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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Unico indizio: il riflesso vitreo di una finestra

Unico indizio: il riflesso vitreo di una finestra
negli occhi di Albrecht Dürer

 

Alcune immagini hanno il destino fortunato di
affiorare dall’informe e farsi quasi afferrare d’istinto,
altre hanno bisogno di riflettersi per riflettere.

Manlio Brusatin

 

Fig. 1

Ho visto dunque so, dicevano i greci: e la stessa radice è in vedere e in idea (dal greco Idéa: aspetto, forma, apparenza). E qualcosa sanno perché hanno visto i volti ritratti collocati nel bel mezzo di uno spazio non delineato e perlopiù impenetrabile - perché costituito da un fondo scuro -, privi dello spazio fisico e tuttavia ancorati ad esso grazie a un piccolo dettaglio (in apparenza realistico e descrittivo) che potrebbe addirittura sfuggire all’osservazione, correre via quasi ignorato o segnalato dagli interpreti solo per dovere di completezza. Molti da questo punto di vista, forse anche troppi per non suscitare domande, i riflessi a forma di finestra dalla struttura leggibile (e non equivocabile) presenti negli occhi dei personaggi ritratti da Albrecht Dürer (Norimberga, 1471-1528). Un lustro – questo il nome utilizzato dagli artisti italiani per indicare il riflesso – che per il pittore tedesco risulta formalmente stabile nel tempo (solo un po’ più rigido, tagliente e centrato nella pupilla nei primi anni di attività), indifferente al soggetto (persino animale) e alla tecnica impiegata; e presente in forma di “finestra” a partire dal primo ritratto a olio dedicato al proprio padre nel 1490 circa [fig. 1], per transitare poi in numerose altre opere [fig. 2] fin nell’acquerello e guazzo del Leprotto (1502) [fig. 3] dove il lustro si stilizza nuovamente (più simile a una bifora), e approdare con poche variazioni al bulino di Federico il Saggio, elettore di Sassonia(1524) [fig. 4]. E di questo passo fin quasi alla fine della carriera [fig. 5], senza discriminazione sostanziale tra “ritratti” propriamente intesi e volti “santi” in posizione frontale [fig. 6 e 7].

Fig. 2

Scrive Daniel Arasse: «Come è dimostrato dalle riflessioni ormai classiche di Kenneth Clark, il dettaglio costituisce il luogo di una “esperienza” certamente non secondaria [...] per l’osservatore come per il pittore» 1, ma di quale “esperienza non secondaria”, e soprattutto di quale idea, può essere veicolo un lustro/finestra dipinto negli occhi di un ritratto da un grande artista tedesco a cavallo tra Quattro e Cinquecento?

Fig. 3

«Poi moverà l'istoria l'animo quando gli uomini ivi dipinti molto porgeranno suo propio movimento d'animo», e ancora, «[l’artista deve] sempre seguire cose molto pronte e quali lassino da pensare a chi le guarda molto più che egli non vede. Ma che noi racontiamo alcune cose di questi movimenti, quali parte fabbricammo con nostro ingegno, parte imparammo dalla natura» (L. B. Alberti, Della pittura, II, 41-42). Per certi versi i precetti ispiratori sono già quasi tutti nel trattato dell’Alberti – una fonte pressoché certa 2 – che il Dürer poteva verosimilmente conoscere grazie a versioni manoscritte presenti a Norimberga. Solo che non c’è “istoria” da raccontare in un ritratto immortalato nell’assenza di spazio e tempo - se non storia a posteriori di una personalità -, c’è solo un vivente da soddisfare, descrivere e tramandare come “vivo” ai posteri; e infatti neppure questo aspetto viene trascurato dall’Alberti: «Tiene in sé la pittura forza divina non solo quanto si dice dell'amicizia, quale fa gli uomini assenti essere presenti, ma più i morti dopo molti secoli essere quasi vivi, tale che con molta ammirazione dell'artefice e con molta voluttà si riconoscono» (L. B. Alberti, Della pittura, II, 25).

Anche il Dürer è un raffinato trattatista, addirittura il primo artista proveniente dal Nord e lì formatosi a sentire come centrale e necessaria la sistematizzazione di questioni relative a bellezza espressiva e proporzione, con tutta evidenza aiutato nel formarsi di tale sensibilità dai due soggiorni in Italia (a Venezia in modo particolare, la prima volta nel 1494-95, la seconda nel 1506-07) e dalla conoscenza diretta di altri testi teorici: «ispirato da Jacopo de’ Barbari, cominciò ad occuparsi sistematicamente di metodi “scientifici” per misurare le proporzioni del corpo umano. Studiò l’insegnamento vitruviano e gli scritti di Leon Battista Alberti. Sembra aver avuto accesso agli studi di Leonardo da Vinci sulla proporzione e sulla fisiognostica e forse anche sull’anatomia» 3. E infatti, per la questione specifica del lustro pure a Leonardo si direbbe dovere molto, in particolare a un lungo passaggio che merita di essere riportato integralmente:

 

Or non vedi tu che l' occhio abbraccia la bellezza de tutt' il mondo?

