Angeli e demoni sulla “Battaglia di Ponte Milvio”

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Fig. 1

 

 

 “Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre
”.
Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, canto XIX.

 

 

 

 

La tematica dell’arte ricorre frequentemente in filatelia, se non altro per la vocazione naturale del francobollo ad essere come una sorta di piccolo quadro. Nel settembre dell’anno 2012, in occasione del 1700° anniversario della Battaglia di Ponte Milvio, per un’iniziativa filatelica congiunta Italia-Città del Vaticano, fu emesso un francobollo celebrativo la cui vignetta riproponeva un particolare dell’affresco titolato “La Battaglia di Costantino contro Massenzio”, eseguito da Giulio Romano (con la collaborazione di Giovanni Francesco Penni) nella Sala di Costantino, uno degli ambienti delle Stanze di Raffaello nei Musei Vaticani. L’evento è servito a richiamare l’attenzione dei cittadini su un episodio bellico ritenuto tra i più importanti dell’«era volgare», avvenuto il 28 ottobre dell’anno 312. [Fig. 1]

Chi non ricorda, con un pizzico di scetticismo, il prodigioso episodio dell’incrocio di luci nel cielo con la scritta premonitrice “In hoc signo vinces”,1 apparso in pieno giorno a Costantino proprio alla vigilia del decisivo scontro armato con l’antagonista Massenzio? Alcune fonti riferiscono che l’imperatore cristiano, grazie ad un suggerimento divino a lui pervenuto durante un sogno premonitore, decise di far propri certi segni riferiti al monogramma greco del Cristo (una sorta di “XP” con le lettere sovrapposte) considerandoli di buon auspicio per la sorte dell’imminente battaglia. In realtà sugli scudi e le insegne dei legionari costantiniani figuravano già da tempo simboli riferiti al “Sol Invictus”, una sola divinità associata al Sole che, in vago modo, convergeva con la dottrina filosofica cristiana dell’epoca per la quale Cristo era identificato con il “Sol Iustitiae”.

Fig. 2

Sorvolando sulla “presunta” veridicità di tale testimonianza (si racconta che lo stesso Eusebio, vescovo di Cesarea, autore della Vita Constantini, abbia esitato a lungo prima di considerare attendibile il racconto), la vittoria di Costantino sull’avversario contribuì in modo decisivo all’affermarsi della cristianità in tutto l’Impero romano che, dalla condizione di “Stato-religione” dell’età pagana, passò alla “religione di Stato” dell’età cristiana. Come osserva Butturini: “… aveva Costantino il vantaggio di essere se non il primo imperatore «cristiano», il primo che aveva colto l’importantissima valenza politica di un imperatore non più dominus et deus, ma pur sempre «imperatore per grazia di Dio», tale voluto dalla «Provvidenza divina»”.2 Le abili elaborazioni teologico-politiche di Lattanzio ed Eusebio di Cesarea, consentirono all’autocrate Costantino (Flavio Valerio Aurelio Costantino) di entrare a far parte di una sorta di disegno divino, condizione privilegiata che gli favorì l’appoggio politico e militare del mondo cristiano. Uno strano connubio tra due realtà pressochè incompatibili (potere politico-militare e potere religioso) che si realizza in concomitanza di uno scontro fratricida, in antitesi con gli insegnamenti evangelici quali portatori di un messaggio di pace e fratellanza. Con la Battaglia di Ponte Milvio prende dunque forma un concetto che farà tanto discutere il mondo cattolico e quello laico negli anni a venire: la “guerra giusta”.

Fatta questa breve premessa, possiamo accostarci all’opera d’arte citata in apertura che ben riassume tali atmosfere, proponendone di nuove: la Battaglia di Ponte Milvio di Giulio Romano. Si tratta di un affresco di grandi dimensioni (851 cm x 376 cm) che occupa un’intera parete nella bellissima Sala di Costantino. [Fig. 2]

Tra le varie cose, appunteremo la nostra attenzione su un piccolo particolare che di solito passa inosservato agli occhi dei turisti che giornalmente affollano le Stanze di Raffaello. Chi si occupa di arte sa bene che le figure parlano a chi sa ascoltarle, e raccontano storie. Ascolteremo dunque questa flebile voce, se non altro perché riesce ad emergere dal fragore della battaglia raffigurata di cui fa parte.

