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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Un surplus di precisione nell’arte leonardesca.

 

Fig. 1

Per oltre un secolo, esperti e semplici cultori si sono prodigati nel tentativo di penetrare sempre più a fondo nei complessi meccanismi che regolano l’arte di Leonardo da Vinci. Non è un caso: troppo forte il richiamo esercitato dalle trame compositive ideate dal geniale artista toscano nel creare i suoi capolavori, gelosi custodi del suo pensiero più intimo. Numerose e diversificate le strade fin qui intraprese, di solito in perfetta sintonia con i canoni dell’esegesi ufficiale, altre volte divergenti. Negli ultimi decenni ad esempio le tecniche d’indagine si sono notevolmente evolute, favorendo l’insorgere di estese, poliedriche possibilità ed aperture nel campo delle ipotesi e tesi critico-interpretative. Stiamo parlando degli studi scientifici che si basano sull’analisi multispettrale, capaci di svelare cose celate da secoli sotto la superficie dipinta, proprio laddove lo sguardo dell’uomo normalmente non può arrivare. Suggestivi quelli condotti dallo scienziato francese Pascal Cotte che, come sottolinea la studiosa Glori citando lo stesso Cotte, possono “sbucciare gli strati di un dipinto come fosse una cipolla” 1. Abbiamo poi le ricerche finalizzate alla comprensione del ruolo svolto dalla matematica nel processo costruttivo dell’opera. A prima vista quest’ultime possono sembrare questioni aridamente numeriche. In realtà la ricerca matematica, a qualunque aspetto venga applicata magari anche in modo marginale, può approdare a inedite profondità e connessioni, illuminando in modo significativo questioni generali e aprendo nuovi punti di vista sulle stesse.

«Esiste una forte relazione fra il mondo dell’arte figurativa e il mondo della matematica. L’arte e la matematica sono, infatti, creazioni umane che hanno alla base la fantasia e un linguaggio rigoroso» si legge nella breve sinossi introduttiva riportata in un libro del saggista e matematico D’Amore2. L’interazione tra questi due mondi rappresenta dunque un fatto reale, più forte di quanto si potesse un tempo immaginare. In occasione del Congresso Internazionale dei Matematici tenutosi a Bologna nel 1928, il matematico Roberto Marcolongo si espresse in questi termini: «Pochissimi e rarissimi sono gli studiosi che hanno considerato, e il più delle volte solo per incidenza, Leonardo come matematico e preso in esame tutto il ricco materiale sparso nei manoscritti vinciani che riguarda la matematica pura ed abbia investigato, con moderno spirito critico, il contributo arrecato a questa scienza, le conoscenze matematiche di Leonardo, ricercando le fonti di tali conoscenze, le relazioni coi matematici italiani della seconda metà del ‘400 e colle loro opere; per vedere in fondo quale posto occupi il grande artista scienziato nella storia della matematica»3. Tra questi insigni studiosi va menzionato il matematico Giuseppe Favaro che già nel lontano anno 1917, aveva svolto preziose indagini sul canone proporzionale leonardesco4. Sappiamo che nel Rinascimento la ricerca delle giuste proporzioni, incluse quelle del corpo umano, aveva quasi assunto l’aspetto di una scienza sperimentale. Leonardo poi, dal canto suo, ha contribuito non poco nel mettere sulla buona strada i moderni critici dell’arte. Lo attestano la cospicua mole di prove esibite saltuariamente nei manoscritti dell’artista (annotazioni, spunti, disegni, ecc.) a testimonianza dell’universalità del suo vasto sapere e del suo spiccato, anche se incostante, interesse per la matematica e i problemi classici della geometria. (Figg. 1, 2)

Fig. 2

Si è tornati più volte sull’argomento. E’ il caso di due ricerche basate sull’enigmatica unicità dell’Uomo vitruviano (esemplare esempio di studio antropometrico leonardesco) condotte rispettivamente da Perissa Torrini5 e da Manenti Valli6. Quest’ultima ha ipotizzato, in termini assai persuasivi, la presenza di inediti moduli di misura in due noti dipinti leonardeschi: l’Annunciazione e la Vergine delle Rocce (prima versione esposta al Museo del Louvre). Il celebre disegno dell’Accademia di Venezia, nel quale viene espressamente dichiarata l’unità di misura, ha comunque permesso di comprendere, almeno in parte, il percorso mentale seguito da Leonardo nel far propri gli archetipi geometrici universali rapportati alle proporzioni dell’uomo. Ed è proprio seguendo questa strada teorizzata dall’architetto romano Marco Vitruvio Pollione (80 a.C. - 15 a. C.) che la ricerca pare farsi interessante. E’ opinione diffusa che l’analisi matematica, assunta in ambito artistico come metodo complementare di ricerca, si applichi di solito laddoveesistano forme geometriche espressamente dichiarate, ma non sempre è così. Nel caso della Gioconda7 ad esempio, l’unica realtà geometrica apparentemente funzionale allo scopo non è riconducibile al contenuto del dipinto vero e proprio ma alla sua forma rettangolare. Tale limite non ha impedito di accertare che il rapporto proporzionale esistente tra i lati maggiore e minore del dipinto va a coincidere con quello che intercorre tra le misure lineari di lato e apotema in un pentagono regolare8. Si torna dunque a misurare gli ”spatii” tra due punti determinati, a “confrontare” le proporzioni tra parti diverse del corpo. Il modulo unitario di misura a suo tempo identificato nella lunghezza della bocca (o fessura interlabiale che dir si voglia) torna a rivelare la sua utilità pratica nel pervenire a certi risultati, anche in rapporto ai canoni della “divina proporzione”, così connaturale alla sezione aurea che Leonardo Pisano, detto Fibonacci, interpretò ideando la celebre successione numerica. Apriamo in tal senso una breve parentesi chiarificatrice: la larghezza della faccia della Gioconda9 misurata all’altezza degli occhi (definita da Leonardo “La magior largeza del volto”) fin dove l’illuminazione della parte anatomica consente di spingere la misura, corrisponde a 3 moduli, l’altezza della testa a 5 moduli. (Fig. 3)

