Gli afreschi di Casa Visconti-Panigarola, tra Bramante, Leonardo e Antonio del Pollaiolo

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Alla Pinacoteca di Brera sono conservati dal 1901-2 otto affreschi, rimossi con tutta probabilità in epoche diverse dal palazzo che fece costruire a Milano, nell’odierna via Lanzone, Gaspare Ambrogio Visconti, consigliere ducale alla corte di Ludovico il Moro, ma anche uomo dedito alla poesia e alle altre attività dello spirito. Sette degli affreschi mostrano uomini di potere, un poeta e un cantore; l’ottavo affresco richiama un tema dell’antichità: Democrito ridente e Eraclito piangente sulle condizioni umane. Il ciclo degli affreschi è stato chiamato dei Baroni o degli Uomini d’Arme (?) e si è cercato già nel passato lontano di individuare con precisione i personaggi che i sette affreschi raffigurano. In realtà chi fossero i sette personaggi ha un’importanza relativa perché l’aver messo insieme potenti, un poeta e un cantore, ha l’evidente finalità neoplatonica di celebrare la sintesi che si realizzava splendidamente in Gaspare Visconti della vita attiva presso la corte sforzesca e della vita speculativa. Il Visconti fu in intimità con Donato Bramante per il comune trasporto verso la poesia e l’Urbinate è documentato dimorante tra il 1487 e il 1492 nel Palazzo del Visconti1. Gli antichi riferimenti storici e attributivi rendono certa la paternità di Bramante sugli affreschi ma non su tutto il ciclo, all’interno del quale si rilevano delle evidenti disomogeneità stilistiche e qualitative più volte segnalate dalla critica in passato ed anche ai giorni nostri2.

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L’affresco su cui in primis si disquisirà è quello che raffigura i due filosofi greci Democrito ed Eraclito. Il tema di Democrito ridente ed Eraclito piangente sulla condizione degli uomini è stato proposto fin dall’antichità; il primo personaggio di rilievo a parlarne è Orazio mentre Seneca nel De Tranquillitate Animi affronta approfonditamente il problema dei due filosofi che, pur reagendo in modo contrario sulla miseria e la stoltezza degli uomini, se ne facevano comunque partecipi. Nel periodo rinascimentale Ficino riprende il tema caricando i due personaggi di un melanconico distacco dal volgo disprezzabile. In una lettera a Pietro Vanni scrive:

Vidistis pictam in gymnasio meo mundi sphaeram et hinc atque illinc Democritum et Heraclitum, alterum quidem ridentem,alterum vero flentem.Quidnam ridet Democritus?Quod luget Heraclitus,vulgus videlicet, animal monstruosum insanum et miserabile” 3

[Nella mia Accademia vedeste dipinta la sfera terrestre con Democrito ed Eraclito da una parte e dall’altra; l’uno ride,l’altro piange. Di che riderà mai Democrito? Della stessa cosa che fa piangere Eraclito: del volgo,animale mostruoso, folle e miserabile.]

Ficino aveva fatto affrescare nella sua sede conviviale di Careggi l’immagine dei due pensatori nell’atto di ridere e piangere, ma secondo il dettato neoplatonico, considerava il problema a lui completamente estraneo. Nei secoli successivi il tema di Democrito e Eraclito è stato a più riprese rivisitato da filosofi e pittori con una netta predilezione per il riso di Democrito rispetto al pianto di Eraclito. E’ degno di nota il fatto che anche il primo Leopardi abbia prediletto l’atteggiamento del riso, in un sentire noncurante della condizione umana che ne accomuna il pensiero al neoplatonismo, come è stato opportunamente proposto negli ultimi tempi dalla critica4; ma torniamo al ”Democrito ed Eraclito” di Casa Visconti-Panigarola. Lomazzo scrive genericamente che l’affresco era sopra una porta5, mentre da una descrizione del secolo XVIII fatta da Venanzio De Pagave si evince con sufficiente chiarezza che l’affresco era disposto in una stanza, “vicina” a quella dei Baroni6; coniugando i due riferimenti si deduce che l’affresco era sopra una porta che dava accesso alla cosiddetta Camera dei Baroni. Dall’approfondito studio architettonico sul palazzo Visconti operato da Ceriana si evince che la camera dei Baroni aveva da un lato la Camera del Poggiolo e dall’altro la Camera delle Armi7; pertanto l’affresco dei due filosofi era evidentemente posizionato in una delle rispettive porte di accesso alla camera dei Baroni. Anche se individuare quale delle due stanze avesse l’affresco come sovrapporta ha scarsa influenza su quanto mi accingo a sostenere, ritengo tuttavia più probabile che la camera del Poggiolo fosse la sede dell’affresco per quanto segue. Nella Camera del Poggiolo è descritto negli atti lo stemma Visconti per cui, se come abbiamo sostenuto, i personaggi all’interno della Camera dei Baroni erano essenzialmente un riferimento simbolico alla sintesi di vita attiva e vita contemplativa che si realizzava in Gaspare Visconti, sembrerebbe ovvia la collocazione dell’affresco nella camera del Poggiolo. La seconda ragione è che una tale collocazione fu logicamente rispettata nella divisione del palazzo fatta tra eredi nel 1513 come risulta dalla ricostruzione grafica di Ceriana: la Camera del Poggiolo veniva inserita nella stessa parte di divisione della camera dei Baroni, evidentemente anche per non interrompere l’intero ciclo degli affreschi8. Analizzando in dettaglio l’affresco rileviamo che presenta due gruppi di riferimento: i due filosofi con l’interposto mappamondo e al di sopra di essi un fregio sulla cui interpretazione la critica ha molto dibattuto senza trovare una soluzione concordemente condivisa. Il primo problema è l’identificazione di coloro che si celano dietro i due filosofi. Quanto a Democrito sembra evidente che a impersonare il filosofo sia proprio Donato Bramante dato che le sembianze di Democrito coincidono con le raffigurazioni dell’Urbinate realizzate da Bramantino nei disegni per gli arazzi Trivulzio giacenti al Castello Sforzesco (mese di agosto ) e da Raffaello che pose Bramante nei panni di Euclide, nella Scuola di Atene.