Strinati, autorevole storico dell’arte, ci offre l’opportunità di riflettere sulle potenzialità comunicative di un dipinto, non sempre recepite in tutti i loro aspetti: «…l’artista ha la possibilità di costruire un linguaggio che non deve necessariamente spiegare. Un’opera d’arte è sempre un messaggio in bottiglia: si esegue, se ne possono dare spiegazioni, ma c’è sempre un grande margine residuale».3

La cultura figurativa del ‘400 aveva dato ampia rilevanza al tema della battaglia per la sua capacità di saper raccontare, a seconda delle circostanze, l’eroismo del singolo condottiero, di una dinastia o di un’intera comunità. Per Leonardo da Vinci, autore della perduta pittura murale della “Battaglia di Anghiari” (1503) di Palazzo Vecchio a Firenze (riferita ad un episodio bellico del 1440 nel quale i fiorentini sconfissero le truppe milanesi dei Visconti ad Anghiari), la guerra è «pazzia bestialissima».4 L’artista toscano ripudia dunque la guerra anche se, nel cospicuo corpus dei suoi disegni ed appunti, figurano scene di battaglia, suggerimenti militari e studi di terribili macchine belliche che fanno supporre l’esatto contrario. L’apparente contraddizione sembra però venir meno quando l’artista afferma «esser cosa nefandissima il torre la vita all’omo».5

E’ ancora Leonardo a fornire preziose indicazioni su come rappresentare visivamente una battaglia. Nel suo scritto “Modo di raffigurare una battaglia6 suggerisce al pittore di dare ampio risalto ai moti interiori dell’animo: «Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile».7 La sua analisi non trascura neppure l’effetto offuscante della polvere sollevata in aria dai belligeranti: “Farai in prima il fumo dell’artiglieria mischiato infra ll’aria insieme con la polvere mossa dal movimento de’ cavagli e de’ combattitori…” (Ms. A, 111r). [Fig. 3]

Fig. 3

Pur disponendo di un cospicuo patrimonio frutto di esperienze pregresse, affrescare superfici di grandi dimensioni richiedeva al pittore grande abilità, a maggior ragione se si trattava di raffigurare il caotico scenario di una battaglia. Molti erano i parametri da rispettare, come evidenzia Vecce nella sua recente Lettura Vinciana: “…l’illusione spaziale del paesaggio, l’uso della prospettiva, la rappresentazione dell’anatomia e dei movimenti di molteplici figure, l’espressione esteriore delle passioni umane, il senso del movimento, la narrazione dell’evento nella successione delle sue fasi”.8 Tutto sembra calcolato, riconducibile ad un ordine prestabilito, anche se alla fine è il disordine a prevalere. Strinati riassume bene tale concetto: “La battaglia è, in sé e per sé, il luogo del disordine; non è certo il luogo della ragione e dell’ordine perfetto e predisposto. Nasce così, ma poi naturalmente l’esito è l’opposto. La battaglia è un simbolo supremo dell’Umanesimo, perché nasce su presupposti di razionalità, di strategia e di previsione; e poi ha esiti imprevedibili, disordinati, ed è il regno stesso dell’irrazionale, la «pazzia bestialissima», che ha ossessionato la mente di Leonardo per tutta la sua vita”.9

Giulio Romano, degnissimo allievo di Raffaello, nel dipingere la Battaglia di Ponte Milvio (1520-1524) ha sicuramente fatto tesoro di tali suggerimenti. Di sicuro non ha trascurato lo studio dell’antica Roma: lo rivela l’attenzione con la quale ha riprodotto fedelmente armi ed armature (da offesa e da difesa) in uso presso l’esercito romano. Cita Leonardo: “Farà molte sorte d’arme infra i piedi de’ combattitori, come scudi rotti, lancie, spade rotte ed altre simili cose”.10

