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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Incontrando Lorenzo Lotto

 

«Genio rivelatore della sua anima» (1).

Veneziano, contemporaneo di Giorgione, Tiziano, Sebastiano del Piombo, Lorenzo Lotto guardò a Giovanni Bellini e ad Alvise Vivarini – quale dei due gli sia stato maestro non è documentato, ma la critica dopo tanti dibattiti tende all'opinione che il suo apprendistato sia avvenuto dal Vivarini – guardò a Dürer, e alla luce di Antonello da Messina, e poi, dopo l'esperienza romana del 1508, a Leonardo, Raffaello e a Michelangelo. La sua maniera è quella di un muta-forma, ma non perde mai originalità. I segni riconoscitivi lo seguono nelle sue peripezie fra la provincia veneta e il Centro Italia, in un vagabondaggio geografico che si trasforma in vagabondare artistico e religioso.

Fig. 1     Per spiegare il “pictor celeberrimus” (così si definisce in un atto notarile nel 1505, reduce della fama ottenuta presso il Vescovo De' Rossi di Treviso) mai ritenuto abbastanza significativo da prender posto nella disputa fra disegno fiorentino e colorito veneto, lui che avrebbe potuto far da pacere, l'incipit è nelle parole di chi per primo gli dedicò una vera monografia dopo quella del Vasari, Bernard Berenson:

«Lorenzo Lotto al suo meglio non celebra il predominio dell'uomo sulle cose che lo circondano; ma, nelle pale d'altare, e ancor più nei ritratti, ci mostra una gente che ha bisogno di esser confortata e sorretta sia dalla religione, sia da sane ideologie, ed amicizie ed affetti. Le sue figure guardano dalla tela quasi chiedendo benevolenza» (2). Pittore dall'io inafferrabile, che dà la propria voce ai suoi personaggi, siano essi angeli, Vergini, dei o uomini, per lui l'arte – come anche la religione – è la risposta ai bisogni dell'anima.

Dopo Berenson, Lionello Venturi ne coglie l'acribia nell'indugiare nei dettagli sacri, estratti anche dal poco ortodosso Dürer. Il “virtuoso e buono” per dirla con Pietro Aretino – satirico o meno che voglia esser stato – fu, in vita, un isolato, non ebbe né famiglia, né discepoli.

«Si contentò di fare capolavori» con una nota di ironia Venturi dona una nuova lettura all’operato di Lotto «Anche i primi manieristi giungevano all'anticonformismo» continua il critica «ma vi arrivavano intellettualisticamente alla ricerca di forme astratte e idee platoniche; Lotto invece vi arrivava perché dedicava la sua forma e il suo colore alla verità della vita. Egli non sapeva meditare, la sua creatività era continua e con una libertà fantastica rara in tutta la storia dell'arte. Il suo genio crea particolari piuttosto che l'insieme, rivela una nuova sensibilità in un fiore, in un ramoscello di foglie, nella luce che cade su alcuni scalini, in un volto ombrato di timidezza e di stupefatta contemplazione, nella tenerezza del fanciullo Giovanni pel suo agnello, in certe pieghe di panni e di sassi che sembrano surrealisticamente umanizzati, nel tremolare delle luci notturne e nel nasconder delle luci tra gli alberi per distenderle nel cielo. È una pittura tutta sensibilità irrequieta e scatti» (3).

Lotto non conosce aplomb; dietro le sue figure – dietro lo sguardo di un angelo o di una Madonna – c'è il tomento; le slega e le ricollega come il miglior frescante trecentista, e seduce non il complesso, ma il tesoro che si svela dietro l'incoerenza delle composizioni che non seguono la proporzione e la prospettiva rinascimentale, ma rievocano una tradizione iconografica medievale, piegata a significati gerarchici e simbolici.