Fig. 3

 Sappiamo che 3 e 5 sono numeri primi e che gli stessi fanno parte della successione numerica sopra citata. Una delle proprietà fondamentali della famosa serie stabilisce che il rapporto tra un numero di Fibonacci e quello immediatamente precedente tende progressivamente (con limite posto all’infinito) al numero aureo ф ovvero, 1,618… Nel nostro caso abbiamo due numeri in sequenza aurea il cui rapporto di 5 a 3 dà per risultato 1,666… Da questo si deduce che la testa della dama, così come appare nel dipinto, può essere inscritta in una sorta di rettangolo aureo la cui base (3 moduli) va a coincidere con il lembo inferiore del mento mentre i lati maggiori (5 moduli), sfiorando lateralmente il volto, raggiungono la sommità della testa dove termina la linea divisoria dei capelli, la stessa che ci consentirà in seguito di valutare l’angolo di rotazione della testa, rispetto ad un ipotetico asse posto perpendicolarmente ai lati minori, da cui tale linea si diparte10. (Fig. 4) 

Fig. 4

Il segmento che li raccorda in alto completa la figura rettangolare che per dimensioni e posizionamento questa volta non arbitrari, pare distinguersi da analoghe soluzioni adottate in precedenza. (Fig. 5) La questione delle proporzioni di un corpo umano ben formato, assimilate per certi aspetti a quelle delle costruzioni dei templi antichi chiama in causa la già accennata figura di Vitruvio Pollione. Gli scritti e studi grafici leonardeschi attestano che l’artista vinciano si stava davvero interessando al trattato De architectura di Vitruvio che andava cercando presso i cartolai. Di sicuro ne conosceva i contenuti, per quanto si evince dai commenti presenti sul foglio dell’Uomo vitruviano ispirati alle misure antropomorfe del corpo umano e riconducibili ai dettami dello scrittore latino. Precetti che, a loro volta, si richiamano all’arcaica autorità degli architetti greci. (Fig. 6)

Fig. 5

Fig. 6

In detto trattato però non si fa alcun accostamento tra le proporzioni del canone umano e la sezione aurea. Come precisa Patrone: « Fra le proporzioni del canone umano la sezione aurea non è mai nominata. Del resto, tutte le indicazioni vitruviane mostrano come la sua idea guida fosse che tutte le misure di un tempio, così come quelle della figura umana, potessero essere espresse come multipli o sottomultipli di una quantità fondamentale, il modulo, che nell’uomo può essere la testa e nel tempio il diametro di base delle colonne. Questo implica che il canone vitruviano, e con esso presumibilmente il canone greco, non prevede alcun rapporto privilegiato rispetto ad altri e in secondo luogo che tutti i rapporti raccomandati sono razionali, il che esclude di principio quello aureo» 11. Lo stesso aggiunge: « Non si trova né in Pacioli né in alcuna opera del tempo alcun cenno all’utilità della “Divina Proportione” per le arti ». In base a tali affermazioni, dobbiamo forse considerare l’eventualità che gli studi proporzionali sulla sezione aurea possano talvolta portare a conclusioni speculative seppur seducenti? In realtà è difficile accertare l’effettiva influenza esercitata dalle proprietà estetiche del rapporto aureo sull’arte leonardesca. Alcune tracce in tal senso esistono ma c’è ancora molto lavoro da fare. Un altro aspetto merita di essere evidenziato: le proporzioni del corpo umano stabilite da Leonardo riguardano sostanzialmente l’uomo maschio adulto, mai una donna. Anche questo è un dato di fatto. Non ci poniamo qui la ragione di tale realtà, considerando che innumerevoli disegni dell’artista sono andati forse perduti per sempre assieme a ciò che essi potevano raccontare. Possiamo però tentare di superare quello che pare essere un limite legato alla mentalità di quei tempi, cercando di costruire un ipotetico confronto tra le proporzioni del corpo maschile e quello femminile, partendo appunto dalle prime. Eviteremo di ripetere per esteso le ragioni per le quali a suo tempo abbiamo scelto la bocca della Gioconda come possibile modulo (vedi articolo “Un sorriso per misura”) 12. L’idea era nata a seguito del disvelamento di alcune coincidenze proporzionali tra l’organo anatomico in questione e i lati del dipinto, considerando al contempo la posizione occupata dallo stesso rispetto a quest’ultimi: gli spazi misurati approdavano a numeri interi, ad eccezione del tratto bocca-lato inferiore che differiva di appena un millimetro. (Fig. 7)

