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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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La Bella Principessa, ovvero la Bella Duchessa

 

Fig. 1 

La storia del foglio di pergamena con il ritratto, del secolo XV°, di un’adolescente appartenente alla famiglia degli Sforza (Fig. 1) è ormai da tempo su tutti i media, come la dura polemica tra coloro che la giudicano autentica, di grande qualità e di mano di Leonardo1 e coloro per i quali non si tratta di Leonardo ma di un falso ottocentesco. A mio avviso entrambi i punti di vista hanno alcune motivazioni condivisibili ed altre non condivisibili: il dipinto è sicuramente autentico e di eccelsa qualità, ma non rientra nelle opere di Leonardo né del suo circolo artistico milanese, quantunque ci siano legami molto stretti tra l’autore e il Vinci. Non mi soffermo sulla storia del ritrovamento del foglio di pergamena dipinta perché ormai narrata dai media innumerevoli volte; ricordo soltanto che il foglio faceva parte di un incunabolo locato alla Biblioteca Nazionale Narodowa di Varsavia, celebrativo della vita e delle gesta di Francesco Sforza Duca di Milano; il testo era stato scritto in latino negli anni ’50 da Giovanni Simonetta e fu poi stampato nel volgarizzamento di Cristoforo Landino,dopo la morte di Gian Galeazzo Sforza tra la fine del 1494 e il 1495; miniatore dell’Incipit fu Giovanni Pietro Birago2 (Fig 2).