Tornando all’affresco, lo scenario si sviluppa su vari piani e l’occhio deve vagare a lungo prima di trovare un preciso fulcro visivo. La figura di Costantino spicca al centro della composizione, regalmente seduto in sella al suo cavallo bianco, colto nell’atto di scagliare una lancia contro il nemico in fuga. Il resto della scena viene così descritto dal Caprotti: “Dietro all’imperatore cristiano si distinguono le insegne del potere imperiale e i suonatori di chiarine e olifanti che incitano le truppe alla battaglia. Per metà sommerso nelle acque del Tevere insieme al suo cavallo, Massenzio è rappresentato davanti all’imperatore vittorioso, mentre lo snodarsi del fiume guida l’occhio in profondità, fino al ponte dove si combatte un’altra battaglia”.11 La crudezza dello scontro emerge con incredibile realismo nei combattimenti corpo a corpo tra legionari e non mancano episodi di estrema crudeltà. E’ il caso delle teste mozzate di due uomini di Massenzio, tenute sospese per i capelli ed esibite a Costantino alla stregua di preziosi trofei di guerra. Si racconta che stessa sorte sia toccata allo stesso Massenzio, la cui testa fu staccata dal corpo ripescato nel Tevere e trasportata a Roma per essere mostrata al popolo durante la sfilata trionfale ai Fori imperiali. Non meno toccante è la scena di un cavallo bianco piegato sulle ginocchia perchè colpito al collo da un dardo, con il sangue che gli fuoriesce a fiotti dalla ferita disperdendosi sul terreno. [Figg. 4, 5]

Fig. 4 Fig. 5

La ferocia dipinta sui volti dei guerrieri coinvolti nella mischia richiama alla mente la già citata Battaglia di Anghiari di Leonardo della quale, purtroppo, ci sono pervenute solo sporadiche testimonianze. Una di queste è la “Tavola Doria12 (1503-1505) con la famosa scena della “Lotta con lo stendardo” parte centrale del perduto capolavoro leonardesco. [Fig. 6]

Fig. 6

Dal confronto di questo importante dipinto ad olio con l’affresco di Giulio Romano emergono alcune similitudini. E’ il caso di due scontri corpo a corpo tra soldati: in entrambe le scene l’aggressore viene raffigurato in posizione chinata, con il braccio sinistro proteso in avanti allo scopo di tener ferma la testa dell’avversario ormai sopraffatto; l’altro braccio è piegato ad angolo, a lato del corpo, pronto a scattare in avanti per infliggere al nemico il fatidico colpo di grazia. Cita Leonardo: «…Vedresti alcuno storpiato, caduto in tera e farsi coprituro col suo scudo, e lì ‘l nemico chinato in baso fare forza di dare morte a·cquello...».13 [Figg. 7, 8]

Fig. 7 Fig. 8

Anche gli oggetti disseminati sul terreno in quanto rotti o perduti dai legionari impegnati nella battaglia (spade, scudi, elmi) possono rivelare inattese somiglianze. Segnaliamo un elmo con cresta a forma di drago alato indossato da un guerriero nella Tavola Doria:un elmo di analoghe caratteristiche compare anche nell’altra opera, abbandonato in questo caso sul terreno presso un’insegna legionaria (signa) ancora impugnata da un portainsegne (signifer) ucciso in combattimento. Un’altra casuale coincidenza? [Figg. 9, 10]

Fig. 9 Fig. 10

Planando con lo sguardo sul groviglio dei belligeranti in primo piano, raggiungeremo il cosiddetto “campo lontano” della rappresentazione. La prorompente avanzata delle truppe di Costantino è ancora percepibile in quelle remote prospettive anche se, poco a poco, ogni dettaglio pare sciogliersi in una macchia sfocata. Un susseguirsi ininterrotto di colline color grigio-ceruleo segna infine l’orizzonte, rispondendo fedelmente alle necessità cromatiche dettate dalla tecnica della “prospettiva aerea”.14

Al centro della fascia superiore del dipinto, sotto un cielo cinereo, tre angeli in volo di cui uno armato di spada (principale attributo dell’arcangelo che la usa nella lotta contro i demoni), stanno a sottolineare la natura spirituale della vittoria.

 L’attento osservatore si sarà certamente accorto che nel settore di cielo retrostante gli angeli, compare un addensamento di nubi compatte, grigiastre, simili ai nembi che generano i temporali. Tra queste spicca una nuvola zoomorfa che prende la forma di un leone. Chi segue l’arte rinascimentale sa bene che può capitare di imbattersi in figure antropomorfe celate nel paesaggio. Sarebbe comunque semplicistico, da parte nostra, ricondurre l’insolito elemento iconografico alla sola natura metamorfica delle nubi che, in qualche caso, possono assumere forme fantastiche (spesso di animali). Pare al contempo poco probabile che Giulio Romano abbia avvertito la necessità di riproporre nel suo importante affresco un esempio di questo curioso fenomeno naturale (riconducibile all’ambito della “pareidolia”) di certo estraneo al tema della battaglia. [Fig. 11]