Fig. 2In ogni sua tappa raggiunge una meta: l'esordio bergamasco con il Ritratto del Vescovo De' Rossi e la coverta con l'allegoria di Vizi e Virtù preannunciano ciò che è e ciò che diventerà. Pittore di rebus ed allegorie. Rifacendosi a Tommaso d'Aquino, per il quale le cose sono figure di altre cose, Lotto sa che solo per immagini si giunge al divino. Sa che il compito del pittore è quello di dare senso e parola all'immagine. Il talento di “umanista figurato” lo trae dalla Venezia dei Bellini e dei Vivarini, dal vescovo De' Rossi e dalla cerchia di umanisti della Marcellina Soliditas (4). Invenzione allusiva e dialogo con lo spettatore: questi due caratteri che intessono tutto il corpus artistico di Lotto. Emblema ne è il suo Cristo in pietà (cimasa del Polittico di Recanati) dove solo addome, petto e spalle restano vitali nell'aggetto muscolare, le braccia svuotate del sangue ricadono sulla presa del Nicodemo che trapassa la pellicola pittorica con occhi che ci costringono all'immedesimazione. Ecco cosa vide Berenson per primo, Nicodemo ci guarda da una tela, un angelo ci guarda da un'altra, e così l'Annunciata, gli uomini e le donne che ritrae. Uno sguardo unico che lega tanti personaggi. I loro occhi sono punture emotive.

Dopo essersi fatto conoscere nelle Marche con il Polittico di San Domenico eseguito per il convento di Recanati, i mesi a cavallo fra il 1508 e il 1509 li trascorre a Roma. Il Vaticano lo vede attivo nelle Stanze. Ma dell'attività romana non restano altro che una tavola della Vergine con il Bambino e i Santi Onofrio e Ignazio di Antiochia conservata alla Galleria Borghese e quella tavola col San Girolamo, oggi in Castel Sant'Angelo. L'eremita ed esegeta è il santo che più si addice a Lotto. L'isolamento ascetico simboleggia quello artistico nella Roma sconosciuta e debordante di grandi pittori, il disagio creativo e il tentativo di adeguarsi ad ambienti totalmente nuovi. È il primo e più alto gradino verso un percorso che porterà Lotto a nuovi esiti. Le composizioni risucchieranno da adesso gli equilibri, s'indebiteranno con le composizioni spaziali di Raffaello in abbozzi caricaturali nelle deformazioni delle posture, di cui emblema è la Vergine nella Deposizione di Jesi eseguita subito dopo la dipartita da Roma. Apparente eclettismo, sotto cui scorre un linguaggio fedele alla ricerca di comunicatività per simbologie coadiuvato da un'indagine psicologia che supera la visione espressionistica degli esiti di Antonello da Messina, che bene Lotto ha presente, per raggiungere un forte potere empatico. 

L'indagine introspettiva a cui si appassiona Lotto si intercetta in tutti i personaggi da lui ritratti, lasciandoci non tanto il nome – dagli occhi del Giovane con la lucerna pare uscire la shakespeariana domanda “cos'è un nome?” – bensì il loro autentico essere concentrato in un gioco di rimandi fra gli occhi, le mani e i dettagli di cui si circondano (Andrea Odoni, immerso nella sua collezione di antichità, porge la statuetta della Diana Efesina, emblema di fertilità, che serva di buon auspicio). Ad una lettura di singole persone, borghesi, prelati, popolani, Lotto affianca costantemente la produzione a tema religioso.Fig. 3

E tratta il sacro con lo stesso medesimo sentimento profondo. Lotto è empatico verso ogni soggetto che s'appresta a dipingere. Lo fa suo, vi penetra mentalmente e pare di vederlo dipingere immedesimandosi egli stesso nel personaggio che nasce e si muove sulla linea dei tratti del suo pennello, fino a prendere vita con lui. Non si integra con il suo tempo, ma l'isolamento non gli chiude la strada al successo. Da Treviso dov'è detto “celeberrimus” già dal primo lavoro, il suo operato lo fa conoscere a Bergamo, città in cui un quindicennio dopo viene definito ancora “famosissimum”.

Se è vero che attorno a lui non si svilupperà mai una scuola, egli riesce lo stesso a raggiungere una committenza di tutto rispetto: prelati, aristocratici di rango – il vescovo trevigiano De' Rossi è solo il primo, a lui fanno seguito Alessandro Colleoni Martinengo a Bergamo e il vescovo Niccolò Bonafede nelle Marche – i personaggi di spicco di società mercantili, di confraternite devozionali laiche e di ordini religiosi. Del resto se, ancora oggi, a nominare Lorenzo Lotto, viene in mente innanzitutto la parola “ritratto”, al suo tempo le cose non dovevano essere diverse.

Fig. 4È con la critica novecentesca che i suoi soggiorni bergamaschi e marchigiani, letti all'ombra della sua troppo breve esperienza romana vengono interpretati come sintomi d'irrequietezza e di nevrosi, e così la sua solitudine – come se un pittore per esser

ritenuto valente debba aver per forza una bottega frequentata da giovani apprendisti – offuscata dall'idea di un'incapacità d'imporsi nel mercato artistico veneziano.

