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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Capogrossi. Una retrospettiva

 

 

Fig. 1La mostra dedicata a Giuseppe Capogrossi e curata da Luca Massimo Barbero nelle sale della Peggy Guggenheim Collection di Venezia, è una mostra che vuole lasciare il segno, tracciando, con abilità rara, la vicenda di questo artista italiano e del suo “alfabeto” dagli anni Trenta fino al boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta.

Il segno inconfondibile di Giuseppe Capogrossi, il suo simbolo archetipico si palesa attraverso un percorso che rivela al visitatore il suo processo ideativo e creativo: ne emerge un artista più complesso di quello conosciuto ai più, che riducono il suo intero concetto artistico all’elemento distintivo che lo ha reso famoso.

L’artista viene riscoperto nella sua totalità, in quel lungo processo di sintesi che permise la nascita di un linguaggio unico ed originale, un nuovo così nuovo da divenire paradossalmente e volutamente primordiale.

La scelta di iniziare la mostra con una sala dedicata alla produzione realizzata dal pittore attorno agli anni Trenta, non risulta per niente casuale ma è, altresì, una chiara presa di posizione per anticipare quello che aspetterà il visitatore: l’evoluzione di un artista che si muove nel suo tempo e nel suo spazio sperimentando e cercando una via, una traccia, un segno che lo renda parte della storia, nella nostra e di quella della generazioni future. Una ricerca, questa, che viene sottolineata anche da alcune peculiari scelte di allestimento: i primi locali, contenenti i dipinti degli anni Trenta e alcune prove sperimentali degli anni Quaranta, sono immersi nella semioscurità mentre le opere degli anni successivi, quelle in cui trionfa il segno identificativo, il linguaggio personale, sono esposte in piena luce.

Nella prima sala il visitatore si troverà ad ammirare lavori come I canottieri (1933), Temporale (1933) o L’annunciazione (1933), opera inizialmente donata dall’Italia al museo Jeu de Paume, successivamente entrata a far parte della collezione statale francese, ora conservata al Centre Pompidou e che ritorna per la prima volta in Italia dopo essere stata esposta a Parigi nel lontano 1933 (Fig. 1).

Emerge in queste opere un forte elemento arcaico, enfatizzato dalla stesura, legata alla ricerca effettuata in quegli stessi anni insieme a Corrado Cagli ed Emanuele Cavalli, del “Manifesto del primordialismo plastico”. Ne risultano dipinti atemporali, con una pittura fatta di accostamenti tonali e figure immerse quasi totalmente nella luce, che nonostante gli accennati movimenti sembrano immobili, come imprigionate in un attimo che diventa eterno.

Fig. 2La sala successiva è quella dedicata alle prove sperimentali in cui si ha l’occasione di ammirare i primi tentativi di sintesi formale. Troviamo qui opere come La serie per finestre, realizzata tra il 1948 e il 1949 e Le due chitarre del 1949, proveniente dalla Galleria di Arte Moderna di Roma ed emblema di una nuova astrazione, come testimoniano d’altronde anche le superfici realizzate durante un soggiorno viennese nel 1949, ad esempio Superficie 016.

Compaiono, poi, i simboli, i celebri “pèttini” e il visitatore riscopre la luce: lo accolgono in questo risveglio opere del calibro di Superficie 021 (1949) e Superficie 678 (Cartagine, 1950) esposte nel 1950 alla galleria del Secolo a Roma e con le quali si decretò la nascita del Capogrossi a noi più familiare, quello per noi riconoscibile, quello che diventa celebre internazionalmente. Da questo momento in poi il “pettine”, l’elemento dentato a forma di mezza luna diviene il protagonista assoluto dei suoi lavori, simbolo arcaico che si unisce e collega formando catene, che si colora, che diventa monocromo, che diventa rilievo (Fig. 2).

Si susseguono da questo momento i molteplici aspetti della sua ricerca: il segno viene visto come linguaggio frutto di una sintesi sottrattiva data dallo studio e dalla riflessione sullo spazio, spazio in sé e in rapporto all’elemento, alla cosa. Al visitatore viene data l’opportunità di assistere a tale processo creativo, alla realizzazione ed allo sviluppo del primordiale, del rapporto tra vuoto e pieno, dello studio del dato non naturale proteso verso l’astrazione con la conseguente scelta della forma ovale.

Vediamo Capogrossi nel 1951 alla mostra Véheménces Confrontée a Parigi mentre espone, unico italiano, al fianco di artisti del calibro di Mathieu, Kline, Pollock; ammiriamo i suoi lavori alla Biennale di Venezia del 1954 e quelli presentati da Leo Castelli nel 1958 nella sua galleria di New York; passiamo davanti alle Superfici degli anni Sessanta, gli anni dei grandi formati che trovano il climax massimo in Superficie 385 (1960), l’immensa opera ovale di circa tre metri, progettata per la turbonave Leonardo Da Vinci e posta come assoluta protagonista nell’ultima sala dell’esposizione (Fig. 3).

Sicuramente degni di nota sono anche i rilievi e i monocromi bianchi che occupano la penultima sala: queste interpretazioni del segno ci riportano a riflettere sul linguaggio originale di questo artista, un ulteriore conferma della ricerca operata da Capogrossi: il vuoto,il pieno, lo spazio, l’elemento.

La grande retrospettiva di Capogrossi non è solo una grande mostra, come del resto dimostrano il sostegno dato dalla Regione Veneto, il sostegno della Fondazione Araldi Guinetti, la collaborazione con l’Archivio Capogrossi a Roma, ma anche la riscoperta del talento italiano, di un artista che desiderava, attraverso i suoi lavori, riportare l’individuo a pensare, a vedere quello che solitamente non si percepisce, a notare come il concetto di spazio racchiuda non solo l’uomo, ma anche le sue azioni e i suoi pensieri.

Degno di nota anche il catalogo che accompagna questo momento artistico: non un semplice libro-riassunto, ma una nuova monografia sull’artista complessiva di ben undici saggi critici, tra cui l’approfondimento dedicato al periodo americano, nato dalla raccolta di dati provenienti da importanti sedi museali oltreoceano come, per citarne alcuni, il Museum of Modern Art di New York, il San Francisco Museum of Art e il Solomon R. Guggenheim Museum.

Fig. 3

Didascalie immagini

Fig. 1, Giuseppe Capogrossi, L’Annunciazione, 1933, olio su tela, 115x85, Centre Pompidou, Parigi. Musée National d’art moderne – Centre de création industrielle. Donazione del Conte Emanuele Sarmiento, 1933 © Centre Pompidou, MNNAM-CCI/Bertrand Prévost/ Dist. RMN-GP.

Fig. 2, Giuseppe Capogrossi, Superficie 419, 1950, olio su carta applicata su tela, 220x85 cm, Collezione privata. © Giuseppe Capogrossi by SIAE 2012.

Fig. 3, Giuseppe Capogrossi, Superficie 385, 1960, olio su tela, 120x300 cm, Collezione privata. © Giuseppe Capogrossi by SIAE 2012.

Scheda tecnica

CAPOGROSSI. Una retrospettiva, Collezione Peggy Guggenheim, Venezia, fino al 10 febbraio 2013.

Orario: 10.00-18.00. Chiuso martedì e il 25 dicembre.

Biglietti: 12 euro; seniors 10 euro, studenti 7 euro, bambini fino ai 10 anni gratis.

Catalogo: Marsilio.

 

 

 

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