Fig. 11

Da un rigoroso studio di Berra sulla natura antropomorfa e le figure nascoste nell’immaginario artistico rinascimentale, apprendiamo che lo studio delle nuvole dalla forma cangiante ha una lunga tradizione. Un percorso che con il passare del tempo ha coinvolto autorevoli filosofi e scrittori: Aristofane (Le nuvole), Aristotele (De somniis), Plinio il vecchio (Naturalis Historia), Lucrezio (De rerum natura), Alberto Magno (Metheororum), solo per citarne alcuni. Il concetto è stato ripreso a vario titolo nel medioevo ma trova un momento di massimo vigore nell’ambito della cultura rinascimentale. Già il Mantegna nella seconda metà del ‘400 aveva per così dire “giocato” con la forma delle nuvole, realizzando con quest’ultime trasformazioni metamorfiche ben riconoscibili (San Sebastiano, 1460, Vienna, Kuntshistorisches Museum). Lo stesso Leonardo ha ripreso con forza il tema delle figure create dalla natura, argomento che di sicuro esprime un proprio fascino. E’ ancora Berra a riproporre, nella sua attenta disamina, un dialogo contenuto in un testo del 1549 nel quale, un letterato di nome Anton Francesco Doni, esalta la capacità “immaginativa” dell’artista stimolata dalle cose confuse presenti in natura: “A. Quando tu ritrai in pittura una macchia d’un paese, non vi vedi tu dentro spesse volte animali, huomini, teste, et altre fantasticherie. P. Anzi più nelle nuvole ho già veduto animalacci fantastichi et castelli, con popoli et figure infinite et diverse. A. Credi tu che le sieno in quelle nuvole che tu vedi? P. Non mi cred’io. A. O dove sono? P. Nella fantasia et nella mia imaginativa, nel caos del mio cervello”.15

La nitidezza dei caratteri iconografici che contraddistingono la già citata figura leonina, riduce al minimo la possibilità di errori interpretativi. La testa del leone, vista di profilo, risulta leggermente reclinata verso il basso (come se stesse guardando in direzione del Ponte Milvio). Si distinguono chiaramente i tratti del volto leonino con le fauci aperte, il naso, la guancia, la folta criniera, la zampa anteriore destra e buona parte del corpo. Il leone è inoltre orientato nel senso del volo degli angeli che poi, coincide con la direzione verso la quale stanno ripiegando le truppe di Massenzio. [Fig. 12]Fig. 12

Per quanto riguarda i tre angeli, ciascuno di essi punta il dito verso un punto ben preciso dell’ambiente circostante, come a voler indicare i luoghi verso i quali far convergere l’attenzione o indirizzare l’azione dell’intervento divino. Mentre i primi due angeli (a partire da destra per chi osserva) sembrano particolarmente interessati a ciò che accade sul campo di battaglia, il terzo angelo, quello in posizione più arretrata, pare attratto da qualcosa che sta accadendo nel cielo: lo vediamo dunque puntare il dito indice in quella direzione, probabilmente verso la nuvola-leone. Con quel gesto intende forse segnalare la presenza della nube zoomorfa?16 La considera una potenziale minaccia? Una presenza demoniaca da mettere in fuga ricorrendo al braccio armato dell’angelo guerriero? L’aspetto aggressivo conferito al volto del leone lo farebbe supporre. E’ opinione ormai accettata che in ambito simbologico certi animali pericolosi (leoni inclusi) o semplicemente fastidiosi siano interpretabili come simboli del male. Nel nostro caso siamo però in presenza di una nuvola a forma di leone e questo ci invita a riflettere sul reale significato che il particolare zoomorfo può assumere.