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I due ritratti sono stati eseguiti circa quindici anni dopo l’affresco di Palazzo Visconti per cui la calvizie aveva fatto inesorabilmente il suo corso ed inoltre per il raffronto si deve tener conto della maschera in riso di Democrito raffigurata nell’affresco. Se il riconoscimento di Bramante registra un certo consenso generale, più controversa è l’identificazione di Eraclito.

Pedretti aveva proposto che l’effigiato fosse Leonardo, l’amico del cuore di Bramante. In effetti il raffronto con l’autoritratto di Torino e con l’uomo di Vitruvio (autoritratto esso stesso) mostra una notevole somiglianza di lineamenti anche in considerazione del fatto che nell’affresco Eraclito è raffigurato in maschera piangente9.

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I libri che hanno di fronte i due personaggi, pur presentando lettere poste insieme senza formar parole, hanno la scrittura a specchio leonardesca dalla parte di Democrito e scrittura comune dalla parte di Eraclito; sembra evidente il messaggio che Leonardo e Bramante stiano leggendo l’uno gli scritti dell’altro. L’identificazione dei personaggi induce a porsi immediatamente una domanda: se può essere giustificata la figura di Bramante che introduceva lo spettatore ai suoi dipinti, come può essere accettata la presenza di Leonardo visitatore-accompagnatore dei dipinti del suo solidale? Non può esser così, anzi v’ è molto da chiarire a riguardo. Pedretti sollevava il problema della paternità di Bramante sull’affresco dei due filosofi sostenendo giustamente che non è nello stile di Bramante, lo sfondo architettonico è diverso dagli altri affreschi, le scritte sui libri sono evidentemente condotte da un mancino e Bramante non lo era, mentre la mano destra di Bramante ha la stessa10 configurazione della mano sinistra di Maria nella Annunciazione degli Uffizi attribuita da parte della critica a Leonardo.

fig. 7 fig. 7 fig. 7 fig. 7

Dalai Emiliani rimarcava altresì il ribaltamento delle due figure dell’affresco che comportava una loro visione con impostazione “cinematografica” in 3D11; è la stessa disposizione dell’ara nell’Annunciazione degli Uffizi. E’ forse Leonardo l’autore dell’affresco? Assolutamente no: un’analisi dettagliata porta a tutt’altre conclusioni.

Chastel avanzò la fondata ipotesi che l’autore dell’affresco fatto porre da Ficino sulla porta di accesso dell’ Accademia di Careggi fosse Antonio del Pollaiolo12. Conforta l’ipotesi di Chastel una lettera che il filosofo scrisse a Pietro Molin dopo il 9 maggio 1482:

Antonius noster pictor et scultor insignis, cum hesterno vesperi me meosque familiare in foro tuo nomine salutaret, ita tuos nostris vultibus pinxit vultus ita tuos affectibus nostris insculpsit affectus, ut non tam tuae nobis ab illo narrari salutes quam a te ipso coram agi perspicue viderentur. Itaque assurreximus omnes subito neque Florentinum Antonium ulterius, sed ipsum Molinum tam praesentem agnovimus, et nudo capite (ut par est) honoravimus. Salve et tu semper doctissime Petre nosque, (ut coepisti) salutari hac praesentia tua salvos frequentissime redde. Tamdiu nos honorandos revera putabimus quadiu ipse vos honoraveris. Tantum et nostra nobis placebit civitas quantum tibi eam placere noverimus. Utinam tibi nostra magis in dies placeant ut nos ipsi nobis in dies vehementius placeamus, bene vale.

[Il nostro Antonio, pittore e scultore insigne, salutando a tuo nome ieri sera in piazza me ed i miei famigliari, così come dipinse i vostri nei nostri volti, parimenti scolpì i tuoi nei nostri affetti, al punto che essi non parevano più tuoi che nostri.

Il voto di prosperità che egli ci porgeva era come se fosse stato proferito da te alla nostra presenza. Noi tutti allora ci levammo e riconoscemmo la presenza non già di Antonio, ma dello stesso Molin; sicché, come debito, gli prestammo onore a capo scoperto.

Salve a te, come sempre, o dottissimo Pietro, e facci lieti con la tua presenza, dal momento che hai incominciato, il più spesso che puoi. Tanto più degni di onore noi ci considereremo, quanto più tu stesso ci avrai onorato; e tanto più ci compiaceremo di questa nostra città, quanto più sapremo che essa ti piace. L’augurio è che ti piaccia sempre di più, in modo che noi possiamo sempre più ardentemente compiacerci di noi stessi. Addio. 13]

La lettera ci fornisce delle indicazioni molto precise: Pietro Molin, personaggio di grande spessore del mondo politico-culturale veneziano, era stato ambasciatore a Firenze nel 1477 e venne subito inserito da Ficino tra i membri del suo circolo neoplatonico; il rivolgersi al Molin dando del “nostro” ad Antonio, vuol significare che questi faceva parte a pieno titolo degli adepti di quell’ entourage culturale. La lettera, scritta nel 1482, definendo Antonio “pittore e scultore insigne” ne certifica a quella data la sua eccellenza nei due principali settori dell’arte.

Uno stretto legame univa altresì il Pollaiolo alla componente “aristotelica” del movimento neoplatonico, capeggiata da Cristoforo Landino; questi, imparentato tramite sua moglie Lucrezia con Leon Battista Alberti, mette in particolare risalto della filosofia platonica quella parte che più si avvicina al Cristianesimo, contenuta essenzialmente nel Fedro e nel Timeo.

La prova del legame dell’artista fiorentino con Cristoforo Landino la dà Federico di Montefeltro facendo sostituire, nel manoscritto delle Disputationes Camaldulenses a lui donato dall’umanista,il piatto anteriore con una tavoletta su cui era stato dipinto dal Pollaiolo il volto del Duca e il suo proprio14.

fig. 8 

L’analisi di quanto scrive Ficino a proposito di Democrito ed Eraclito rivela un’impostazione del suo affresco sovrapponibile a quella del corrispondente di palazzo Visconti-Panigarola: i due filosofi ai lati della Sphaera Mundi descritta dal filosofo come l’elemento principale del dipinto.