Della sua peregrinazione tentò di dare una spiegazione Lionello Venturi: «Lotto, veneziano, fugge non solo Venezia, ma anche la tradizione pittorica veneziana, per arricchirla di molteplici esperienze. [...]». Viaggi che sono fughe, dunque, come accade quando, appena ritornato a Venezia dopo vent'anni d'assenza, subito se ne riparte. «Questa insofferenza dipende da motivi religiosi e morali oltre che artistici. Egli sentiva la religione come un impulso spontaneo e personale assai prima che sociale: e questo non s'accordava con il tipo dell'ossequio pubblico alla Chiesa diffuso a Venezia nella prima metà del Cinquecento. E poiché sentiva profondamente, Lotto viveva con le sue immagini religiose con una familiarità popolaresca, che piaceva in provincia, ma non nella dominante» (5). Voglia di libertà, scarsa competitività o acume professionale?

Nonostante il suo gusto non si sia mai sposato con la maniera tanto roboante di un Tiziano, “molti quadri e ritratti in Vinezia [...] per le case de' gentiluomini”(6) sono testimoniati dal Vasari. E non solo. Lotto al ritorno in Laguna si era aggiudicato la commissione di due pale di due noti ordini mendicanti, Santa Maria dei Carmini e Santi Giovanni e Paolo. Eppure è anche vero che dal 1539 inizia a scendere una china nei suoi ripetuti spostamenti da Venezia, Ancona e Treviso, dove non si aggiudica più grandi commissioni né tanto meno riesce a guadagnarsi il necessario per sopravvivere. La sua “personalità un po' spigolosa”, per dirla con Peter Humphrey (7), non gli fu d'aiuto, anzi esacerbò il suo esser fuori moda dovuto in primis al rifiuto di piegarsi in modo troppo evidente al manierismo imperante, alle forme michelangiolesche e a sbandierare una competizione con i modelli antichi. Studiò modelli antichi, che, come fece per le anatomie voluminose del Buonarroti, finì per piegare alla sua estrosa interpretazione. Le vesti delle sue Madonne ricalcano i manti delle muse – il marmo femminile identificato come Melpomene, oggi al Louvre e risalente al 50 a.C. presenta alla cintura l'inserimento di una parte del manto che, stando al trattato illustrato di Pirro Ligorio sugli abiti degli antichi romani si chiamava recinium, i capi velati nascondono acconciature a punta che riportano sempre al trattato dell'architetto partenopeo: l'inconsueta forma nelle figure antiche stava a rappresentare il diadema semicoperto dal corto mantello (8).

Minuscoli dettagli che parlano dell'antico in una nuova lingua. Lotto non compete con i marmi romani, ma ne trae l'insegnamento che gli è più congeniale. Tutt'altro: il suo sguardo è attento e acuto quando si trova di fronte i rilievi dei sarcofagi d'età classica, al punto da riproporre in modo del tutto originale un “parapetasma” (9), telo scenografico scolpito nello sfondo di numerosi rilievi antichi, in una delle sue ultime Sacre Conversazioni.

Gli anni della celebrità si spengono con l'avvicinarsi della metà del secolo. Pietro Aretino lo dice apertamente “superato nel mestiere di dipingere”, Paolo Pino non lo inserisce nel suo Dialogo di pittura e infine Lodovico Dolce in uno stralcio del suo L'Aretino ovvero dialogo di pittura lo critica aspramente per il modus operandi troppo diverso da quello di Tiziano.

Il decennale soggiorno bergamasco è l'apice della sua carriera e segna inesorabilmente il suo declino. La genialità di Lotto si spende tutta nel programma di disegni e cartoni per il coro ligneo di Santa Maria Maggiore eseguiti fra il 1525 e il 1527. In quegli anni il pittore risiedeva a Venezia, e spediva sistematicamente i suo lavori a Bergamo, dove il giovane intarsiatore Giovan Francesco Capoferri porterà su legno i capolavori d'inventiva iconografica e pittorica del veneziano.

Fig. 5Lorenzo Lotto nel progettare le scene degli stalli decide di rompere con la tradizione quattrocentesca delle tarsie fondata su giochi prospettici e inquadrature architettoniche, dando loro un carattere evidentemente pittorico e ricreando ciò che già aveva preannunciato con il Ritratto di Bernardo de' Rossi e la sua sovracoperta allegorica: per ogni tarsia ne esegue una protettiva figurata “in correspondenza de significato” con il pannello stesso. Dimostra in tale maniera di non voler cadere in un criptico gioco di rebus, bensì di tendere ad un intento principalmente esplicativo e didattico.