Cosa ci dicono ancora le tre alate entità super-umane con la loro attiva presenza? Il messaggio che l’artista vuole trasmettere pare abbastanza chiaro: Costantino sta vincendo grazie all’appoggio divino e chi si mette contro di lui fa una precisa scelta di campo. Considerando che l’esperienza religiosa tiene conto dei principi opposti di “bene” e di “male”, sembrano delinearsi due fronti ben distinti ai quali poter ricondurre il soggetto leonino. Se alcuni elementi suggeriscono un possibile accostamento della nube-leone all’ambito del demoniaco (quanto meno una personificazione soprannaturale di diversa natura rispetto a quella angelica), altri prospettano ipotesi diametralmente opposte. Si dà il caso che i volti nascosti non sempre sono demonici, anzi, nella maggior parte dei casi non lo sono affatto. Questo ci riporta al fatto che la figura leonina che accompagna o precede l’azione degli angeli può essere interpretata anche come figura “positiva”, espressione ulteriore della potenza divina che si materializza allo scopo di infondere forza e coraggio all’azione militare di Costantino. Dovendo necessariamente dare uno sguardo a entrambi i lati della medaglia, possiamo pure porci una domanda: “nel cielo della Battaglia di Ponte Milvio sta accadendo qualcosa che somiglia ad un potenziale scontro tra Angeli e Demoni? [Figg. 13, 14]

Fig. 13 Fig. 14

In ambito iconografico quello del leone “è un motivo tanto antico quanto complesso”.17 Ad esso vengono attribuite molteplici valenze semantiche sia positive che negative (spesso discordanti tra di loro). Tra le prime troviamo riferimenti diretti al Cristo ed altre divinità, tra le seconde prevale la figura del Diavolo. Anche il filosofo Castelli nell’ambito dei suoi attenti studi sul demoniaco nell’Arte indica il leone come simbolo riferito a Satana.18 Presso gli Antichi Egizi esistevano entità negative dotate di attributi animaleschi come il mostro Ammut (destinato a divorare i morti riconosciuti colpevoli nel giudizio dell’oltretomba), raffigurato come un «ibrido di leone-leopardo ed ippopotamo». Durante la Bassa Epoca compaiono «ambigue e mostruose figure demoniche, per lo più in ibride sembianze animalesche: coccodrillo, serpente, leone». La demonologia ellenistica conferisce alle realtà infere «caratteri orridi come animali divoratori (leone, pantera) e figurazioni di sileni spesso con la bocca spalancata». Nel mondo etrusco «…si registra la presenza di entità demoniche contraddistinte da attributi orridi e animaleschi».19

Nel linguaggio cristiano, l’apostolo Pietro paragona il Diavolo a un leone ruggente in cerca di preda: “Fratelli, state sobri e vigilate, perché il vostro nemico, il diavolo, come un leone ruggente, vi circonda cercando chi divorare”.20 Nelle Opere dei demoni del filosofo Michele Psello (1018-1078) si narra che il demone, se vuole, può trasformarsi in una donna, apparire sotto l’aspetto di un leone, di una pantera, o assalire come fa un cinghiale.

E’ comunque difficile farsi un’idea ben precisa sul personaggio più ambiguo della mitologia sacra, come evidenzia Percy Bysshe Shelley nel suo “Saggio sul Diavolo”: “Chi, o cosa è il Diavolo, la sua origine, la sua sede, il suo destino, e i suoi poteri sono materie che disorientano i più acuti teologi e sulle quali nessuna persona bennata può essere indotta a dare una ferma opinione…”.

In verità non è la prima volta che in ambito artistico si deve giustificare la presenza di un demone celato in una nuvola. Ne è riprova quanto accaduto alla medievista Chiara Frugoni che ha scoperto in una nuvola dell’affresco di Giotto (e aiuti) titolato “La morte di San Francesco” (ubicato nella Basilica Superiore ad Assisi) un profilo di volto. La studiosa, nel presentare la scoperta al pubblico, ha dichiarato che il volto da lei osservato è proprio quello di un demone, precisando: «Nella concezione teologica medioevale i diavoli non stanno nell’inferno, stanno sulla terra ed anche nel cielo». Le citazioni riferite ai testi di Bonaventura da Bagnoregio (autore della Vita Francisci) portate dalla Frugoni a sostegno della propria tesi, sembrano argomentazioni piuttosto convincenti. Come però spesso accade, non sono mancate voci discordi che riconducono il presunto volto di demone ad una proiezione di senso dovuta alla macchia del colore, tutt’al più ad uno scherzo di qualche restauratore che si è divertito ad accentuare con qualche pennellata l’inganno visivo originario. In altri casi si ipotizza trattarsi di una falce di luna dalle fattezze umane oppure, una personificazione della nuvola stessa che prende vita per trasportare in cielo l’anima del defunto Francesco.