Fig. 2

Nello stesso periodo furono dati alle stampe tre altri incunaboli della Sforziade, quando Gian Galeazzo era ancora vivente, miniati sempre dal Birago, oggi giacenti a Parigi (Biblioteca Nazionale di Francia), a Londra (British Library) e in forma di frammenti a Firenze (Galleria degli Uffizi). Coloro che individuarono con grande perspicacia il volume nella biblioteca di Varsavia, da cui il foglio con il ritratto della fanciulla era stato staccato, hanno elaborato uno studio accuratissimo sul dipinto, servendosi delle tecniche più avanzate ma, a mio avviso, non hanno fatto altrettanto sul volume in cui era originariamente inserito; la corretta lettura dell’incipit è per l’appunto la chiave per il riconoscimento della fanciulla e dell’autore del dipinto. Riassumo di seguito ciò che ci unisce e ciò che ci divide da chi ha proposto con forza la grande qualità, l’autenticità e la paternità di Leonardo sul dipinto.
L’elemento principale del volume è senza ombra di dubbio il foglio con il ritratto dell’adolescente che non avrebbe altrimenti alcuna giustificazione all’essere stato inserito in un incunabolo celebrativo di Francesco Sforza. In base a tale convincimento si è riconosciuto nella Bella Principessa Bianca Giovanna Sforza, figlia naturale di Ludovico il Moro e di Bernardina de Curradis, andata sposa a Galeazzo Sanseverino nel 1496. L’identificazione metterebbe tutte le pedine al loro posto: l’incunabolo altro non sarebbe che l’esaltazione di Francesco Sforza e della sua discendenza legata con vincolo matrimoniale alla casata Sanseverino, tra l’altro già imparentata con gli Sforza medesimi( Roberto Sanseverino era figlio della sorella di Francesco Sforza). Vedremo,al contrario, che non è così ed anzi quel volto di splendida fattura di tutti può essere il ritratto fuorché di Bianca Giovanna Sforza.
Il dipinto mostra un’adolescente, ritratta forse con lineamenti più adulti della sua reale età proprio in funzione di un suo futuro congiungimento nuziale; la prima notazione critica riguarda la disposizione della fanciulla, rivolta alla sinistra dell’osservatore, un’impostazione difficilmente conciliabile con un volume del Quattrocento. Un personaggio dipinto contemporaneamente al volume veniva rivolto verso lo svolgimento dello scritto e non in senso retrogrado, tanto più che nel foglio seguente c’è l’Incipit con la raffigurazione di Francesco Sforza cui l’adolescente non poteva volger le spalle per guardare il foglio precedente. Ne consegue che il dipinto non è coevo all’incunabolo nel quale è stato sicuramente inserito, come dimostrano le corrispondenze dei fori del foglio ma al tempo stesso la disposizione della ritratta è prova di autenticità poiché un falso ottocentesco da disporsi in un volume o per simularne l’appartenenza sarebbe stato realizzato con il soggetto rivolto nel senso dello svolgimento dello scritto.
Turner ha correttamente sostenuto che lo stile del dipinto è fiorentino e l’abito indossato dalla fanciulla è da ritenersi proveniente dall’Italia centrale secondo la moda di inizio anni ’80 del Quattrocento; viene pertanto motivatamente confermata l’anteriorità del dipinto rispetto all’incunabolo3.
L’Incipit dell’incunabolo ci consente di riconoscere l’adolescente ritratta; a questo fine un sintetico richiamo storico è ineludibile. Nel 1476 veniva assassinato il Duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, figlio di Francesco; data la giovane età dell’erede Gian Galeazzo, il potere fu assunto dalla Duchessa Bona di Savoia che ne delegò la conduzione a Cicco Simonetta. Gli altri figli di Francesco Sforza dapprima esiliati riuscirono in seguito a rientrare a Milano; Ludovico il Moro,una volta a Milano, prese il potere riuscendo progressivamente a rompere il legame tra Bona e Simonetta che venne decapitato. Gian Galeazzo crebbe in uno stato di mal celata prigionia pur essendo il legittimo Duca fin tanto che nell’ottobre del 1494 morì di oscuro morbo, forse avvelenato. Ludovico si fece immantinente nominare Duca di Milano dall’Imperatore Massimiliano d’Asburgo dandogli in sposa sua nipote Bianca Maria, che portava in dote trecentomila ducati. L’antefatto storico è determinante per comprendere il senso assolutamente ostile della Sforziade di Varsavia nei riguardi di Ludovico il Moro, che essendo ormai Duca poteva essere attaccato soltanto in forma rigorosamente criptata. Horodisky per primo dette un’accurata lettura dell’incipit della Sforziade rilevandovi, in alcune parti, il contenuto celatamente ostile al Moro4; di contro le interpretazioni successive vi focalizzarono caratteri celebrativi per gli sponsali tra Galeazzo Sanseverino e Bianca Sforza , fermando l’indagine su quanto appariva a prima vista.
Fig. 3
Procediamo pertanto nella lettura del messaggio insito nell’incipit, definendo in primis la personalità dell’esecutore, Giovanni Pietro Birago ; l’uomo era stato al servizio di Bona di Savoia (si conserva al British Museum un Libro d’Ore, miniato dal Birago per la Duchessa) e quindi pur lavorando assiduamente per il Moro aveva legami di lunga data con la fazione a lui avversa; un ambiguo comportamento che ufficialmente osannava il Moro e celatamente lo accusava di usurpazione del potere, è pertanto pienamente giustificato. 
Nell’incipit della Sforziade di Varsavia primeggia la figura di Francesco Sforza , al di sopra di lui ,al centro l’impresa del levriero bianco cui lo Sforza era molto legato. Nell’angolo in alto a sinistra della miniatura si osserva uno scudo spezzato in due frammenti su cui sono disposte rispettivamente la G e la Z che unite formavano le iniziali GZ, con cui si firmava Gian Galeazzo: è l’annuncio della sua morte (Fig. 3). 
 