Il neoplatonismo poneva per l’appunto la terra e quindi l’uomo al centro dell’ universo attingendo la sua linfa vitale proprio dalla teoria tolemaica sull’ organizzazione celeste. Guardando la sfera nell’affresco Visconti-Panigarola ci si meraviglia della spettacolare rispondenza con le condizioni geografiche reali: è lo stesso stupore che provava Bartolomeo Facio nel descrivere il Mappamondo di Van Eyck che oltre alla mirabile rispondenza dei luoghi consentiva anche di misurare la distanza tra di essi: 

Eius est Mundi comprehensio orbiculari forma quam Philippo Belgarum Principi pinxit, quo nullum consummatius opus nostra aetate factum putatur, in quo non solum loca, situsque regionum, sed etiam locorum distantiam metiendo dignoscas15.

[E' anche opera sua il progetto di un mappamondo in forma di globo,dipinto per Filippo,principe dei Belgi, di cui ai giorni nostri non c'e' opera piu' perfetta; consente non soltanto di vedere I luoghi e la disposizione delle regioni ma anche di misurare le distanze tra una zona e l’altra.]

Facio non ebbe una visione diretta del Mappamondo ma qualcuno lo ragguagliò approfonditamente in proposito e anche se l’autore materiale documentato del Mappamondo fu Hobit,16 nella progettazione vi fu il coinvolgimento di Van Eyck che per Filippo il Buono non era soltanto un artista di corte ma l’artista di riferimento, investito anche di incarichi politici.

Se, come sosteneva Chastel, l’autore dell’affresco della Villa di Careggi è Antonio del Pollaiolo, l’alter ego di Van Eyck in Italia, sembrerebbe quasi consequenziale che l’artista fiorentino avesse dipinto per Casa Visconti-Panigarola il tanto osannato Mappamondo fiammingo, di cui aveva fatto una prima riproduzione per Ficino. L’arte di Antonio del Pollaiolo in pittura e in scultura costituisce di per se stessa una prova documentale di suoi ripetuti soggiorni in Borgogna dove ebbe modo di vedere il famoso Mappamondo. Nella Giustizia del Tribunale della Mercanzia di Firenze, dipinta da Piero Pollaiolo, è rappresentata la Sphaera Mundi con caratteristiche alquanto simili alla corrispondente dell’affresco di Casa Visconti-Panigarola; è noto che Piero Pollaiolo era intimamente legato al fratello maggiore Antonio e si ispirava ai suoi disegni.

fig. 9 fig. 9

La Sphaera Mundi di Casa Visconti-Panigarola chiude, se mai ve ne fosse stato bisogno, la controversia della critica sulla forma del Mappamondo di Hobit-Van Eyck: si trattava di un globo e non di una riproduzione bidimensionale. Quanto alle affermazioni di Pedretti circa l’ evidente legame tra l’ impostazione della mano sinistra di Democrito e la corrispondente di Maria nell’Annunciazione degli Uffizi abbiamo già espresso pubblicamente il nostro pensiero sulla paternità della tavola che è da attribuire ad Antonio del Pollaiolo; a breve uscirà un dettagliato contributo sull’argomento.

L’analisi del fregio sovrastante i due filosofi conferma la paternità di Antonio del Pollaiolo sull’affresco. Al primo impatto ci si rende conto che si tratta di due scene diverse separate da uno stipite. Nella scena di sinistra un possente personaggio guida un carro trainato da cavalli; la critica vi ha riconosciuto la figura di Saturno mentre nella scena di destra ha identificato in Giove il re assiso in trono. La combinazione Saturno-Giove sembrerebbe inappuntabile sia dal punto di vista mitologico sia dal punto di vista neoplatonico, ma non è corretta perché nella scena di sinistra l’uomo sul carro sta trionfando in terra e non in cielo. La storia ci insegna che Alessandro Magno, vincitore della battaglia di Isso, si impossessò delle donne e del carro di Dario; la scena è verosimilmente rievocata nella parte sinistra del fregio. Sulla destra, al di la dello stipite, si leggono dapprima le due lettere XL e di seguito ad esse si apprezza un re assiso in trono che giudica un colpevole dietro i suggerimenti di un vecchio barbuto. La critica ha interpretato la X e la L come la contrazione di LEX che metterebbe tutto al posto giusto; vi è al contrario un dato che fa inesorabilmente cadere la lettura: la X è posta davanti alla L e quindi la precede; quale può essere allora l’interpretazione delle due lettere che debba coniugarsi con la scena seguente? Il vecchio barbuto suggeritore del re ci aiuta lasciando intendere che sta insegnando a un giovane l’arte del governare: XL deve pertanto essere letto come Xenophontis Liber, la Ciropedia di Senofonte: Cambise insegna a suo figlio come divenire Ciro il Grande, l’ideale del principe saggio e giusto. Ciro deve anche imparare alla perfezione un arte fondamentale per i Re dell’antichità, il cavalcare. Ecco spiegata la presenza dei cavalli nella corte reale; tra l’altro Senofonte scrisse un trattato sull’equitazione.

L’interpretazione di XL come Xenophontis Liber richiama la figura del figlio di Poggio Bracciolini, Jacopo, l’umanista che non volle accettare la supremazia dei Medici a Firenze e aderendo alla congiura dei Pazzi finì impiccato nel 1478. Jacopo condusse una vita dispendiosa sempre intento ad ingraziarsi i potenti offrendo loro doni di gran pregio. Donò a Ferdinando d’Aragona la Ciropedia di Senofonte lussuosamente miniata dopo aver volgarizzato il testo latino di Poggio; donò altresì a Federico di Montefeltro, capitano generale del Re di Napoli, le Historiae Florentini Populi di Poggio sempre dopo averle volgarizzate. Garzelli rilevò nel trionfo di Ferdinando nella Ciropedia riferimenti stilistici ad Antonio del Pollaiolo e parimenti stretti legami con il foglio di guardia delle Historiae Florentini Populi (cod.urb.lat. 491) riconoscendovi la stessa mano esecutrice individuata, anzi non individuata ma attribuita al cosiddetto Maestro di Xenophon-Hamilton17.