In un testo di Ceravolo che tratta il tema delle nuvole leggiamo: «Sin dalla demonologia bizantina, l’isomorfismo tra le nubi e i demoni è assunto come un dato scontato, all’interno di una tassonomia che individua i sei generi del demoniaco in Igneo, Aereo, Terrestre, Acqueo, Sotterraneo e Lucifugo».21 Alla luce di tali considerazioni il binomio nuvola-demone sembra dunque prendere consistenza. Ma non è tutto: la credenza che moltitudini di demoni “atmosferici” si aggirino indisturbati nello spazio compreso tra il cielo e la terra è molto antica. Nell’epistola agli Efesini (VI, 12) l’apostolo Paolo fa esplicito riferimento agli spiriti maligni dell’aria dai quali il cristiano deve proteggersi: «Come dichiarano le scritture, il luogo dove si trovano i demoni dopo la caduta fino al giorno del Giudizio non è quel luogo sotterraneo che chiamiamo inferno, ma l’aria nebbiosa nella quale in generale dimora la moltitudine dei demoni…». Concetto che ritroviamo invariato in Tommaso d’Aquino quando afferma che “Iddio ha destinato ai diavoli due sedi, l’inferno per la loro punizione, l’aria per provare gli uomini: «daemones in hoc aere caliginoso sunt ad nostrum exercitium». A queste creature del male, nemiche del genere umano, veniva attribuita la responsabilità delle calamità naturali quali la peste, malattie, carestie, ecc. che ciclicamente colpivano la popolazione; tradizione che si è andata sempre più consolidando nel corso dei secoli, passando per una lunga linea di teologi quali Origene, Ambrogio, Agostino, Cassiano, Tommaso d’Aquino.

Piero Lombardo (XII secolo) precisa che i demoni discendono nell’aria per indurre gli uomini in tentazione. All’epoca si credeva che i demoni fossero puri spiriti fatti di aria, vapore ed altre impurità di natura terrestre, combinazione necessaria per potersi materializzare agli occhi degli uomini. Ecco perché le nuvole tenebrose, a buon titolo, erano considerate una dimora ideale per demoni, spiriti e streghe in vena di prendersi gioco dei destini dell’uomo. Scrive Cassiano: «L’atmosfera è densamente affollata da tanti spiriti, fra cielo e terra, ed essi non sono tranquilli né oziosi, così che è provvidenziale che la divina provvidenza li abbia nascosti e sottratti agli occhi degli uomini». Forse le nuvole sono state associate ai fenomeni demoniaci proprio per il loro spiccato carattere metamorfico, proprio come accade al polimorfico corpo dei demoni che può assumere molteplici sembianze.

Come già accennato, non sempre l’immagine del leone è riconducibile all’ambito del demoniaco. Talvolta viene interpretata come «indiscusso attributo dell’allegoria dell’Africa nella rappresentazione dei quattro continenti»22 (nel nostro caso un possibile riferimento trasversale a Massenzio quale imperatore d’Italia e dell’Africa). Il termine “leone” ci ricorda anche il nome di Papa Leone X (al secolo Giovanni de’ Medici, secondo figlio di Lorenzo il Magnifico), committente dell’opera qui esaminata. Che dire poi di Papa Leone Magno che nell’anno 452 fermò Attila (re degli Unni) nei pressi del fiume Mincio? Come accaduto per la Battaglia di Ponte Milvio, la propaganda cristiana non ha mancato di caratterizzare l’episodio introducendo un evento miracoloso: l’apparizione nel cielo di un vecchio in abiti sacerdotali che terrorizza le schiere barbariche guidate dal terribile condottiero. La scena di questo semileggendario incontro è stata riproposta da Raffaello nell’affresco titolato Incontro di Leone Magno con Attila (1514) realizzato nella Stanza di Eliodoro (Stanze Vaticane, Musei Vaticani, Città del Vaticano). La suddetta apparizione celeste è stata comunque sostituita dai santi Pietro e Paolo, protettori della città eterna, raffigurati in cielo armati di spada.