Fig. 4 Fig. 4

Al di sotto si intravede una variante del Capitergium, l’impresa viscontea-sforzesca rappresentata da un panno avvolto intorno a un volto e annodato sotto il mento. Nella raffigurazione dell’incipit della Sforziade di Varsavia il panno assume le caratteristiche di un laccio con nodo a formare un cappio: è l’annuncio che Gian Galeazzo è stato assassinato (Fig. 4) . Più in basso l’impresa sforzesca del Buratto (setaccio) realizzata secondo i dettami araldici con il panno bianco da cui scende farina a voler significare che di quell’emblema Gian Galeazzo e la sua discendenza erano i legittimi depositari; vedremo che il buratto sull’altro lato della miniatura è di colore scuro proprio per testimoniare un’usurpazione (Fig 5). Nell’angolo di fondo a sinistra si osserva una corazza da donna con stelline; è la consorte di Gian Galeazzo, Isabella d’Aragona che proclama: “ Gian Galeazzo è stato ucciso pur essendo il legittimo duca di Milano ma io sono la Ducissa tutrice del legittimo erede Francesco” (Fig. 6): La consorte di Gian Galeazzo si firmava abitualmente nella corrispondenza come segue “Isabella de Aragona Sforcia, duchissa Mediolani unicha ne la desgracia”. 

.

Fig. 5   Fig. 6  Fig. 7

In alto sulla parte destra della minitura si rilevano un pellicano e una colomba; il pellicano nel Quattrocento raffigurava simbolicamente il sacrificio di Cristo e quindi più in generale il sacrificio (Fig. 7). La colomba era una delle imprese viscontee assunte con grande dedizione da Galeazzo Maria Sforza e da suo figlio Gian Galeazzo.
La presenza dei due volatili è da interpretare come l’intitolazione degli eventi e delle responsabilità che l’incipit vuole rievocare: “Il sacrificio di Gian Galeazzo Sforza”; la colombina dei Visconti-Sforza aveva il motto “A bon droit” quasi a voler rivendicare la titolarità della giurisdizione sul ducato di Milano per Gian Galeazzo morto di morte violenta. Al di sotto dei due volatili si nota un stemma da riferirsi ai Sanseverino dopo che Roberto,il grande capitano di ventura del secolo xv°, ebbe dal Re di Napoli il privilegio di fregiarsi dei pali aragonesi (Fig. 8); il nuovo stemma di Roberto si riscontra nella sua lapide funeraria ancora giacente nel Duomo di Trento anche se le spoglie del condottiero sono state traslate altrove.

Fig. 8  Fig. 8  Fig. 8

Quello che immediatamente salta agli occhi nella miniatura del Birago è il campo dello stemma che non è argento come di regola per il casato Sanseverino ma oro,tanto che alcuni vi negano il riconoscimento dei Sanseverino; In effetti lo stemma di Roberto, presente nell’incunabolo della Divina Commedia (PD XVII) oggi giacente presso la casa di Dante in Roma, è di colore argento, ma ci sono delle motivazioni incontestabili che confermano l’appartenenza ai Sanseverino dell’emblema disposto nella Sforziade di Varsavia. Al Museo Poldi Pezzoli di Milano è conservato un San Giovanni Battista di Andrea Solario; sul retro della tavola è dipinto lo stemma del Cardinale Federico Sanseverino, figlio ultragenito di Roberto Sanseverino ( la presenza, al di sopra dello scudo, del cappello cardinalizio e della croce non consente ipotesi alternative). Il campo di suddetto stemma è anch’esso oro; potendosi escludere un errore di colore sia perché il Birago era un miniatore di emblemi per il Moro sia perché quello stemma significava l’identità del proprietario o del committente del dipinto, si deve dedurre che Galeazzo Sanseverino e Federico Sanseverino, entrambi figli ultrageniti di Roberto ma di madri diverse disposero una brisura5 allo stemma del loro Casato variando il colore del campo da argento in oro. Lo stemma dei Sanseverino nella miniatura del Birago, è pertanto un riferimento a Galeazzo Sanseverino ma non in senso celebrativo, come è stato proposto per l’effetto di primo impatto che ad esso volle dare il Birago, quanto piuttosto nel suo recondito significato di atto di accusa per le responsabilità della morte di Gian Galeazzo Sforza. Se scendiamo lungo la colonna di destra osserviamo sotto lo scudo dei Sanseverino gli anelli degli Sforza che testimoniano il legame di parentela che si era istaurato tra i due casati. Sotto ancora si notano due scudi con le iniziali GZ di cui fecero uso sia Galeazzo Maria sia Gian Galeazzo ,accompagnate dall’omega con la quale si vuol addossare la morte di quest’ultimo all’intervento diretto o indiretto di Galeazzo Sanseverino ma si vuole anche richiamare la morte violenta del duca Galeazzo Maria Sforza (Fig.9).