fig. 10 fig. 10

Antonio del Pollaiolo ebbe un lungo rapporto con la famiglia Bracciolini: fece il ritratto di Poggio Bracciolini nel palazzo dei Giudici e dei Notai in Firenze. Altrove abbiamo disquisito sull’ identità del Guerriero del Bargello di Antonio del Pollaiolo già identificato da Vaccari con Jacopo Bracciolini18. Il disegno di giovane di Antonio del Pollaiolo oggi giacente alla Galleria Nazionale di Dublino, riproduce Jacopo Bracciolini adolescente, come si evince dal confronto con la scultura del Bargello19. Altrove abbiamo argomentato che il foglio di guardia del codice urbinate latino 491 è stato eseguito da Antonio del Pollaiolo per i solidi legami che ha la veduta di Volterra ivi rappresentata con le vedute a volo di uccello di Firenze, Napoli e Roma, un complesso di opere riconducibili ad un unico esecutore da identificarsi per l’appunto in Antonio del Pollaiolo20. La comunanza stilistica dei cavalieri nel trionfo di Ferdinando della Ciropedia e di Lorenzo dé Medici simbolicamente posto sul cavallo di Federico di Montefeltro nelle Historiae di Poggio, prova che Antonio del Pollaiolo lavorò alla Ciropedia rendendo verosimile il suo richiamo a quello scritto nel fregio di Democrito ed Eraclito21.

Xenophontis Liber è una locuzione frutto di un’elaborazione personale che non ha riscontri letterari ed è pertanto stata scritta da chi era stato giocoforza coinvolto con la Ciropedia, non Bramante pertanto, ma Pollaiolo.

In conclusione Antonio del Pollaiolo è da ritenere l’autore dell’affresco con Democrito ed Eraclito di Casa Visconti-Panigarola, una paternità alla quale daremo, più avanti un ulteriore elemento di prova. Una domanda sorge immediata: perché Antonio del Pollaiolo avrebbe dovuto fare un affresco con i due filosofi nelle sembianze di Leonardo e Bramantesopra una porta che dava accesso alla sala dei cosiddetti Baroni? La risposta è semplice per Bramante ma lo è molto meno per Leonardo. Antonio del Pollaiolo fu il riferimento artistico di Federico di Montefeltro tra il 1472 e il 1482 e verosimilmente in questo periodo trasmise le nozioni di architettura albertiana, ricevute direttamente alla fonte, a Donato Bramante; non si spiega altrimenti la grande introduzione agli insegnamenti di Alberti da parte dell’Urbinate che non ebbe mai rapporti diretti con l’Umanista fiorentino. Il maestro Pollaiolo pertanto con l’affresco dei due filosofi introduceva gli spettatori alle opere del suo allievo; niente di più credibile, ma la raffigurazione di Leonardo come può trovare giustificazione in tale contesto? Leonardo era allievo del Pollaiolo ancor più di Bramante; quale era allora la finalità della sua presenza nell’affresco? E ancora: perché la parte del fregio che si riferisce alle vicende di Alessandro è alquanto più ristretta rispetto alla parte che tratta la Ciropedia ?

La presenza dei due Grandi del passato ha sicuramente un primo significato di ordine filosofico da riferirsi al Visconti. Il connubio di vita attiva e contemplativa che si celebrava in lui, rappresentato per l’appunto nella Camera dei Baroni, aveva una sorta di proscenio sopra la porta di accesso: i due grandi principi-condottieri del passato posti insieme ai due grandi filosofi. L’impostazione dell’affresco suggerisce tuttavia, secondo il costume ficiniano, un secondo significato della combinazione. Alessandro è posto sopra Eraclito impersonato da Leonardo e Ciro sopra Democrito impersonato da Bramante; sembra evidente che il maestro abbia voluto equiparare i suoi grandi allievi ai due grandi dell’antichità; se il maestro introduceva lo spettatore alla sala facendo riferimento ad entrambi gli artisti la presenza di Leonardo non poteva essere passiva anche se limitata visto che nel fregio lo spazio dedicato ad Alessandro è molto minore di quello riservato a Ciro. Dei sette personaggi della Camera dei Baroni l’Uomo dall’Alabarda(sempre che di alabarda si tratti e non del bastone del comando) è stilisticamente e qualitativamente alquanto diverso dagli altri; se confrontiamo la sua capigliatura con quella della Ginevra Benci riscontriamo una sorprendente sovrapponibilità stilistica. Il panneggio dell’uomo dall’alabarda ha altresì un respiro molto più ampio rispetto alle rappresentazioni bramantesche.

fig. 11 fig. 11

Bramante fu un eccelso architetto e un buon pittore; le apparenti fratellanze stilistiche dei sei personaggi con l’uomo dall’alabarda e quella già prospettata tra il volto del Cristo alla colonna con il volto di Eraclito rappresentano lo slancio emulativo dell’Urbinate nei riguardi dei due grandi della pittura.

Quanto sostengo trova importanti conferme nelle Antiquarie Prospectiche Romane, un poemetto in terza rima dantesca della fine del Quattrocento, di cui abbiamo dissertato altrove22

Pedretti, sia direttamente, sia tramite suoi allievi, ha già proposto il nome di Bramante quale possibile autore delle” Antiquarie Prospectiche Romane,Composte per Prospectivo melanese Depinctore23.