Fig. 7

Avevamo altresì osservato come nel passaggio dall’immagine a dimensione ridotta in copia fotostatica alle dimensioni del dipinto vero e proprio, la misura della bocca (definita da Leonardo “largeza della bocha”)passasse da 1,5 cm. a 4,076 cm.13. Non mancheremo altresì di considerare, seppur in termini puramente teorici, una possibile variante a tale condizione. L’altezza complessiva della testa della Gioconda, come abbiamo visto, corrisponde a 5 moduli. E’ dunque possibile risalire alla misura del segmento ad essa corrispondente moltiplicando il dato noto per cinque (4,076 X 5=20,38 cm.). Va anche precisato che la testa della dama, che a prima vista appare quasi frontale, in realtà è ruotata di circa 13° verso destra (sinistra per chi guarda) seppur in contrapposto al busto che invece è girato di ben tre quarti14. Tale condizione va a incidere seppur di poco sui risultati delle nostre stesse misurazioni e sui tentativi di confronto con altri studi proporzionali, elaborati sulla base di disegni e appunti antropometrici leonardeschi riferiti a volti maschili posti di profilo o in posizione frontale15. Considerando per assurdo il volto della Gioconda posto in posizione frontale, tale incidenza può essere calcolata applicando il teorema di Pitagora. La misura della bocca, così come noi la vediamo, è solo la proiezione ortogonale della sua vera lunghezza. Questo implica che la stessa passerebbe da 4,076 cm. a 4,17 cm. e di conseguenza, la misura della testa da 20,38 cm. a 20,85 cm. con una percentuale di aumento del 2,31% e un aumento in valore assoluto di 0,47 cm.. (Fig. 8)

Fig. 8

L’idea di risalire alla misura della testa della Gioconda partendo da quella della bocca potrebbe sembrare una scelta illogica, mancante di una finalità ben precisa. Non è così. Addentrandoci ulteriormente nella questione, constatiamo che tra le proporzioni citate nel foglio dell’Uomo vitruviano, una riguarda proprio la misura della testa rapportata all’altezza della figura umana, paragonata a un ottavo di quest’ultima: “Dal di sotto del mento alla som(m)ità del chapo he l'octavo dell'altez(z)a dell'omo.. Evidente l’analogia con la proporzione indicata da Vitruvio: “Imperocchè ha la natura composto il corpo umano in guisa, che la faccia della barba fino a tutta la fronte, cioè fino alla radice de’ capelli, è la decima parte del corpo… è altrettanto: la testa dal mento al cucuzzolo un’ottava...16. Sulla base delle indicazioni vitruviane riprese da Leonardo (ma non in tutto e per tutto) è dunque possibile affrontare il tema delle proporzioni che accomunano parti diverse del corpo umano quindi, risalire all’ipotetica altezza della Gioconda passando appunto dalla misura della testa ormai nota. Lo scultore Policleto di Argo nel V sec. a.C., aveva intuito che per ottenere un perfetto equilibrio proporzionale, la misura della testa dell’uomo doveva rientrare otto volte esatte nell’altezza del corpo. In virtù di tale rapporto, basta moltiplicare per otto la lunghezza del segmento lineare che va “dal di sotto del mento alla sommità del capo” per risalire al dato dell’altezza del corpo desiderato (20,38X8=163,04). Nel caso del volto posto in posizione frontale, questa sarebbe passata da 163,04 cm. a 166,8 cm. con una percentuale di aumento pressochè inalterata rispetto a quella già vista in precedenza e un aumento in termini di valore assoluto di 3,76 cm.. In base ai suddetti canoni, possiamo dedurre che l’altezza complessiva della Gioconda, nel rispetto delle peculiarità fisiche conferite da Leonardo alla figura ritratta, corrisponde a circa 166,8 cm.. I risultati acquisiti ci consentono anche di ipotizzare che il ritratto sia stato eseguito dall’artista a grandezza naturale. Ipotesi che coincide con la descrizione fatta dal viaggiatore e collezionista d’arte italiano Cassiano dal Pozzo che nel 1625, durante una visita alla collezione reale di Fontainebleau, così si espresse nei confronti del celebre dipinto: « Un ritratto, della grandezza del vero, in tavola incorniciato di noce intagliato, è mezza figura et è ritratto d’una tal Gioconda… ». Attenzione però, le presenti analisi trattano di misure del tutto teoriche, riferite ad un corpo perfetto come poteva essere quello delle statue greche ideate da Prassitele, esempi di armonia e simmetria proporzionale tra le parti. La realtà delle cose, come ben sappiamo, parla un altro linguaggio. E’ lecito però supporre che un artista del calibro di Leonardo, nel raffigurare il volto della Gioconda “a grandezza del vero”, abbia mantenuto in corso d’opera la stessa perfezione con la quale era solito studiare i moti dell’animo dei suoi personaggi, la loro struttura anatomica, la fisiognomica, qualità tutte che si riflettono in qualche modo nelle sembianze e proporzioni intrinseche alla parte anatomica esaminata. Da qui la consapevolezza che a dettare la vera dimensione della bellezza fosse in definitiva la natura stessa, in certi casi autoreplicante dunque riscontrabile in molteplici esemplari umani. Kemp fa notare che fu Leon Battista Alberti nel De Statua ad esprimere tale concetto: «Ho proceduto di conseguenza a misurare e a riportare per iscritto non semplicemente la bellezza che si trova in questo o quel corpo, ma, per quanto possibile, quella perfetta bellezza distribuita dalla natura, per così dire, in proporzioni fisse, fra molti corpi; e nel far ciò ho imitato l’artista che a Crotone, nel fare le sembianze di una dea, scelse tutte le ragguardevoli ed eleganti bellezze di forma da numerose delle più belle fanciulle e le traspose nella sua opera»17. Sempre l’Alberti avverte: «La prima cosa bisogna procurare che tutte le membra fra loro siano proporzionate». Nel riprendere il nostro discorso sulle proporzioni leonardesche riferite al corpo umano, non possiamo mancare di citare la Divina Proportione di Luca Pacioli, da un lato per la vicinanza del celebre matematico biturgense a Leonardo, dall’altro per la presenza nell’opera di due disegni di volti maschili muniti di suddivisioni schematiche. In un lontano passato si riteneva che gli stessi fossero riconducibili alla mano di Leonardo, autore delle 60 tavole raffiguranti poliedri a corredo del celebre trattato. (Figg. 9, 10)