La scena della Submersione di Pharaone è un paesaggio di un pittoricismo che sottolinea la sua essenza di paesaggista cinquecentesco veneziano, ma c'è di più: Lotto carica pathos la scena scegliendo di rappresentare non la divisione delle acque dinnanzi al popolo ebraico, ma la chiusura di esse all'arrivo di Pharaone. E il pannello protettivo non è che una collana di simboli che sottolineano il peccato di ubris di un re, che al posto della corona indossa la gabbia simbolo della pazzia. Il serpente che lo sovrasta, emblema d'arguzia, è decapitato, e a circondare Pharaone non restano che altri simboli effimeri di un potere falso, che maschera la follia e l'errore (il fumettistico sguardo strabico ne è chiaro rimando). Lotto riesce a dar voce ai suoi disegni con poche e semplici forme, prive di scenario. Annulla la prospettiva semplicemente perché non serve. La fotografia della punizione di empietà è svelata nella tarsia sottostante e non è che la conseguenza dell'essenza tracotante di un potente di cui ci parla il coperto.

Il ritorno a Venezia non segna una cesura come verrebbe da dire osservando la pala per Santa Maria del Carmine con il San Nicola in gloria.

Lotto continua a lavorare per committenti provinciali, mentre si adegua ad una maniera – per quanto gli riesca possibile – vicina a Tiziano per i lavori pubblici che gli vengono assegnati in laguna.

Le opere che in questi anni invia a Macerata, Jesi e i ritratti per le committenze private sono più fedeli al suo percorso artistico. Come era avvenuto negli affreschi dell'Oratorio Suardi a Trescore, Lotto non rimedita soltanto sulla decorazione trecentesca italiana ma anche sull'antiretorica e l'uso dell'aneddoto tipico della pittura del Nord Europa. Le Storie delle Sante Caterina, Maddalena, Brigida e Barbara si dislocano fra architetture e paesaggi circondati dagli eretici che, scacciati dai santi, tentano di tagliare i tralci di vite che non sono altro che prolungamenti delle dita del Cristo, il quale, ieratico nella sua veste cerulea, si staglia fra l'occhio dello spettatore e le movimentate scene fra cui inserisce, come vuole la tradizione, un suo autoritratto che pare seguire ancora oggi, nonostante le profonde screpolature del tempo, il nostro sguardo, e la famiglia del committente. Il piano iconografico è chiaro: Cristo sovrasta il male e a noi che assistiamo alla sua vittoria resta il piacere di sentirsi protetti da Lui e dal suo tocco che corre sulle nostre teste per i tralicci che separano il soffitto dell'oratorio dal cielo.

Dagli anni Quaranta inizia il lento decadimento. È il suo “Libro delle spese diverse” a parlarcene. Scritto di proprio pugno, egli vi annota la grandiosa asta che fu costretto ad allestire per vendere le opere rimaste in bottega, le spese sostenute per riuscire finalmente a tornare nelle Marche, dove continua ad ottenere incarichi. I lavori anconetani – l'Assunta nella chiesa di San Francesco alle Scale, la Visitazione, la Santa Veronica e un'altra serie di santi per le chiese di Sant'Anna e di Santa Maria Liberatrice – offrono una

pittura che va sfaldandosi, ad occhi inesperti si direbbe stanca.

Nelle opere dei suoi ultimi dieci anni di vita viene visto l'intervento di altri (10). Tuttavia egli non sembra per niente avvezzo alla delegazione, non è un maestro circondato da allievi. Quelli, che sono piuttosto garzoni di bottega, se ne fuggono via o ne vengono allontanati dallo stesso Lotto.

La sua maniera, fatta di quelle “cattive tinte” tanto aspramente attaccate da Ludovico Dolce, si incupisce e si liquefa. Il pennello sgretola il disegno sottostante a mo' di “non finito”, come nella Presentazione al Tempio, che nonostante sia ritenuta incompleta per il sopravvenire della morte, potrebbe non esserlo affatto (11).