Nell’autunno del 1499 Donato Bramante lasciò Milano per trasferirsi definitivamente a Roma; Leonardo, forse intimorito dagli eventi politici e militari che si prospettavano, abbandonò parimenti Milano e si trasferì nello stesso anno prima a Mantova e successivamente a Venezia. Giusto alla fine del 1499, quando già cominciavano i festeggiamenti per l’arrivo del nuovo secolo, uscì a stampa l’incunabolo Antiquarie Prospectiche Romane, un poemetto che ebbe grande risonanza tanto che ne fece copia manoscritta il medico-umanista e cartografo tedesco, Hartmann Schedel, figura chiave della cultura germanica di fine Quattrocento,24; Andrea Fulvio con le sue Antiquaria Urbis del 1513 riprendeva molto da vicino l’impostazione tematica e la novità nel lessico di intitolazione, che in una seconda stesura del 1527 trasformava nel più ortodosso Antiquitates Urbis (Romae)25. L’interesse mostrato da Schedel e Fulvio per un poemetto che veniva declamato nel palazzi del patriziato romano, farebbe automaticamente decadere il giudizio di inconsistenza letteraria; al contrario l’attribuzione a Bramante delle Antiquarie è stata duramente contestata dalla maggior parte della critica perché l’opera non era giudicata qualitativamente all’altezza della raffinata cultura di Bramante. Il giudizio negativo sul poemetto deriva dal fatto che lo stesso non è stato inteso nella sua reale finalità e quindi gran parte delle terzine sono state interpretate erroneamente; a ciò si aggiunga che la stessa intitolazione lascia intendere una precisa volontà di Bramante di rimanere criptico autore dell’opera (melanese Depinctore), per poter esser libero di trasmettere un messaggio, di cui v’era un’urgenza che chiariremo appresso, usando locuzioni popolaresche mescolate ad un linguaggio ermetico di difficile interpretazione, un parlare tra artisti in intimità tra loro che ha disorientato ancor più la critica26.

I dati di maggiore interesse che abbiamo messo in evidenza nel poemetto sono la paternità di Donato Bramante e l’invito a Leonardo affinché si recasse a Roma per onorare la tomba di Antonio del Pollaiolo.

Veniamo alla prova documentale della paternità di Bramante sulle Antiquarie; Alle terzine numero 117-118-119 delle Antiquarie si legge:

Monte cauallo ancor nollo agio scosso

cheui son doi gran dei dicati al fiume

di tal bonta che dire apena el posso

Nudi ambendui in terra cosolumi

vn cocodrillo sopra vncorno copia

sotto al cubito so cargato gume

Che par viua natura et e pur copia

prostratin terra sta che par che sciuoli

chun tal trouarne ci sarebbe inopia.

Il commento dell'edizione Isella-Agosti parafrasa: «Monte Cavallo ancora non l'ho esaurito, perché vi sono due grandi dèi fluviali, di tale bontà che appena riesco a dirlo», ecc.; e così più oltre commenta: «Avviandosi alla conclusione del suo periplo romano, il Prospettivo ritorna al Quirinale (Monte Cavallo), da cui era partito per la celebrazione dei due Dioscuri colossali »; le due sculture ritrovate «rappresentano due divinità fluviali, il Tigri e il Nilo, opere romane della prima metà del sec. II d.C.»27

La lettura Isella-Agosti non è corretta: "scuotere" il Quirinale non può significare senza forzatura "esaurire" la ricerca dei resti archeologici, e meno che mai nel contesto citato del poemetto; ancora, non si capisce perché il "Prospettivo" debba ritornare su materia già trattata.

Le difficoltà identificative della paternità del poemetto si risolvono immediatamente appena si consideri che "Montecavallo" nel testo del poemetto non è già una designazione topografica, ma un nome di persona, che l'autore delle Antiquarie si proponeva di mettere all'opera ("scuotere" per l'appunto), ma senza ancora averlo potuto fare per il riaffiorare delle due grandi statue: il Nilo oggi in Vaticano e il Tevere oggi al Louvre.

Il personaggio non era altri che Antonio (Bregno) da Montecavallo, l'esecutore dei progetti edilizi del Bramante, verosimilmente consanguineo di Andrea Bregno «in Cavallo», che vediamo anch'egli impegnato come «scarpellino» nella costruzione del palazzo del cardinale di San Giorgio (poi della Cancelleria) nel 149828. Così ricorda infatti G. Vasari nella Vita di Bramante, là dove si riferisce «alla risoluzione di gran parte del palazzo di San Giorgio», affidato appunto al Bramante da Raffaele Riario, e situato «vicino a Campo di Fiore, che, quantunque si sia fatto meglio, fu nondimeno per la grandezza sua tenuta comoda e magnifica abitazione: e di questa fabrica fu esecutore un Antonio Montecavallo»29.

fig. 12

Nel proemio del poemetto Bramante, architetto e pittore ma non scultore, costernato per la modestia della tomba in San Pietro in Vincoli che altri aveva preparato per il grande maestro fiorentino e suo fratello, chiede a Leonardo di recarsi a Roma per nobilitarla con la sua arte, scolpendo il busto marmoreo di Antonio: 

Victoria vince et vinci tu victore

vinci colle parole vn proprio Cato

e col disegno di sculpir sigrato

che honor ti porti col ferro pictore.

[Vittoria vince e vinci tu, Vincitore, vinci con la tua eloquenza, un vero Catone, e con il disegno tanto gradevolmente scultoreo che ti fai onore con lo scalpello, tu, Pittore!]

Bramante sta ricordando a Leonardo che il Pollaiolo è stato il suo maestro di disegno, la chiave per la realizzazione dell’opera d’arte; quindi, dopo aver paragonato Leonardo a Prassitele e Scopas, Bramante viene al dunque:

Po che di marmo fa Vinci vn col core

diuino aspecto sopra ognalto intaglio

togliendo delantichi el bon valore

Donde per vinci dire in alto saglio

scriuendo de Romani el bel lauore

per mecter piede ancor nel vostro soglio

ignudo mi ci spoglio

Bagnando lochi con oglio e saliua

perchaidi noi ella palma e luliua.

[Dopo che il Vinci avrà fatto in marmo un uomo talmente perfetto da sembrare vivente, di aspetto divino tanto da superare qualsiasi altra scultura, facendo derivare dagli antichi la grandezza della sua arte, allora io, per celebrare il Vinci, salirò in alto descrivendo le grandi opere dei Romani; ancora, per varcare la tua soglia mi denuderò, bagnandomi gli occhi con l’olio e la saliva, sì che tu sarai devotamente osannato da noi con la palma e l’ulivo. ] 

Si tratta di una richiesta precisa a ché Leonardo faccia il busto in marmo di un personaggio; per questo Bramante è disposto a denudarsi spiegando anche il perché di una richiesta così pressante:

O sommo Apollo o eterna influentia

o machina immortal diuinaspecto

de fami degnio de to sapientia

Tal che fugir di carontel conspecto

possa per me; vilta sial tucto priua

biasimando di mortali el van dilecto. 