Un’incisione a bulino di Albrecht Dürer del 1499 titolata “Il sole della giustizia”, fornisce un’ulteriore prova dello stretto rapporto esistente tra leone e sfera celeste. Ne parla Lucia Faedo in un suo commento: «Un giovane uomo con le gambe incrociate è seduto al di sopra di un leone. Il volto è circondato da una doppia aureola raggiante e i suoi occhi sprizzano fiamme. Nella mano destra regge una spada e nella sinistra la bilancia. La sua interpretazione lo presenta come una raffigurazione del Sol Iustitiae cristiano, cioè “Cristo come Dio del Sole e Supremo Giudice».23 [Fig. 15]

La nostra analisi è giunta al termine, a quanto pare, senza essere riuscita a dare una risposta certa al quesito di fondo. Restano dunque aperti ampi margini per ulteriori indagini. Per il momento ci accontentiamo di aver dato temporanea visibilità ad una bizzarra nuvoletta che, a nostro avviso, si sta comportando come una sorta di metaforico “stargate” tramite il quale figure dall’oscuro significato lasciano la loro dimensione per manifestarsi nel cosiddetto “mondo visibile”.

Per quanto riguarda le ipotesi formulate, non resta che posizionarle sui piatti della bilancia del Sol Iustitiae, auspicando in un equo giudizio. Dobbiamo accettare il fatto che non sempre è possibile penetrare nella mente dell’autore, capire la vera natura dei suoi messaggi, talvolta impliciti, accessibili solo a pochi iniziati. Lo spirito della ricerca e l’inesauribile desiderio di conoscenza fanno comunque parte della natura umana. Una riflessione di Valzania ci dice quanto sia importante riuscire a dare nuovi apporti a ciò che già si sa: «…Preferisco credere, come sostiene Jean Bodin, che la cultura abbia solo una modalità di espressione e che essa si realizzi quando un’esperienza di studio e approfondimento viene vissuta e rivissuta. In altre parole, se manca un apporto nuovo, lo spirito della ricerca, lo stupore della scoperta, il puro e semplice racconto di ciò che già si sa è cosa morta».24

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1 – Francobollo celebrativo della Battaglia di ponte Milvio. Emissione congiunta Italia-Città del Vaticano per il 1700° anniversario della Battaglia di Ponte Milvio. 13 settembre 2012. Valore facciale € 4,40.

Fig. 2 – Battaglia di Costantino contro Massenzio. Affresco di Giulio Romano, (1520-1524). Stanze di Raffaello, Sala di Costantino, Musei Vaticani, Città del Vaticano.

Fig. 3 – Carri falcati e guerrieri con gli arti mozzati (particolare). Leonardo da Vinci, Torino, Biblioteca Reale.

Fig. 4 – Battaglia di Costantino contro Massenzio (particolare: “cavallo ferito”).

Fig. 5 – Battaglia di Costantino contro Massenzio (particolare: “teste mozzate di due legionari”).

Fig. 6 – Tavola Doria della Battaglia di Anghiari. Leonardo da Vinci (attr.), (1505 circa). Dipinto ad olio su tavola di pioppo. Tokyo, Fugji Art Museum. Opera notificata già a Napoli nella collezione dei principi Doria d’Angri. Raffigura la “Lotta per lo Stendardo”, un momento della Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci.

Fig. 7 – Tavola Doria (particolare: “lotta tra due guerrieri”).

Fig. 8 – Battaglia di Costantino contro Massenzio (particolare: “lotta tra due guerrieri”).

Fig. 9 – Tavola Doria (particolare: “testa di guerriero munito di elmo con cresta a forma di drago alato”).

Fig. 10 – Battaglia di Costantino contro Massenzio (particolare: “elmo con cresta a forma di drago alato presso un’insegna legionaria”).

Fig. 11 – Battaglia di Costantino contro Massenzio (particolare: “tre angeli nel cielo con nube zoomorfa”).

Fig. 12 – Battaglia di Costantino contro Massenzio (particolare: “nuvola zoomorfa a forma di leone”).

Fig. 13 – Apocalisse.Combattimento tra angeli e dèmoni.Albrecht Dürer, (1498). Xilografia, Staatlike Kunsthalle di Karlsruhe.

Fig. 14 – La morte del cristiano (particolare). Maestro delle Ore Rohan, (1418-20). Miniatura al fol. 159 del manoscritto delle «Ore Rohan», Parigi, Bibliotèque Nationale, ms. lat. 9471.

Fig. 15 – Il sole della giustizia. Albrecht Dürer, (1499). Incisione a bulino. Collezione privata.