Fig. 9   Fig. 10

Circa un secolo fa il matematico Favaro aveva condotto attente ricerche su alcuni disegni e appunti antropometrici leonardeschi, evidenziando la possibilità di esprimere in cifre il valore delle dimensioni del corpo umano partendo da un modulo minimo comune di misura. La scelta di Favaro cadde su un particolare segmento del volto che fu da lui denominato “labbro leonardesco”, riconoscibile tra le varie suddivisioni schematiche orizzontali che caratterizzavano uno di questi profili di volto disegnati da Leonardo. (Fig. 11)

Fig. 11

Non si tratta della fessura interlabiale da noi prescelta per i nostri studi proporzionali. Rima orale e labbro leonardesco sono infatti due moduli distinti anche se, tra le rispettive parti anatomiche, sussiste una sorta di vera e propria relazione proporzionale secondo una valutazione riconducibile proprio a Leonardo: “Tanto è grande la bocha d’un bel volto quanto è da la division de labri al disotto del mento” (1 labbro inferiore + 2 labbra per il mento = 3 labbra) 18. Leonardo a quanto pare non aveva mai fatto cenno diretto all’altezza del labbro come possibile modulo unitario, l’attribuzione pertanto non gli appartiene. Tale misura non deve altresì essere intesa come effettiva altezza delle singole labbra facenti parte della bocca: secondo il concetto leonardesco la misura del “modulo labbro” può essere comparata solo alla 14ª parte dell’altezza della testa o alla 12ª parte di quella della faccia19. Ritroviamo tale lunghezza sia nel “labbro superiore” (spazio compreso tra setto nasale e rima orale) che nel “labbro inferiore” (spazio compreso tra rima orale e solco labio mentale). Favaro precisa: « il modulo “labbro leonardesco” che entra nell’altezza totale 112 volte, riferito al sistema metrico decimale corrisponde, nella statura media di 168 cm., ad un centimetro e mezzo ». Appurato che la testa della Gioconda così come è stata raffigurata misura in altezza circa 20,38 cm., dividendo il dato per quattordici si risale alla teorica misura del “labbro leonardesco” rapportata al nostro caso: (20,38:14=1,45571428… cm.). Moltiplicando il risultato (inclusi tutti i decimali) per le 112 “altezze di labbro” indicate da Favaro, si perviene nuovamente allo stesso valore dell’altezza complessiva del corpo già calcolata con il rapporto proporzionale vitruviano di 1 a 8.