Bramante chiede l’aiuto di Apollo perché lo guidi nella stesura del poemetto cosicché il Pollaiolo sia reso immortale per mano sua (sottratto al cospetto di Caronte), giustamente onorato (sial è crasi per sia a el) e risollevato, con l’intervento di Leonardo, dall’ indifferenza in cui era caduto, dopo la morte, nella Roma del periodo di transizione tra il XV e il XVI secolo.

Con quali argomentazioni Bramante cerca di convincere Leonardo a recarsi a Roma per fare il busto marmoreo di Antonio del Pollaiolo da collocarsi sulla sua tomba? Non è questa la sede per disquisire sui progetti fatti a Roma da Antonio del Pollaiolo che Bramante rievoca nel poemetto intervallandoli alla descrizione delle antichità; lo abbiamo in parte anticipato altrove e lo faremo approfonditamente in seguito. Qui vogliamo focalizzare le cinque terzine dedicate alla tomba di Sisto IV, il capolavoro di Antonio del Pollaiolo, che in un poemetto riguardante le reliquie di Roma non hanno alcuna giustificazione se non per l’intento di celebrare di fronte a Leonardo il Maestro e al tempo stesso per ricordare l’affresco che questi fece in onore dei suoi due allievi:

Evi vna tomba di corpo fusario

del quarto di sauona gran pastore

comoue giaque el nimico di dario

Tutte di bronzo e par che sporti infore

ornato di virtu muse e scientia

di laude cinto premio et honore

In somma sta el pastor per excellentia

di tal splendor quale el car phebeo

che par che sie natiuo in so presentia

Praxiteles et scopa ouer perseo

facto nollo hauerebbe lucibello

ouer de andromida el gran tholomeo

Et Anton polli fel proprio modello

per nothomia et ogni neruo et osso

como facto lhauessi praxitello

(Antiquarie Prospectiche Romane, vv. 334-348)

[C’è una tomba di Sisto IV gran Pastore di Savona,fatta tutta in fusione, come quella che accolse Alessandro Magno. E’ un monumento di bronzo dalle sculture tutte sporgenti in fuori, ornato di Virtù,Muse e scienze,cinto di lodi, premi e onori. Alla sommità è posto il Pastore per eccellenza, di tale splendore quale il carro di Febo,tanto che in sua presenza sembra sorgere (Prassitele,Scopas e Perseo non sarebbero stati in grado di farlo) Lucifero o Andromeda,la costellazione scoperta dal grande Tolomeo. E Antonio Pollaiolo ne fece il modello studiando l’anatomia dei muscoli,dei tendini e delle ossa, proprio come l’avrebbe fatto Prassitele”.] 

Le cinque terzine confortano con forza di documento quanto fino ad ora ho sostenuto. Il riferimento ad Alessandro Magno vuol ricordare a Leonardo che nel fregio dell’affresco Visconti-Panigarola il Pollaiolo lo ha avvicinato al grande condottiero del passato; Bramante nomina Alessandro e non Ciro proprio per tenersi in disparte e glorificare unicamente il Vinci. Se il richiamo a Tolomeo e alla costellazione di Adromeda certifica gli studi cosmologici di Antonio del Pollaiolo, la sua fede nella teoria tolemaica, il suo connubio con la filosofia neoplatonica, risulta parimenti evidente che Bramante intende ribadire la paternità dell’artista fiorentino sulla Sphaera Mundi dell’affresco di palazzo Visconti-Panigarola. L’avvicinamento a Prassitele e Scopas evoca infine i due elementi dell’arte di Antonio del Pollaiolo che tanto colpivano Leonardo: la malinconia dei volti nelle opere di Prassitele e l’ introspezione psicologica nelle figure di Scopas.

Di fronte a una richiesta così pressante, fatta dal suo intimo, che addirittura veniva declamata nei palazzi romani Leonardo non potè esimersi dall’esaudirla e secondo i suoi tempi si recò effettivamente a Roma all’inizio del 1501. Il 10 marzo, dopo aver fatto visita alla Villa Adriana di Tivoli; con scrittura tremolante come si verificava nei viaggi in calesse, il maestro o chi per lui annotava il seguente scritto «Laus Deo 1500 (stile fiorentino-stile comune 1501) a dì 10 marzo pagati per questa prima di cambio»30: Leonardo aveva ricevuto una prima tranche di pagamento, tramite una lettera di cambio, per prestazioni fatte a Roma,evidentemente il busto di Antonio tratto dalla maschera funeraria; Leonardo rientrava quindi immediatamente a Firenze. La realizzazione dell’opera fu la scintilla che innestò il concepimento della Gioconda di cui abbiamo dissertato approfonditamente altrove31 e per il quale Lisa Gherardini non fu che l’iniziale modella di riferimento. Gioconda è l’Allegoria della Pittura fatta in onore di Antonio del Pollaiolo. Guardando il busto marmoreo dell’artista fiorentino si comprende perché Gioconda non abbia le sopracciglia; il sorriso malinconico di Gioconda e gli aggiustamenti degli occhi di lei fatti nel tempo da Leonardo non sono da riferirsi al completamento di un ritratto ma alla progressiva celebrazione dei capisaldi pittorici di Antonio del Pollaiolo.

fig. 13

 

Didascalie delle immagini

1) Antonio del Pollaiolo; Democrito ed Eraclito.Pinacoteca di Brera. Milano

2) Leonardo da Vinci: Uomo dall’Alabarda. Pinacoteca di Brera. Milano

3) Donato Bramante; Nobiluomo. Pinacoteca di Brera. Milano

4) Donato Bramante; Uomini di azione e di Speculazione. Pinacoteca di Brera. Milano

5) In successione: Democrito nell’affresco di Democrito ed Eraclito. Pinacoteca di Brera. Milano. Mese di Agosto degli Arazzi Trivulzio. Castello Sforzesco. Milano. Particolare, Su disegno di Bramantino. Arazzo del Mese di Agosto. Castello Sforzesco. Milano. Il Ritratto di Bramante nell’arazzo mostra notevoli somiglianze con Democrito. Raffaello, Scuola di Atene. Vaticano. Roma e, particolare, Bramante nei panni di Euclide.