O eccellentissimo sopra tutte l' altre cose create da dio! Quali laudi

fien quelle ch' esprimere possino la tua nobilta' ? Quali populi, quale

lingue saranno quelle che possino apieno descrivere la tua vera operazione?

Questo e' finestra de l' uman corpo, per la quale la sua via specula,

e fruisce la bellezza del mondo; per questo l' anima si contenta della umana

carcere, e sanza questo essa umana carcere e' suo tormento; e per questo la
industria umana ha trovato il foco, mediante il quale l'
occhio
riacquista quello che prima li tolsero le tenebre. Questo ha ornato
la natura con l' agricoltura e dilettevoli giardini. Ma che bisogna
ch' io m' astenda in si' alto e longo discorso? Quale e' quella cosa

che per lui non si faccia? Lui move li uomini da l' oriente a
l' occidente; questo ha trovato la navigazione, et in questo supera la
natura, perche' li semplici naturali so' finiti, e l' opere che
l' occhio comanda alle mani sono infinite, come dimostra ' l pittore
nelle finzioni d' infinite forme d' animali et erbe e piante e siti. 4

 

Riecheggia nel pensiero dell’illustre toscano il particolare ruolo dell’occhio posto in relazione con la possibilità di produrre “finzione” e in stretta simbiosi con l’anima della quale, anzi, è addirittura finestra spalancata sul mondo, come sostenuto da una lunga tradizione, e in particolare da Alberto Magno («occulos esse tamquam fores animae, et animam emicare per occulos»: De animal, I, tr. 2, 3), Dante («ne la faccia massimamente in due luoghi opera l’anima, cioè ne li occhi e ne la bocca. Li quali due luoghi, per bella similitudine, si possono appellare balconi de la donna che nel dificio del corpo abita, cioè l’anima; [...] di nulla di queste puote l’anima essere passionata che a la finestra de li occhi non vegna la sembianza»: Convivio, III, VIII, 8), e molto prima ancora teorizzato dai greci: «Per gli antichi, la raffigurazione dell’occhio non fu mai un fatto neutro, e ciò che sappiamo della più remota nozione della creazione artistica indica nella resa dell’organo della vista, l’atto culminante di una operazione di duplicazione del reale, che trasferiva nell’oggetto una parte dello spirito vitale dell’individuo raffigurato. Questa nozione dell’immagine-ricettacolo, che si riempie e contiene, che significa la propria vitalità attraverso gli occhi, richiama rappresentazioni analoghe e affini, similmente pensate in termini di involucro animato da una nobile presenza: i personaggi che il fisiognomo allinea e passa in rassegna [...] concentrano la maggior densità semiotica negli occhi, perché è da essi che l’anima si affaccia a osservare il mondo e a dare segno di sé» 5.

Fig. 5

Il Dürer stesso, pur non così esplicito, non ha dubbi nell’individuare valori e finalità della vista: «Questa arte dei pittori è fatta per gli occhi, poiché il senso più nobile dell’uomo è la vista. Qualsiasi forma ci venga messa davanti, si presenta alla nostra vista come ad uno specchio» 6. E allo specchio farà ampio ricorso nel suo frequente autoritrarsi, così come farà tesoro della esplicita capacità riflettente dell’occhio in grado di rinviarci l’immagine di una finestra (il particolare lustro, appunto).

Se fare scienza per Dürer è ancora e sempre un osservare la natura per carpire i segreti razionali in essa riflessi, l’artista è tuttavia consapevole della possibilità di apportare “cambiamenti” e della possibilità di assegnare a questi uno “scopo”: «chi vuole fare qualche cosa perfetta, non deve togliere niente alla natura e non deve sostituirvi niente di contrario alla natura stessa. Ma alcuni vogliono fare cambiamenti così lievi che potranno a stento essere percepiti: se non possono essere percepiti, non hanno nessuno scopo; se sono eccessivi non servono neppure a niente. Il meglio è un giusto mezzo» 7, ciò che conta è individuarli e dimensionarli nel modo “giusto” affinché giungano a bersaglio. Così non esita ad alterare nell’Autoritratto con la pelliccia (1500) [fig. 8] esattamente i propri occhi, normalmente più sottili e ammandorlati, ingrandendoli e arrotondandoli. Qui, grazie al semplice espediente, il particolare lustro viene reso ancor più visibile e si presta a generare secondo Omar Calabrese uno straniante effetto di vertigine 8.