Evidenziamo ora alcune proporzioni riferite ad alcune parti del volto della Gioconda sulla base delle indicazioni fornite da Leonardo, rapportate al modulo di misura da noi scelto lungo 1,5 cm. o sue frazioni:

spazio tra la rima orale e la radice dei capelli “spatio ch’è infra ‘l taglio della bocha e ‘l nassimento djnanzi de’capellj” (5 cm., ovvero tre moduli e 1/3);

spazio tra gli angoli esterni degli occhi “spatio ch’è infra lli stremi delli ochi” (3 cm., ovvero due moduli);

spazio tra le pupille “spatio ch’è infra i cientri delle popille dell’ochio” (2 cm., ovvero un modulo e 1/3);

spazio tra rima orale e palpebre inferiori (2 cm., ovvero un modulo e 1/3);

spazio tra gli angoli interni degli occhi “lagrimatoro” (1 cm., ovvero 2/3 di modulo);

lunghezza della rima palpebrale dell’occhio destro (il sinistro per chi guarda) “spatio dal lagrimatoro alla choda d’esso ochio” (1 cm., ovvero 2/3 di modulo);

diametro traverso del naso “largeza delle nari del naso” (1 cm., ovvero 2/3 di modulo);

lunghezza del labbro inferiore “labro di sotto della bocha” (1 cm., ovvero 2/3 di modulo).

Abbracciare la logica di un possibile ruolo svolto dai moduli unitari nella costruzione di alcuni dipinti leonardeschi (Annunciazione, Vergine delle rocce e forse la stessa Gioconda) implica necessariamente porsi una serie di riflessioni. Dando per assodato il peso e l’importanza di numeri e misure nelle estetiche e nelle strategie degli artisti nel primo Rinascimento che si pongono nel solco di antiche tradizioni, restano in sospeso domande di tipo artistico procedurale che attendono risposte. Troppe le coincidenze e le concordanze per fare appello alla casualità ma allora, come facevano sul piano pratico? Si pone dunque il problema della strumentazione utilizzata, cioè della cultura materiale. E’ mai possibile che per ottenere tale precisione gli artisti ricorressero alla sola carta millimetrata e se sì, che fine hanno fatto i fogli? Quali disegni o semplici appunti geometrici preparatori sono rimasti coperti dagli strati di pittura ad olio? Sappiamo dell’uso della “griglia” (quadrettatura proporzionale) e della corda per usi prospettici e le testimonianze in tal senso non mancano, ma qui c’è qualcosa di più e c’è bisogno di qualche strumento in più per arrivare a una simile precisione. Elaboravano piccoli modelli accurati (qui il riferimento alla carta millimetrata) che poi trasportavano in scala nell’opera maggiore, o procedevano armati di righello (e se sì che tipo di righelli avevano a disposizione?) o strumento similare (allo scopo potrebbe bastare anche un semplice compasso) per mantenere il modulo in corso d’opera? Non v’è dubbio che le lunghe pratiche di bottega li mettessero nella condizione di sviluppare una grande perizia nel disegno e poi nella realizzazione dell’opera, ma qui siamo in presenza di un surplus di precisione necessaria, una precisione che non può affidarsi semplicemente alla buona volontà e all’occhio allenato, c’è bisogno di procedere in modo molto sorvegliato per arrivare a simili esiti. In altre parole, se è importante che la misura di 1,5 cm. resti inalterata perché è un modulo, allora non può essere di 1,4 cm. o 1,6 cm.. Non può essere cioè affidata solo all’occhio (come conferma l’espressione “misurare a occhio”), ci vuole un eccesso di precisione che può essere ottenuto solo sorvegliando attentamente il processo esecutivo in ogni sua fase evolutiva, ricorrendo a strumenti che strada facendo mantengono inalterata la misura. Si presenta quindi un problema procedurale che chiama in causa il comportamento dell’artista. Legittime constatazioni che devono però tener conto di tutto ciò che può essere andato perduto nel corso dei secoli, privandoci per sempre della possibilità di accedere a un maggior numero di reperti e fonti informative sulle varie tecniche adottate. Sappiamo che fino alla prima metà del Quattrocento molti studi tramandati come materiale di bottega, di generazione in generazione, furono nel tempo scartati per le ragioni più disparate. Dobbiamo attendere il Cinquecento con l’avvento del collezionismo e la trasformazione dei disegni in una sorta di prodotto commerciabile per assistere a un sostanziale cambio di tendenza. Anche la scarsità di studi propedeutici legati a ritratti famosi va ricercata nella difficoltà di un riutilizzo proficuo degli stessi nell’ambito della bottega. Gli artisti del calibro di Leonardo, vissuti nella seconda metà del Quattrocento, disponevano comunque di un bagaglio di conoscenze tecniche e antiche esperienze talmente vasto da sfuggire in parte alla nostra comprensione. Non parliamo della tecnica di preparazione e stesura del colore che meriterebbe un discorso a parte, ma del complesso lavoro mentale che sta a monte di tale fase esecutiva: « si dipinge non colle mani ma col cervello » diceva Michelangelo. E il genio di Vinci da questo punto di vista di cervello ne aveva da vendere. Quando si parla di precisione esecutiva, nel Quattrocento e nel secolo successivo gli studi sulle proporzioni della figura umana avevano ormai raggiunto livelli d’attenzione davvero ragguardevoli, ne sono esplicita testimonianza i disegni realizzati da Piero della Francesca nel primo trattato sistematico di prospettiva, il De prospectiva pingendi. (Figg. 12, 13)