 

Note al testo

1 E. di Cesarea, Vita Constantini, composta nell’anno 337.

2 E. Butturini, La croce e lo scettro, ECP Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole, Firenze, 1990, p. 75.

3 C. Strinati, “Il mestiere dell’artista. Da Giotto a Leonardo”, Palermo, Sellerio editore, 2007, p. 26.

4L. da Vinci, Libro di pittura (§ 177) e Trattato della Pittura, «Del comporre le istorie», parte seconda (§ 173): “Ricordati, pittore, quando fai una sola figura, di fuggire gli scorti di quella, sí delle parti come del tutto, perché tu avresti da combattere con l'ignoranza degl'indotti di tale arte; ma nelle istorie fanne in tutti i modi che ti accade, e massime nelle battaglie, dove per necessità accadono infiniti scorciamenti e piegamenti de' componitori di tal discordia, o vuoi dire pazzia bestialissima“.

5Foglio 19001r, Royal Library, Castello di Windsor.

6L. da Vinci, Modo di figurare una battaglia, Paris, Institut de France, Ms. A, f.111r-f.110v .

7L. da Vinci, “Trattato della Pittura”, parte terza, De’ vari accidenti e movimenti dell’uomo e proporzione di membra/290. Degli atti delle figure.

8 C. Vecce, “Le battaglie di Leonardo”, LI Lettura Vinciana (Vinci 2011), Giunti Editore S.p.A. , Firenze, 2012, p. 7.

9 C. Strinati, “Il mestiere dell’artista. Da Giotto a Leonardo.”, Sellerio editore, Palermo, 2007, pp. 170-171.

10L. da Vinci, Modo di figurare una battaglia, op. cit. Ms. A, f.110v .

11G. Capriotti, “La storia dell’Arte, il Rinascimento” La biblioteca di Repubblica, Mondadori Electa S.p.A., Milano 2006, pp.538,539

12Tavola Doria, Leonardo da Vinci (?), dipinto ad olio su tavola di pioppo, dimensioni 86 X 115 cm., ubicazione: Italia e Giappone.

13 L. da Vinci, Modo di figurare una battaglia, Ms. A, f.110v.

14 Si tratta dell’innovativo sistema rappresentativo prospettico inventato da Leonardo da Vinci in base al quale, gli elementi paesaggistici posti in lontananza, con l’aumentare della distanza rispetto al punto di osservazione perdono progressivamente di colore, divenendo poco a poco sempre più evanescenti ed imprecisi.

15 G. Berra, “Immagini casuali, figure nascoste e natura antropomorfa nell’immaginario artistico rinascimentale”. JSTOR, Mittelungen des Istituti Kunsthistorischen in Florenz, 43Bd, H.2/3, 1999, pp. 358-403.

16 E’ conosciuta la particolare devozione di Costantino per l’arcangelo Michele, anch’esso armato di spada, comandante dell’esercito celeste, strenuo difensore della fede in Dio contro le orde di Satana.

17 M. G. Chiappori, “Leone”, Enciclopedia dell’Arte Medievale (1996), in www.Treccani.it, l’Enciclopedia italiana.

18 E. Castelli, “Il demoniaco nell’Arte”, Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, 2007, p.319

19 Dati riportati nel Dizionario Enciclopedico UTET, Vol. VI, p. 155.

20 U. Eco, “Storia della bruttezza”, 2007, p. 92.

21 T. Ceravolo, “Storia delle nuvole. Da Talete a Don De Lillo”, Rubbettino Editore, 2009, p. 93.

22 L. Impelluso, “La natura e i suoi simboli, piante, fiori, animali”, Dizionari dell’Arte, Milano, Mondadori Electa S.p.A., 2003, p. 213.

23 L. Faedo in “Dürer e L’Italia”, vedi capitolo “Dürer e la mitologia antica”, Electa 2007, p. 149. Si tratta , come ha notato Erwin Panofsky, di un’allegoria del “Sol iustitiae” ovvero Cristo come supremo giudice, come descritto in un passo del “Repertorium morale” di Petrus Berckorius che rappresenta quindi la fonte letteraria a cui Dürer si è ispirato. (Panofsky, 1999, pp. 247-251).

24 C. Strinati, “Il mestiere dell’artista. Da Giotto a Leonardo”, op. cit., (vedi nota introduttiva di Sergio Valzania), p. 7.