Quando nel 1528 Erasmo da Rotterdam si impegna a tessere una eulogia: «un monumento alla memoria di Albrecht Dürer», come lui stesso specifica, per magnificarne le capacità pittoriche e incisorie ricorre a quanto Plinio il Vecchio aveva scritto per celebrare il leggendario Apelle, integrando però, e non di poco, l’elenco delle cose impossibili da dipingere. «[ Dürer] era riuscito a dipingere», scrive Erasmo, «tutto ciò che non si può dipingere: il fuoco, i raggi di luce, il tuono, i lampi e anche (come si dice) nubi sulla parete, e tutte le emozioni e le sensazioni; e per finire tutto lo spirito dell’uomo come si ri­flette negli atteggiamenti del corpo, e quasi la stessa voce» 9. Nell’erigere il suo monumento l’umanista olandese sembra ben cogliere, al di là della formulazione retorica, l’aspirazione/tensione del pittore al conferimento di inequivocabili segni di vita al vivente ritratto, e per lui un simile riconoscimento è forse già molto 10. D’altronde, se si considera anche quanto scrive Cornelio Agrippa nel 1526 (a stampa nel 1530) stilando un elenco quasi sovrapponibile a quello di Erasmo, riuscire a dipingere il non-rappresentabile, il soggetto a repentino mutamento, è la vera missione di un pittore che sappia fare pittura correggendo i limiti dello specchio che mostra fedelmente ma è incapace di trattenere: «La pittura è un’arte mostruosa, ma accuratissima per l’imitazione delle cose naturali, [...] aggiunge dove non può arrivare la scultura: dipinge il fuoco, i raggi, il lume, i tuoni, i lampi, i folgori, il tramontar del sole, l’aurora, la sera, le nebbie, le passioni dell’uomo, i sensi dell’animo, e quasi esprime la voce istessa, e con mentite misure far vedere le cose che non sono» 11. Ennesima conferma dell’esigenza, che la sensibilità di Dürer sembra interpretare e restituire così bene nella sua opera 12, di dare corpo in pittura alla natura e all’uomo in tutte le loro manifestazioni, incluse quelle inafferrabili perché improvvise e transitorie.


In sintesi, il riflesso nell’occhio a forma di finestra appare nell’opera di Dürer un atto di maestria tecnica, un dato derivato dell’osservazione della realtà e al tempo stesso una metafora che da ingenua si fa sofisticata allegoria. Un lustro sì fatto, ben si presta a rappresentare cioè una cosa per un’altra, e se si presenta come riproduzione di un oggetto concreto che visualizza una parte essenziale dell’atelier dell’artista, a cui l’opera resta legata perché vi nasce, nel contempo si rivela adatto a mostrare un’entità altrimenti incorporea, di farsi traccia e indizio visibile dell’anima - non altrimenti rappresentabile - del soggetto ritratto. Una piccola cosa, in realtà, che però diventa tratto connotante dell’individuo - inteso come essere vivente a cui infondere un’anima -, da lui non più separabile al pari di un qualsivoglia altro tratto fisico che ne sappia fissare l’unicità e l’essenza profonda.

Poi, com’è nella natura plurisignificante di ogni immagine, sembra di scorgere in quell’ignorabile piccolo dettaglio anche dell’altro, l’ulteriore tassello che aggiunge complessità e intenzionalità alla strategia individuale del pittore. Serve qualcosa, insomma, che soddisfi l’artista nella sua veste di artefice, che riveli al dunque la presenza fattiva dell’artifex, un espediente al pari (seppur vibrante di tutt’altra intensità e storia) del “cartellino” apposto: «Restando apparentemente estrinseco alla composizione, come se si potesse toglierlo di mezzo facilmente, il cartellino fornisce al pittore uno strumento per firmarsi con “sprezzatura”, per usare il termine coniato da Baldassar Castiglione nel Cortegiano. Come la sprezzatura, anche il cartellino è un artificio intrinsecamente illusorio. Il foglietto firmato, in questi ritratti, indica che quei personaggi sono presenti dinanzi a noi in virtù del genio del maestro. Così il rapporto tra lo spettatore e l’effigiato diventa un triangolo che comprende anche l’artefice» 13. E proseguendo lungo la china dei significati concatenati si potrebbe giungere a farne un elemento totalizzante, a eleggere il minuscolo lustro, come propone Lea Ritter Santini, simbolo dell’arte e segno dell’artista 14.