Fig. 12  Fig. 13

Per quanto concerne gli strumenti da lavoro utilizzati da questi artisti, diventa arduo discostarsi da cosa già sappiamo. Solo pensando ai compassi, Leonardo si avvaleva di svariati modelli: il “compasso a doppia punta” con anello circolare esterno20, il “compasso a perno variabile”, il “compasso parabolico” destinato agli studi sugli specchi ustori, il “compasso per epicicloidi” (Fig. 14), il “compasso di proporzionalità” o “compasso di riduzione” che consentiva all’artista di ottenere rapporti di proporzionalità diversi avvalendosi di un solo strumento. 

Fig. 14Leonardo ne illustra alcuni modelli nel Codice Atlantico. Considerando che la questione dei rapporti proporzionali è stata l’elemento portante del presente studio, merita soffermarsi brevemente sulle molteplici funzioni di quest’ultimo importante strumento da disegno che, supponiamo, potrebbe aver svolto un ruolo effettivo nel processo costruttivo dell’opera d’arte. Lo facciamo avvalendoci di un accurato contributo fornito da Camerota: « …il primo compasso messo a punto per il controllo delle proporzioni è il cosiddetto “compasso di riduzione”, o “compasso a quattro punte”, utilizzato fin dall’antichità per la riproduzione dei disegni e la divisione delle linee. Le gambe del compasso in questo caso erano incernierate non alle estremità ma a un terzo o un quarto della loro lunghezza in modo da formare due triangoli simili opposti, con il vertice in comune e le basi in rapporto, rispettivamente, di 1:2 o 1:3. La necessità di avere in un solo strumento più rapporti proporzionali suggerì due varianti di questo compasso che troviamo illustrate per la prima volta nel Codice Atlantico di Leonardo, una a perno fisso con punte intercambiabili di diversa lunghezza in relazione al rapporto proporzionale desiderato, l’altra a perno variabile. Secondo Leonardo, che chiamava questo compasso “sesto de proporzionalità”, lo strumento poteva essere utilizzato anche per disegnare figure ovali proporzionate a un dato cerchio e per trovare le “proporzionalità inrazionali”, ossia i rapporti non interi, come 1:√2, solitamente risolvibili solo per via geometrica. E’ presumibile che lo strumento fosse destinato anche al calcolo delle aree, dei volumi, e delle radici quadrate e cubiche, che Leonardo usava risolvere, altrimenti, attraverso particolari costruzioni geometriche per il tracciamento di scale proporzionali… ».21 (Figg. 15, 16)

Fig. 15 Fig. 16

Le molteplici potenzialità del compasso si affinano nel tempo e trovano un naturale sviluppo nel compasso di proporzione in ferro e legno a gambe piatte ideato da Antonio da Sangallo il Giovane (ca. 1530) che a dire dell’architetto, permette di “trovare ogni proportione di qualunque sorte si sia”. Il suo strumento si basava su uno schema proporzionale grafico già ampiamente collaudato dai teorici della prospettiva rinascimentale tra cui Piero della Francesca. (Fig. 17)

Fig. 17

A sua volta Albrecht Dürer, considerato il massimo esponente della pittura tedesca rinascimentale, ne fece uso « …per calcolare i medi proporzionali, duplicare il cubo e proporzionare la figura umana… »22. Le osservazioni di Camerota ci dicono anche che «… il pittore tedesco aveva adottato lo schema prospettico per ottenere una serie di linee in continua proporzione, e nel trattato sulle proporzioni del corpo umano aveva descritto ben sei strumenti per il controllo delle proporzioni della figura umana (1528) nei vari movimenti e posizioni: l’equatore, il variante, il diligente, le gemelle, l’indice e il pervertente... »23. Pur non essendo compassi veri e propri, il principio di funzionamento di questi strumenti somigliava molto a quello dei futuri compassi di proporzione. Il tipo denominato variante in particolare «…richiamava chiaramente uno schema prospettico, consentendo di aumentare o diminuire le proporzioni di una figura umana in base allo stesso meccanismo che sul quadro del pittore faceva variare la grandezza apparente delle figure in rapporto alla loro distanza…»24. In realtà non sappiamo se qualcuno degli strumenti del Dürer qui menzionati, magari modificati in alcune loro parti o funzioni, sia stato usato in precedenza da Leonardo per determinare i giusti rapporti proporzionali tra le varie parti del corpo. Riteniamo la cosa possibile dato che il geniale artista, in quanto a capacità di escogitare innovative soluzioni tecniche, era solito precorrere i tempi. Di sicuro Leonardo aveva ben studiato il meccanismo di questi strumenti. I suoi disegni infatti non si limitano a riproporne le fattezze, ma indugiano anche su componenti meccaniche (vite) e sulle modalità di applicazione pratica. (Fig. 18)

