a un tram in movimento o sotto i portici di Piazza San Marco a Venezia (figg. 5-6).Fig. 6

 

La sua curiosità arriva a valicare anche i limiti più privati dell'uomo, intrufolandosi con l’obiettivo fin dentro le abitazioni private, durante la collaborazione con Luciano D’Alessandro per il volume Dentro le case pubblicato nel 1977, evidenziando un’abilità straordinaria nel rendere significativo e pregnante un tema apparentemente semplice e familiare e dando testimonianza dei diversi modelli abitativi del nostro paese.

Berengo Gardin è stato però anche in grado di trasformare la macchina fotografica in un potente mezzo di testimonianza e verità, dimostrando un costante impegno sociale e civile, e servendosi dell’obbiettivo per informare e documentare in maniera anche cruda e autentica alcune delle più gravi lacerazioni sociali del paese. In Morire di classe, attraverso le fotografie scattate all’interno di manicomi di varie parti d’Italia, su commissione del professore Franco Basaglia, avrebbe fatto comprendere in maniera immediata come lo stato di degrado e abbrutimento, ai più sconosciuto, fosse un terribile portato dell’istituzione manicomiale che produceva soltanto l’annientamento dell’individuo in nome dell’ordine e della volontà istituzionalmente avvallata di nascondere gli “elementi di disturbo”. Immagini forti e atroci nella loro semplicità tragica, testimonianze di una società civile, che, davanti all’oggettività crudele dell’obiettivo veniva smascherata nella sua brutale inciviltà (fig. 7).Fig. 7

 

Interessanti anche le immagini dedicate alla Comunità Romanì in Italia: prima di fotografare le persone nei campi, vi avrebbe coabitato per circa un mese e mezzo in luoghi sovraffollati e privi delle condizioni igieniche basilari, in situazioni ben al di sotto della soglia di povertà superando con umiltà una diffidenza persistente, ancora attuale e carica di pregiudizi e restituendo un’immagine di miseria, ma attraversata da una grande umanità, senza alcuna retorica (fig. 8).

Fig. 8Il percorso procede tra Fede religiosità e riti con testimonianza di ritualità religiose ancora ai confini della scaramanzia e delle credenze popolari, che mostravano il volto ancora provinciale di tanta parte del nostro paese (fig. 9) e fotografie dedicate al Lavoro, nelle sue declinazioni più varie e dislocazioni geografiche più lontane, tra le risaie di Vecelli, dove nel 1998 si prosegue una tradizione secolare e gli uomini al lavoro sui lontani ponteggi di Osaka.

Fig. 9

La mostra si chiude su Berengo Gardin reporter testimonando la sua lunga e instancabile carriera editoriale, come testimone visivo per “Il Borghese” e “Il Mondo” di Pannunzio, per “Epoca” e “L’Espresso”, ma anche collaboratore per “Le Figaro” e “Time”, con alcuni tra gli scatti più noti e iconici della sua carriera (fig. 10).

La mostra rende il giusto omaggio a un fotografo di narrazione in grado di documentare la realtà in tutti i suoi cambiamenti attraverso gli anni della sua instancabile carriera, un testimone attivo che ha trasmesso un’immagine autentica dell’Italia che lui stesso andava scoprendo con la macchina fotografica sempre in spalla e che con i suoi occhi ha visto mutare e traformarsi. Un autore che attraverso l’obbiettivo ha saputo davvero raccontare tante storie permeate sempre da una grande attenzione al genere umano con un impegno più etico che estetico, considerato prioritario nella professione fotografica.

Fig. 10

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1 Milano anni settanta

Fig. 2 Venezia, Piazza San Marco, 1960

Fig. 3  Lido di Venezia, 1958 

Fig. 4 Caffè Florian, Venezia, 2012

Fig. 5 Paris, 1954

Fig. 6 Venezia, Piazza San Marco, 1959

Fig. 7 Da Morire di classe, 1968

Fig. 8 Firenze, Campo nomade, 1993

Fig. 9 Taranto, 1993

Fig. 10 Gran Bretagna, 1977

 

Scheda tecnica 

Gianni Berengo Gardin. Storie di in fotografo, Milano, Palazzo Reale, dal 14 giugno all’8 settembre 201. 

Orari:Lunedì 14.30-19.3, da Martedì a Domenica 9.30-19.3, Giovedì e Sabato 9.30-22.3. 

Biglietti:Intero € 8,0  Ridotto € 6,50  Ridotto speciale € 4,00

 

 

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