6) In successione: Il volto di Eraclito nell’affresco di Democrito ed Eraclito. Pinacoteca di Brera. Milano. Autoritratto di Leonardo. Biblioteca Reale di Torino. L’uomo di Vitruvio di Leonardo. Gallerie dell’Accademia. Venezia. I tre volti mostrano considerevoli somiglianze a dispetto delle differenti età. Nelle tre rappresentazioni il soggetto è sempre Leonardo.

7) In successione: Annunciazione degli Uffizi (Firenze) attribuita a Leonardo da parte della Critica. Particolare. Affresco di Democrito ridente ed Eraclito piangente. Pinacoteca di Brera. Milano. Particolare. La mano sinistra di Maria nell’Annunciazione e la mano destra di Democrito, come rilevato da Pedretti, hanno una similare disposizione.

8) Antonio del Pollaiolo, Ritratto del Duca di Urbino ed autoritratto. Codice Urbinate Latino 508 Disputationes Camaldulenses. Piatto Anteriore. Biblioteca Apostolica Vaticana. Roma. Il dipinto testimonia l’intimo legame di Antonio del Pollaiolo con il Neoplatonismo fiorentino e parimenti con il Duca di Urbino che facendosi ritrarre insieme all’artista ne faceva, a tutti gli effetti, un suo cortigiano.

9) In successione: Trionfo di Ferdinando d’Aragona nella Ciropedia di Senofonte. Attribuito al Maestro di Xeonophon-Hamilton.. Kupferstichkabinett. Berlino. Codice Urbinate Latino 491. Volgarizzamento delle Historiae Florentini Populi di Poggio Bracciolini. Biblioteca Apostolica Vaticana. Roma. Nelle due miniature gli uomini a cavallo mostrano evidenti sovrapponibilità stilistiche.

10) In successione: Piero Del Pollaiolo. Giustizia. Tribunale della Mercanzia. Galleria degli Uffizi. Firenze, e particolare. Il mappamondo ricorda quello dell’affresco di Democrito ed Eraclito senza averne la precisione di dettaglio perché Piero del Pollaiolo si ispirava ai disegni del fratello Antonio.

11) In successione: Leonardo da Vinci, Uomo dall’Alabarda. Pinacoteca di Brera. Milano. Leonardo da Vinci. Ginevra Benci. National Gallery of Art. Washington. Il raffronto mette in evidenza la sovrapponibilità stilistica della capigliatura dei due soggetti.

12) Leonardo da Vinci, Busto marmoreo di Antonio del Pollaiolo. Tomba dei fratelli Pollaiolo. San Pietro in Vincoli. Roma

13) Leonardo da Vinci, La Gioconda. Louvre. Parigi

 

Note con rimando automatico al testo 

1 R.V. Schofield, Bramante e Gaspare Visconti.In Arte,committenza e economia a Roma e nelle Corti del Rinascimento.Giulio Einaudi Editore. Torino 1995. Pp.314-315

2 E.Rossetti, Donato Bramante.Uomo dall’Alabarda. In Bramantino. A cura di M. Natale.Skirà. Milano 2014. pp.100-105

3 M. Ficino, Opera Omnia, Lettere, p. 836

4 Giacomo Leopardi a Pietro Giordani 18 giugno 1821:
“Ma dimmi, non potresti tu di Eraclito convertirti in Democrito? La qual cosa va pure accadendo a me che la stimavo impossibilissima. Vero è che la disperazionesi finge sorridente. Ma il riso intorno agli uomini e alle mie disgrazie,al quale io mi vengo accostumando, quantunque non derivi dalla speranza, non viene però dal dolore,ma piuttosto dalla noncuranza, ch’è l’ultimo rifugio degl’infelici soggiogati dalla necessità con lo spogliarli non del coraggio del combatterla,ma dell’ultima speranza di poterla vincere,cioè la speranza della morte”. Epistolario.N°139.p.170

5 G. P. Lomazzo, Trattato dell’arte della pittura della scoltura et architettura. 1584. p.335

6 V. De Pagave, Dialogo fra un forestiere ed un pittore che si incontrano nella Basilica di S. Francesco in Milano. Biblioteca d’Arte di Milano ms.,sec.XVIII. III. ff.478-480

7 M. Ceriana, E. Rossetti, I ”Baroni” per Gaspare Ambrogio Visconti. In: Bramante a Milano, Le arti in Lombardia 1477-1499. Skirà. 2015. pp. 56-70

8 I ”Baroni” per Gaspare Ambrogio Visconti. Cit. p. 61

9 C. Pedretti,The Sforza Sepulchre. In: Gazette des Beaux Arts. Aprile 1977. p.125

10 C. Pedretti, Leonardo Architetto. Cit. pp.96-99

11 M. Dalai Emiliani, Donato Bramante: Gli uomini d’arme. A cura di G. Mulazzani. Firenze. Centro D. 1977. pp. 12-19

12 A. Chastel, Art e Humanisme a Florence au temps de Laurent le Magnifique. Paris. Puf. 1982 p.249 n. 1

13 M. Ficino, Opera Omnia, Lettere, p. 856. (Traduzione dell’autore)

14 Il confronto di colui che è di fronte a Federico di Montefeltro con il busto marmoreo di Antonio del Pollaiolo (figura 12) rende inconfutabile che i due volti appartengano alla stessa persona.