Fig. 18

Difficile spingersi oltre. Auspichiamo comunque che il presente contributo, seppur con i limiti che si porta appresso, possa svolgere una sorta di azione propedeutica per ulteriori indagini. Che dire… potendo disporre di una macchina del tempo, quale migliore opportunità per noi poter dare una sbirciatina nella bottega di uno di questi grandi protagonisti del Rinascimento, giusto per carpire loro qualche piccolo segreto professionale! Immaginiamo il frenetico viavai dei garzoni, gli scaffali con le pergamene, fogli di carta con appunti e schizzi preparatori, libri di disegni a uso di bottega o per finalità esterne, una macchina prospettica (Leonardo ne ideò una con “vetro” e dispositivo di fermo-testa), cavalletti. Sui tavoli molti oggetti e strumenti: pennelli, colori ad acquarello, vasetti con polveri di pietra colorata, gomma arabica, ampolle con olio, punte metalliche (punta di piombo, stilo), penne a inchiostro, tavolette, alcuni compassi, tiralinee, guide per tracciatura, righelli graduati, righe a “T” con battuta, squadre a due bracci, goniometri, punteruoli da dipinto, bulini, punte da ricalco, lapis e molto altro ancora, non escluso qualche marchingegno o strumento di misura adattato dall’artista alle proprie esigenze, andato poi perduto. Lasciamo dunque che la fantasia faccia il suo corso e che qualche piccolo segreto continui a stimolare la nostra curiosità, senza la quale, presupponiamo, tutto apparirebbe alla fine scontato e poco a poco… sempre meno entusiasmante!

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1 – Leonardo da Vinci. Busto di uomo di profilo con studio delle proporzioni (ca. 1490), Venezia, Galleria dell’Accademia, inv. 236 verso.
Fig. 2 – Leonardo da Vinci.
Studio sulle proporzioni di viso e occhio (ca. 1489-1490), Torino, Biblioteca Reale, inv. 15574 D.C. recto.
Fig. 3 – Leonardo da Vinci.
La Gioconda (1503-1514 circa). Dipinto ad olio su tavola di pioppo. Museo del Louvre. Parigi. Particolare della testa con moduli di misura riferiti alla “rima orale”.
Fig. 4 – La
Gioconda. Angolo di rotazione del volto.
Fig. 5 – La
Gioconda. Particolare della testa con rettangolo aureo.
Fig. 6 – Leonardo da Vinci.
Studio sulle proporzioni del corpo in piedi, in ginocchio e seduto. Windsor, Royal Library, RL 19132.
Fig. 7 – La
Gioconda. Distanze che separano la bocca dai quattro lati del dipinto.
Fig. 8 – Proiezione ortogonale della “rima orale”, assunta come ipotetico modulo di misura.
Figg. 9, 10 – Fra Luca Bartolomeo de Pacioli.
Volti maschili con suddivisioni schematiche, dal De divina proportione.
Fig. 11 – Leonardo da Vinci.
Studio sulle proporzioni di testa e viso (ca. 1489-1490). Windsor, Royal Library, RL12601 recto, (ns. evidenziazione grafica del segmento corrispondente al “labbro leonardesco” di Favaro).
Figg. 12, 13 – Piero della Francesca.
Studi sulle dimensioni del volto umano dal De prospectiva pingendi.
Fig. 14 – Leonardo da Vinci.
Studio di compasso per epicicloidi, Codice Arundel, C 160 verso.
Fig. 15 – Leonardo da Vinci. Studi per compassi di proporzione, Ms. H, C35 recto, Istituto di Francia.
Fig. 16 – Leonardo da Vinci.
Compasso di proporzione a quattro punte, Codice Atlantico, C. 1046 recto, Milano, Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana.
Fig. 17 – Antonio da Sangallo il Giovane.
Compasso di proporzione, Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 1491A, recto.
Fig. 18 – Leonardo da Vinci.
Compasso di proporzione con vite, Codice Forster I, 4 recto, Londra, Victoria and Albert Museum.

 

Note con rimando automatico al testo

1 C. Glori, “L’Altro volto della Gioconda”, in Fogli e Parole d’Arte, rivista on line. Link: http://www.foglidarte.it/il-rinascimento-oggi/586-altro-volto-gioconda.html

2 B. D’Amore, Arte e matematica: metafore, analogie, rappresentazioni, identità tra due mondi possibili, Edizioni Dedalo, 2015.

3 Atti del Congresso Internazionale dei Matematici dal 3 al 10 settembre 1928, Vol. 1, Rendiconto del Congresso, “Leonardo da Vinci nella storia della matematica e della meccanica” di Roberto Marcolongo, Ed. Zanichelli, Bologna, 1929, pp. 275-293.

4 G. Favaro, “Il canone di Leonardo. Sulle proporzioni del corpo umano”, in “Atti del Reale Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti”, Anno accademico 1917-1918, Tomo LXXVII, Venezia.