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1 – particolare, Ritratto del padre, 1490 circa, olio su tavola, Firenze

Fig. 2 – particolare, Ritratto di Elspeth Tucher, 1499, olio su tavola, Kassel

Fig. 3 – particolare, Leprotto, 1502, acquerello e guazzo su carta

Fig 4 – particolare, Federico il Saggio, elettore di Sassonia, 1524, bulino, Firenze

Fig. 5 – particolare, Ritratto di Hieronymus Holzschuher, 1526, olio su tavola, Berlino

Fig. 6 – particolare, La Madonna del garofano, 1516, pergamena applicata su tavola, Monaco

Fig. 7 – particolare, Sant’Anna Metterza, 1519, tempera e olio trasferito su tela, New York

Fig. 8 – particolare, Autoritratto con pelliccia, 1500, olio su tavola, Monaco di Baviera

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 D. Arasse, Il dettaglio. La pittura vista da vicino, il Saggiatore, 2007, pp. 12,13.

2 Per un necessario approfondimento dell’intera produzione teorica dell’artista, si rinvia a E. Castelnuovo, Dürer scrittore e scienziato, in AA. VV., Dürer e l’Italia, Electa, 2007.

3 F. Koreny, Dürer e Venezia, in AA. VV., Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano, Bompiani, 1999, p. 249.

4 Leonardo, Trattato della pittura, parte prima, 24.

5 I. Rizzini, L’occhio parlante. Per una semiotica dello sguardo nel mondo antico, Venezia, 1998, p. 8.

6 A. Dürer, Abbozzi per l’introduzione al libro sulle proporzioni umane, in E. G. Holt, Storia documentaria dell’Arte, Feltrinelli, 1972, p. 228

7Ibidem, p. 233.

8 «In questo quadro c’è un’ulteriore complicazione: gli occhi sono raffigurati come specchi specchianti, e pertanto aggiungono ambiguità all’immagine: il protagonista si specchia in uno specchio, e pertanto aggiungono ambiguità all’immagine: il protagonista si specchia in uno specchio, e pertanto lo specchio si dovrebbe vedere nelle sue pupille, e invece vi si osserva la stanza che lo contiene. Se l’immagine è da intendersi come ritratto (e il quadro è il suo specchio), allora gli occhi rivelano l’invisibile, cioè il dietro del quadro. Se va intesa come un autoritratto (e il quadro è lo specchio di uno specchio), allora gli occhi rivelano sul quadro ciò che il quadro nega, e cioè il suo frontale. E così via in una combinatoria assolutamente vertiginosa». O. Calabrese, L’arte dell’autoritratto, Usher, 2010, p. 163.

9 E. da Rotterdam, De recta latini graecique sermonis pronuntiatione, 1528.

10 «Il canonico non ha alcuna sensibilità visiva e nessuna educazione artistica [...], qui è indispensabile sottolineare questa sua idiosincrasia per le belle arti e la sua indifferenza per ogni forma di bello artistico, visto che Erasmo ignora di fatto tutto il mondo delle arti visive. Per questi caratteri della sua cultura Erasmo è un principe del Rinascimento dimezzato, una sorta di anti- Dürer ». C. de Seta, Il mito dell’Italia, Utet, 2005, p. 18.

11 C. Agrippa, Dell’incertitudine e della vanità delle scienze, Nino Aragno Editore, 2004, p. 121.

12 Come scrive Bruno Passamani sintetizzando una posizione largamente condivisa: «La penetrante disposizione fisiognomica che porta i suoi ritratti ad essere veramente specchi non solo della condizione sociale, ma soprattutto della interiorità, che l’artista coglie con la sua umana capacità di sintonia con l’uomo e con sottile capacità introspettiva e manifesta attraverso un’intensità di espressione degli sguardi mai raggiunta nella ritrattistica del nord». B. Passamani, Arte, religione e scienza, natura ed idea in Albrecht Dürer, in AA. VV., Albrecht Dürer. Temi e tecniche, Improvvisazione Prima, 1996, p. 14.

13 R. Goffen, Valicando le Alpi: arte del ritratto nella Venezia del Rinascimento, in AA. VV., Il Rinascimento a Venezia e la pittura del Nord ai tempi di Bellini, Dürer, Tiziano, Bompiani, 1999, pp. 124, 125.

14 L. Ritter Santini, Gli occhi del ritratto, in AA. VV., Le metamorfosi del ritratto, Leo S. Olschki, 2002.

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