Fig. 9   Fig. 10   Fig. 11

Al di sotto degli scudi viene rievocato il mito di Giasone dai due fanciulli che indossano un vello d’oro. Giasone (Gian Galeazzo) riesce a prendere il vello d’oro (divenire Duca), ma la sua vita è segnata. Pelia (Ludovico il Moro), dopo aver ucciso suo fratello Esone ( Galeazzo Maria Sforza), padre di Giasone (Gian Galeazzo) da usurpatore si impadronisce del potere (Fig.10). Il Moro in effetti fu ritenuto uno dei responsabili della congiura del ’76 contro Galeazzo Maria. Sullo scudo sorretto dai due fanciulli che indossano il vello d’oro è presente l’impresa sforzesca del buratto che abitualmente veniva accompagnata dal motto” Tal a ti qual a mi”. Come abbiamo veduto il colore scuro si contrappone in modo evidente al buratto bianco presente nell’altro lato della miniatura; dal buratto scuro scende una pioggia d’oro: sono i trecento mila ducati pagati dal Moro all’Imperatore Massimiliano,ufficialmente come dote di Bianca Maria, ma in realtà dati per comprarsi il ducato cui furono aggiunti ulteriori cento mila ducati per l’investitura; il fondo rosso dello scudo su cui è posto il buratto lascia intendere che il Moro, per ” l’acquisto” del ducato era passato sul sangue di Gian Galeazzo.
Scendendo ancora nell’incipit si osserva il Moro al timone di una nave nera senza più Gian Galeazzo che invece è davanti a lui su una nave color legno naturale nell’incipit dell’incunabolo di Parigi (Fig. 11). La nave nera è inserita nell’impresa sforzesca delle onde montanti; sembra evidente il messaggio: il Moro si è liberato di Gian Galeazzo ma il suo futuro sarà tempesta; la storia confermerà pienamente la tanto lungimirante quanto malefica profezia del Birago.
Nella parte bassa dell’incipit Gian Galeazzo dal sarcofago dove riposa, in guisa di epitaffio come usavano gli antichi poeti, si rivolge ai suoi aventi causa esortandoli a riprodursi perché continui la stirpe cui compete la giurisdizione del ducato di Milano:” Delegi vos ut fructiferi sitis et fructus vr maneat“ (Fig.12)