15 B. Facio, De Viris Illustribus Liber. Ed. Lorenzo Mehus. Firenze 1745 pp.46-47

16 J.Paviot, La Mappemonde attribuéea Jan Van Eyck: une pièce à retirer du catalgue de son oeuvre. In Revue des archéologues et Historiens d’art de Louvain.24.1991Paviot pp.57-62

17 A. Garzelli, A. De La Mare, Miniatura fiorentina del Quattrocento; 1440-1525. Un primo censimento. Scandicci 1985. Vol. I. pp. 157-162

18 La identificazione del guerriero del Bargello con Jacopo Bracciolini è già stata proposta da Vaccari in: Pollaiolo e Verrocchio? Due ritratti fiorentini del Quattrocento, Museo Nazionale del Bargello, Firenze 2001, pp. 46-47.

19 Cfr. in “Fogli e Parole d'Arte”,I ritratti di Dama dei Pollaiolo. In: Rinascimento Oggi

20 M. Giontella, R. Fubini, Antonio del Pollaiolo: i rapporti con la famiglia Bracciolini.i manoscritti e le vedute a volo d’uccello. In: Atti e Studi. Accademia Raffaello. II. 2008. pp. 17-38

21 L’aspetto giovanile del Cavaliere nel codice 491 è stato interpretato da alcuni come una celebrazione idealizzata di Federico di Montefeltro. L’ipotesi è da escludere perché un dipinto di ispirazione fiamminga di così intense caratteristiche veriste non poteva contenere idealizzazioni. Si tratta di Lorenzo dé Medici sul cavallo di Federico di Montefeltro per focalizzare le rispettive prerogative politiche e militari nell’impresa di Volterra.

22 M. Giontella, R. Fubini, L’uomo con il compasso e con la sfera, Note sulla recente edizione delle Antiquarie Prospettiche Romane attribuite a Bramante, Disp. II, «Archivio Storico Italiano» 2006; M. Giontella, R. Fubini, Ancora sulle “Antiquarie Prospettiche Romane”, Disp. III, «Archivio Storico Italiano», 2006.

23 C. Pedretti, A Poem to Sculpture, in: Achademia Leonardi Vinci, II, 1989, pp. 11-39. D. D. Fienga, The Antiquarie Prospectiche Romane Composte per Prospettivo Melanese Depictore. A ducument for the study of the relationship between Bramante and Leonardio da Vinci, PH-D, University of California, 1970, D. D. Fienga, Bramante autore delle Antiquarie Prospectiche Romane, in: Studi Bramanteschi, atti del convegno internazionale Milano-Urbino-Roma (1970), Roma, De Luca, 1974, pp. 417-426. I due incunaboli originali delle Antiquarie Prospectiche Romane sono rispettivamente locati alla Biblioteca Casanatense di Roma e alla Biblioteca della Fondazione Cini di Venezia.

24 Hartmann Schedel nacque a Norimberga il 13 febbraio del 1440. Fece in gioventù dapprima studi artistici e giuridici. Successivamente, seguendo i consigli dello zio medico, si iscrisse alla facoltà di Medicina, laureandosi nel 1466. Esercitò la professione medica a Nordlingen e ad Amberg. La vasta cultura che aveva accumulato tramite lo zio in Augusta, gli consentì di dedicarsi alla storiografia umanistica scrivendo opere di importanza capitale come il Liber Cronicarum del 1493 che ancora oggi è un punto di riferimento per la storiografia tedesca. Del 1495 è il Liber de Antiquitatibus, un’opera di indirizzo antiquario in cui si presta molta attenzione alla epigrafia. Schedel prestò sempre grande interesse e dedizione alla cartografia. (Hartmann Schedel (1440-1514) e il suo Liber de antiquitatibus: Francesca Parisi, Università cattolica del Sacro Cuore, Milano 2000).

25 Andrea Fulvio nacque a Palestrina intorno al 1470. Trasferitosi a Roma entrò in contatto con i circoli umanistici dai quali ricevette slancio a cimentarsi con raffinatezza in poesia e prosa latina. Fu allievo diletto di Pomponio Leto che gli trasmise la passione per gli studi archeologici. Non ricco, si manteneva insegnando grammatica e lettere latine. Nel periodo 1512-13 scrisse il poemetto in esametri latini Antiquaria Urbis (Romae) che nel titolo e nei contenuti si ispirava alle Antiquarie di Bramante. Nel 1517 pubblicava Illustrium Immagines, opera di numismatica. Nel 1527 realizzava un nuovo scritto sulle antichità romane, questa volta in prosa, dal titolo Antiquitates Urbis (Romae) che fu tradotto in italiano da Paolo Del Rosso nel 1543. (Andrea Fulvio erudito, antiquario e classicista / Massimo Ceresa. In: Roma nella svolta tra Quattro e Cinquecento, Roma, De Luca, 2004. pp. 143-149).

26 In altro scritto sui rebus leonardeschi, presente nello stesso sito, abbiamo messo in evidenza i messaggi criptati che già negli anni ’80 Leonardo e Bramante si scambiavano; in quel caso mittente era Leonardo. Antonio del Pollaiolo Maestro di Leonardo e di Bramante. In Rinascimento Oggi. Fogli e Parole d’Arte

27 ANTIQUARIEPROSPETICHE ROMANE. a cura di Giovanni Agosti e DanteIsella.p.123

28 Cfr. E. Bentivoglio, Nel cantiere del palazzo del card. Raffaele Riario (La Cancelleria). Organizzazione, materiali, maestranze, personaggi, «Quaderni dell'Istituto di Storia dell'Architettura», Università degli Studi di Roma, La Sapienza, fasc. 169-174 1982, pp. 27-34, qui p. 31.

29  Cfr. G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori scultori e architetti (edizione del 1567), Milano, Edizioni per il Club del Libro, vol. III, 1963, p. 463; e anche S. VALTIERl, La fabbnca del palazzo del cardinale Raffaele Riario (La Cancelleria), «Quaderni delI'Istituto di Storia dell'Architettura» cit., pp. 3-25, qui pp. 17, 19.

30 Codice Atlantico, foglio 618v.

31 M.Giontella, R. Fubini. La Gioconda di Leonardo. Il divenire esterno ed interno di un ritratto. In: Atti e Memorie della Accademia Toscana di Scienze e Lettere, la Colombaria, Firenze. Olskhi 2012 (2013). pp. 235-264