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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Stardust a Milano

Fig. 1

Nel corridoio del Museo del 900 di Milano il visitatore può compiere un percorso breve, ma comprensivo, attraverso la produzione grafica di uno degli artisti più noti e discussi del XX secolo. Le serigrafie di Andy Warhol appartenenti alla collezione Bank of America Merril Lynch sfilano come prodotti sugli scaffali di un supermercato, raccolti per nuclei tematici e accompagnati da sintetiche descrizioni aneddotiche.

Andy Warhol ha rivoluzionato attraverso la sua opera e vita alcuni capisaldi del pensiero artistico occidentale mettendo in discussione lo statuto di unicità dell’opera d’arte e creando un valore estetico e ideale dalla serializzazione iconografica, secondo strategie del marketing proprie dell’età industrializzata. La sua è stata un’arte pienamente capace di leggere il pensiero dominante della società americana contemporanea fornendo un’interpretazione figurativa della dilagante cultura del consumo di massa.

Fig. 2Ad accoglierci un celebre ritratto d fotografico di Andy Warhol realizzato dall’amico Robert Mapplethorpe (fig. 1), che restituisce l’immagine eternizzata e iconica dell’artista pallido, con i capelli bianchi, accompagnata da una delle sue celebri frasi aforistiche che hanno certamente contribuito ad alimentare il mito dell’artista: “Decisi di diventare grigio, così nessuno avrebbe più saputo la mia età, e io sarei sembrato più giovane di quanto vecchio la gente pensava che io fossi”.

Una sfida al tempo che sembra la stessa compiuta attraverso le sue opere. Sono gli anni della mitologia di Hollywood, che Warhol restituisce attraverso le icone effimere di una società materialista e orientata al consumo, dove anche la figura umana diventa immagine astratta, simbolo eternizzato ma privo di qualsiasi carattere e qualità. L’immagine crea il mito, ma allo stesso tempo sembra ridurre il soggetto a banale messaggio pubblicitario anche attraverso un uso anti-naturalistico del colore.

Fig. 3Il titolo della mostra, curata da Laura Calvi, allude alla polvere di diamante usata in alcune serigrafie da Warhol che rende brillanti e preziose le superfici delle sue opere. L’artista se ne è servito per esempio per la serie Myths, dedicata ad alcuni tra i più significativi protagonisti dell’immaginario collettivo americano. Luccicano affiancati Uncle Sam e Mickey Mouse, Superman e Dracula, Howdy Doody e la Strega (fig. 2), miti della cultura popolare trasfigurati attraverso colori psichedelici ed espressioni grottesche in coloratissime icone pop. Per alcuni ritratti della serie aveva addirittura cercato i soggetti da fotografare attraverso inserzioni su giornali, mentre in altri casi aveva scelto personaggi del mondo del cinema, come la Malvagia strega dell’Ovest nel Mago di Oz di Fleming, "interpretata” da Margaret Hamilton.

In un accostamento oppositivo interessante, il visitatore si trova poco dopo a confrontarsi con una serie di ritratti di intonazione più seria, quantomeno per la scelta dei soggetti, raccolti tra i massimi pensatori, scrittori, politici e musicisti del secolo. I Ten portraits of Jews of the Twentieth Century esposti la prima volta al Jews Museum di New York nel 1980 e basati su celebri fotografie di figure della portata di Einstein e Kafka (fig. 3), scorrono nella stessa forma semplificata e appiattita con cui l’artista aveva rappresentato le celebrities hollywoodiane, gesto che fu da alcuni giudicato sconsiderato e irrispettoso.

I suoi ritratti erano, secondo la definizione di David Bourdon “icone in attesa di futuro” e venivano realizzati con una tecnica standard. Warhol, dopo aver realizzato una sessantina di scatti con la sua polaroid Big Shot selezionava quattro fotografie. Solo uno scatto era stampato e rielaborato graficamente per essere poi ingrandito e serigrafato. In mostra compare una serie dedicata al grande pugile Muhammad Alì, che nel 1967 si era rifiutato di prestare servizio nell’esercito americano durante la guerra nel Vietnam, dichiarandosi obiettore di coscienza, una presa di posizione che gli sarebbe costata l’annulFig. 4lamento del titolo di campione del mondo e la condanna a cinque anni di carcere. La sua storia, accanto a quella di Rubin “Hurricane” Carter ingiustamente accusato di triplice omicidio ed eternizzato dalle note di Bob Dylan, emblematizzava il lato oscuro dell’America di quegli anni, il volto razzista e antidemocratico che poteva emergere solo dai canali mainstream della cultura. Warhol aveva voluto mostrare tutti gli aspetti dell’incoerente e ambigua modernità del paese, dove sotto una strato di patina luccicante risiedevano conflitti sociali profondi e irrisolti. Warhol aveva già sconvolto l’opinione pubblica con i Thirteen Most Wanted Men, che giganteggiavano fuori dal Padiglione Americano alla Fiera mondiale di New York del 1964 e avrebbe diffuso un’immagine drammaticamente inquietante con le serie dedicate alle sedie elettriche, ai suicidi e agli incidenti stradali che insanguinavano le highways americane; immagini di morte che però, attraverso fitti accostamenti in serie, sembravano perdere la loro drammaticità diventando banali e abituali, secondo un’operazione perpetuata costantemente dai media.

Interessanti anche le altre opere in mostra appartenenti alle serie Grape, Space fruit, Flowers, rivisitazione pop di una fotografia di Patricia Caudield, e Sunset (fig. 4) immagini che si richiamano al passato giocando con i generi tradizionali della storia dell’arte, attualizzando e al contempo stravolgendo nature morte e paesaggiFig. 5, qui banalizzati da un appiattimento che trasforma il soggetto in immagine in serie senza profondità.

La mostra non poteva chiudersi in altro modo che sull’elogio dell’oggetto quotidiano attraverso dieci dei trentadue “ritratti” dei barattoli di zuppa Campbell’s realizzati nel 1962 (fig. 5). L’artista americano, abile conoscitore del proprio tempo e capace di calarsi nella cultura market- e consumer-oriented propria dell’illusione miracolosa dell’American Dream, eleva l’emblema della banalità americana a opera d’arte musealizzabile, mitizzando anche i prodotti di consumo più economici e rendendo labili i confini tra arte e pubblicità.

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1 Robert Mapplethorpe, Andy Warhol, 1986

Fig. 2 Andy Warhol,The Witch, 1981

Fig. 3 Andy Warhol, Franz Kafka, 1980

Fig. 4 Andy Warhol, Sunset, 1972

Fig. 5 Andy Warhol, Campbell Soup can, 1962

 

Scheda tecnica

Andy Warhol’s Stardust, dal 5 aprile all’8 settembre 2013.

Orari: Lunedi 14.30 – 19.30, Martedì mercoledì venerdì e domenica 9.30 – 19.30, Giovedì e sabato 9.30 – 22.30. L’ultimo ingresso consentito avverrà un’ora prima della chiusura del Museo.

Ingresso gratuito ogni giorno a partire da due ore prima dalla chiusura del Museo.

Biglietti: Intero 5 euro. Ridotto 3 euro

 

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