Fig. 12

Sopra la tomba del legittimo duca siede nudo il Moro,  nelle sembianze di un infante, ma non si tratta di uno scherno come proposto dalla comune accezione; l’aver dipinto il neoduca senz’abiti aveva la finalità di immortalarlo come usurpatore del privilegio senza che ne avesse titoli. Il messaggio diviene chiarissimo: se si guarda in alto sulla stessa linea del sarcofago si trova l’impresa del Levriero cui Francesco Sforza era molto legato, perché celebrava l’inizio della dinastia ducale degli Sforza;la linea di congiunzione tra il levriero e il legittimo duca Gian Galeazzo assassinato era interrotta dalla presenza dell’usurpatore indebitamente assiso sul sarcofago. Intorno al duca-infante è disposto in circolo un gruppo di adulatori con i corpi da putti e le teste da adulti; tra di essi si riconoscono all’estrema sinistra la figlia del Moro, dello stesso colorito del padre, al braccio del futuro marito Galeazzo Sanseverino; questi proferisce le seguenti parole ”Redemisti nos memento quod sumus tui Domine“; la frase, ispirata ad una Antifona Gregoriana (Redemisti nos Domine Deus in sanguine tuo), è una confessione di colpa e un’offerta dell’anima a Dio; la testa di Bianca Giovanna Sforza piegata sulla spalla vuole esternare la disperazione della figlia del Moro per ciò che è stato fatto. La scritta esclude qualsivoglia intento giocoso o caricaturale nella miniatura del Birago; i personaggi sono rappresentati come infanti unicamente per criptare il drammatico e violento atto d’accusa al Moro, a Galeazzo Sanseverino e a Bianca Giovanna Sforza. Altri personaggi adulatori sono ben identificabili a sinistra, l’arcivescovo di Milano Arcimboldi, con la chierica, che implora la porpora cardinalizia, simboleggiata per l’appunto dal cappello da porporato tenuto in mano dal Moro; sulla destra si riconosce Caterina Sforza, molto legata allo zio Ludovico, con la spada che fa da riferimento alla sua indole bellicosa. Gli altri personaggi cortigiani non sono chiaramente riconoscibili, ma risultano ininfluenti per le mie considerazioni.

 

CONCLUSIONI

Turner collocando motivatamente la realizzazione dell’opera agli inizi degli anni ’80 rigetta il riconoscimento di Bianca Giovanna Sforza nata per l’appunto nel 1482; a maggior ragione se l’incunabolo è di fatto una violenta accusa di usurpazione del potere mossa a Ludovico il Moro, diviene improponibile il riconoscimento di sua figlia Bianca Giovanna quale ritratta del foglio che precede l’incipit. Sono escluse altresì Bianca Maria Sforza e Caterina Sforza entrambe legate a Ludovico il Moro.

La committente dell’incunabolo di Varsavia è per quanto detto la duchessa Isabella d’Aragona Sforza; chi è allora la fanciulla dell’incunabolo? Tornando a quanto abbiamo sostenuto circa la necessità che tutto avrebbe dovuto essere criptato nell’accusa contro il potente usurpatore, la fanciulla non può che essere la committente dell’incunabolo, Isabella stessa ritratta nella prima adolescenza, promessa sposa di Gian Galeazzo Sforza già a due anni di età, vestita in tenera età di cui è prova l’assenza di gioielli, con elementi sforzeschi in previsione del futuro matrimonio con il duca di Milano.
Il riconoscimento può spiegare l’apparente incomprensibile enigma, collocando la realizzazione del ritratto nel periodo 1480-‘81 a Napoli. La capigliatura della fanciulla raccolta in una cuffia a rete, largamente usata alla corte aragonese, che si continua con un coazzone sforzesco e il mantello spagnolo-aragonese chiamato bernia o sbernia, portato “a l’apostolica” su una spalla, formano un “composé” interpretato da parte della critica come un artefatto ottocentesco, ma che al contrario è stato ideato proprio per attestare le generalità della ritratta: il padre era Alfonso d’Aragona e la madre Ippolita Maria Sforza.
L’ interpretazione concorda pienamente con quanto sostiene Turner sull’iconografia del dipinto e allontana le conclusioni di coloro che hanno giudicato l’opera frutto di una contraffazione, ma anche le affermazioni di coloro (Turner è tra questi) che vorrebbero coinvolgere nella sua realizzazione Leonardo o i Leonardeschi. Isabella fanciulla si fece fare a Napoli un ritratto quale futura sposa dello Sforza, ovviamente senza ornamento di gioielli e lo conservò con sé fin tanto che, dopo la morte cruenta del suo sposo, decise di fare includere il dipinto nell’incunabolo con cui lasciava ai posteri la sua immagine di accusatrice dei misfatti di Ludovico il Moro e dei suoi congiunti; con tale riconoscimento tutte le pedine vanno realmente al posto giusto. Il tutto spiega agilmente perché l’incunabolo è locato a Varsavia: Bona Sforza, figlia di Isabella d’Aragona, sposò Sigismondo I° re di Polonia ed evidentemente portò con sé, dono della madre, il prezioso incunabolo. In quale ambito può essere inserita allora la paternità di quel foglio di eccelsa qualità? L’opera è stata realizzata a Napoli nel periodo 1480-’81 da un grande artista fiorentino che sapeva dare una inconfondibile impronta scultorea ai suoi dipinti ed aveva stretti rapporti con Leonardo; in un prossimo contributo, alquanto più complesso, riprenderemo il dibattuto argomento sulla paternità della ”Bella Duchessa”.