5 A. Perissa Torrini, L’enigma dell’uomo armonico, Arte dossier, numero 256, giugno 2009, Giunti editore, Firenze.

6 F. Manenti Valli, “Leonardo, il sapere costruttivo nel disegno della figura umana”, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo-Milano, 2011.

7 Continueremo per consuetudine ad assegnare alla celebre opera leonardesca questo appellativo, nonostante autorevoli leonardisti sollevino da tempo il fondato dubbio che l’identità della dama non sia in realtà riconducibile a Lisa Gherardini moglie di Francesco del Giocondo. Si fa riferimento ad altre figure femminili come Pacifica Brandani, Costanza d’Avalos, Isabella d’Este, Bianca Giovanna Sforza, ecc..

8 W. Cardellini, “Leonardo e la Gioconda: un rebus matematico”, Fogli e Parole d’Arte, sez. “Il Rinascimento oggi”. Link: http://www.foglidarte.it/il-rinascimento-oggi/490-gioconda-rebusmatematico.html

9 Definita da Leonardo “magiore largeza della facia del viso”, la misura equivale ai due terzi dell’altezza della testa. Nel nostro caso tale rapporto sussiste con la misura dell’altezza della faccia, non della testa. Il matematico Favaro riferisce, citando Richter e Bossi, che Leonardo in alcuni casi abbia scritto per errore testa in luogo di volto.

10 Il rettangolo aureo è un rettangolo le cui proporzioni sono basate sulla proporzione aurea. Ciò significa che il rapporto tra lato maggiore (a) e lato minore (b) (a:b) è identico a quello tra lato minore e il segmento ottenuto sottraendo quest’ultimo dal lato maggiore b: (a-b). Entrambi i rapporti sono ф=1,618.

11 D. Patrone, “La Sezione Aurea: breve storia di un mito”, collana “Linee di confine”, Scorci di Storia della scienza-contributi al seminario congiunto dei dottorati, Ed. Plus-Pisa University Press, 2006, pp. 204-205. Link: http://www.academia.edu/4398298/Un_positivista_sui_generis_._Gino_Loria_storico_delle_scienze_matematiche.

12 W. Cardellini, “Un sorriso per misura, Fogli e Parole d’Arte, sez. “Il Rinascimento oggi”. 

13 Secondo i canoni proporzionali leonardeschi riferiti alla faccia (Favaro, op. cit., p. 191), la largeza della bocha o lunghezza della rima orale, corrisponde allo spazio che va dalla “rima orale” al disotto del mento e ad un quarto dell’altezza della faccia. Noto tale rapporto, possiamo risalire all’altezza della faccia della Gioconda: (4,076X4=16,304 cm., nel caso di vista frontale 4,17X4=16,68).

14 L’ampiezza dell’angolo di rotazione del volto viene indicata dalla posizione assegnata alla riga divisoria dei capelli che risulta inclinata rispetto ad una retta verticale (perpendicolare ai lati minori del dipinto) dalla quale in alto si diparte.

15 Il presente concetto può essere schematizzato “in pianta”, equiparando la misura della rima orale così come viene percepita, a un comune segmento posto sull’asse delle ascisse. Tracciando una retta che si diparte dalla sua origine (sfasata di circa 13° in anticipo) e proiettando sulla stessa l’estremità opposta del segmento fino ad intersecarla, si ottiene la figura di un triangolo rettangolo la cui ipotenusa, più lunga del cateto maggiore, rappresenta l’effettiva misura della bocca in un volto posto idealmente “di fronte” anziché leggermente ruotato come invece appare in realtà. L’entità di tale differenza può essere calcolata ricorrendo al teorema di Pitagora.

16 Dell’architettura di Marco Vitruvio Pollione, libri dieci, pubblicati da Carlo Amati, libro terzo, capo I, p.69. Link: https://archive.org/stream/dellarchitettura01vitr#page/n3/mode/2up

17 M. J. Kemp, “Lezioni dell’occhio: Leonardo da Vinci discepolo dell’esperienza”, Vita e Pensiero, 2004, p. 335.

18 Codice A, Biblioteche di Parigi, f. 62 v. (all’epoca dello studio condotto da Favaro). “Il canone di Leonardo. Sulle proporzioni del corpo umano”, op. cit., p. 191.

19 G. Favaro, “Il canone di Leonardo. Sulle proporzioni del corpo umano”, op. cit., p. 222.

20 Codice Atlantico, f. 696 recto, (1514-1515)

21 F. Camerota, “Il compasso di Galileo”, Strumenti scientifici, storia, esplorazione, uso. Il compasso geometrico e militare di Galileo Galilei. Istituto e Museo di Storia della Scienza, Firenze. 2004, pp. 9, 10. Link: http://www.academia.edu/11940399/Il_compasso_di_Galileo_Galileo_s_Compass_Istituto_e_Museo_di_Storia_della_Scienza_Firenze_2004

22 Ibidem, p. 11.

23 Ibidem, pp. 11, 12.

24 Ivi, p. 12.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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