 

Didascalie delle immagini

  1. La Bella Duchessa
  2. Incipit della Sforziade giacente alla Biblioteca Nazionale Narodowa di Varsavia
  3. Scudo spezzato in due con le iniziali separate G e Z con le quali si firmava Gian Galeazzo Sforza: La rappresentazione corrisponde all’annuncio della sua morte.
  4. A sinistra. Impresa Sforzesca del Capitergium. A destra. Modifica dell’Impresa nella Miniatura della Sforziade di Varsavia.
  5. Impresa Sforzesca del Buratto : Sforziade di Varsavia
  6. Corazza che vuole simbolicamente far riferimento a Isabella d’Aragona Duchessa di Milano.
  7. Un Pellicano a sinistra e una colombina a destra. Il Sacrificio di Gian Galeazzo
  8. A sinistra. Stemma di Riberto Sanseverino giacente nel Duomo di Trento. Al centro. Stemma di Galeazzo Sanseverino . Sforziade di Varsavia. A destra . Stemma del Cardinale Federico Sanseverino posto sul retro di un dipinto di Andrea Solario raffigurante un San Giovanni Battista. Museo Poldi Pezzoli Milano
  9. Due scudi con le iniziali di Gian Galeazzo Sforza e di suo padre Galeazzo Maria.
  10. Impresa del Buratto di colore scuro, non rispondente alle caratteristiche araldiche, al fine disottolineare l’usurpazione del potere da parte del Moro.
  11. Il Moro è su una nave nera senza Gian Galeazzo Sforza che invece,vivente ,era presente nella nave raffigurata nella Sforziade di Parigi.
  12. Scena in apparenza giocosa e caricaturale che rappresenta,al contrario un’accusa violenta di assassinio e usurpazione del potere per il Moro, Galeazzo Sanseverino e Bianca Giovanna Sforza.

 

Note con rimando automatico al testo

1 M.Kemp; P.Cotte.La Bella Principessa di Leonardo da Vinci. Ritratto di Bianca Sforza. Firenze Mandragora. 2012

2 In Fogli e Parole d'Arte sono presenti due contributi di Carla Glori sulle miniature di Giovanni Pietro Birago inserite in quattro incunaboli della Sforziade. Si tratta di due studi molto approfonditi e in larga parte condivisibili che ho letto con grande attenzione. Le mie conclusioni interpretative sulla Sforziade di Varsavia divergono dalla lettura di Glori, ma nulla tolgono al valore di quella ricerca.

3 N.Turner. Relazione su giovane donna di profilo. In La Principessa perduta di Leonardo. A cura di Pater Silverman.Edizioni Piemme.Milano.2012.Pp.227-239

4 B.Horodyski.Miniarurzyska Sforzow. In Biuletyn Historii Sztuki. 1954. Pp.195-214-
B. Horodyski. Birago miniaturiste des Sforza. In Scriptorium. 10. 1956.Pp 251-255

5 Per brisura si intende la modifica di un blasone ereditato fatta generalmente da un figlio ultragenito. Nel caso di cui ci occupiamo la brisura è consistita nel cambiare il campo (il fondo dello stemma) dal colore argento del casato al colore oro.



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