Lotto ha fatto sua la pittura di tocco. Nel cupo fondale d'antracite che sovrasta la schiera di personaggi attorno all'altare antropomorfo, emblematica crasi fra battesimo ed Eucarestia, nascita e morte, c'è il prologo di una pittura nuova, di luci ed ombre che creano forme allungate fantasmagoriche e tenebrose come la vecchia donna velata. “Solo, senza fidel governo e molto inquieto nella mente” (12), la mano di Lotto, nel suo momento estremo, si svela pre-goyesca.

E firma il suo testamento: un'eredità che scorre lento, come un fiume sotterraneo, si scava la strada per nuovi linguaggi, si libera dalle grandi e gridate mode che sovrastano ogni tempo, erode la roccia del gusto, in cerca di indipendenza. Di libertà di forma e d'espressione.  Fig. 6

 Nota biografica sull'artista

Nato a Venezia nel 1480 circa, Lorenzo Lotto pare aver svolto il suo apprendistato presso la bottega di Alvise Vivarini. Tra il 1503 e il 1504 è documentato per la prima volta come pittore a Treviso. Sotto la protezione del vescovo Bernardo De' Rossi, in questa città, Lorenzo Lotto lavora al ritratto per il prelato e alla sovracoperta. La sua cifra stilistica è già matura quando, nel 1506, si trasferisce a Recanati, nelle Marche, per eseguire il Polittico di San Domenico, che lo fa conoscere nel Centro Italia. Due anni dopo viene convocato a Roma per attendere alla decorazione delle Stanze Vaticane insieme ad uno staff di artisti del più ampio credito. Dopo poco tempo verrà sostituito non avendo ottenuto il favore del pontefice. All'ambiente romano, probabilmente troppo incline alla vague dettata da Raffaello e Michelangelo, Lotto preferisce la provincia. Fa ritorno a Recanati, al tempo centro importante di mercanti, dove riceve alcune commissioni, fra le quali la Deposizione di Cristo per San Floriano a Jesi e la Trasfigurazione per Santa Maria di Castelnuovo. Nel 1513 è a Bergamo per attendere alla richiesta di Alessandro Martinengo Colleoni di eseguire una pala d'altare. La Sacra Conversazione, meglio conosciuta come Pala Martinengo, segna l'inizio di un periodo tra i più fecondi. Accanto alle pale d'altare dipinge tavole devozionali, ritratti privati, che ottengono un ampio plauso pubblico. La fama riscossa e il talento per l'invenzione allusiva gli permettono di ottenere l'allogagione per i disegni delle tarsie lignee del coro di Santa Maria della Misericordia, cattedrale di Bergamo, eseguiti in collaborazione con l'intarsiatore Capoferri.

Nel 1524 attende alla decorazione ad affresco del Cristo-vite e delle Storie di Santa Brigida e Santa Barbara nell'Oratorio Suardi a Trescore e alle Storie della Vergine in San Michele al Pozzo Bianco. Dopo vent'anni di assenza torna a Venezia per eseguire l'Elemosina di Sant'Antonino per la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, portata a termine solo nel 1542, e San Nicola fra Santa Lucia e San Giovanni Battista per Santa Maria dei Carmini. Ma l'opera più significativa che lascia a Venezia è il ritratto del collezionista Andrea Odoni (1527). Di frequente viaggia nelle Marche, dove è chiamato ad eseguire l'Annunciazione di Recanati e l'Assunzione per il convento anconetano di San Francesco alle Scale. Fra le sue ultime opere la Presentazione al Tempio resta incompiuta a causa della morte che avvenne nella Santa Casa di Loreto nel 1556.

 

Note al testo

  1. P. Zampetti 1953;

  2. Berenson, I pittori italiani del Rinascimento, ed. tradotta da E. Cecchi, Firenze 1963, p. 39;

  3. L. Venturi, La pittura del Rinascimento,

  4. R. Villa, Tre sguardi su Lorenzo Lotto, p. 41;

  5. L. Venturi, La pittura del Rinascimento,

  6. G. Vasari, Le Vite de' più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue, insino a' tempi nostri nell'edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550, a cura di L. Bellosi e A. Rossi, Torino 1986, p. 802;

  7. P. Humphrey, La fortuna critica di Lorenzo Lotto in Lorenzo Lotto, catalogo della mostra, Roma, Scuderie de Quirinale 2 mazo- 12 giugno 2011, a cura di G. C. F. Villa, Milano 2011, pp. 61- 69;

  8. G. Cosmo, Lotto e l'antico. Il manto della musa, in “ARTedossier”, XXIII, n. 241, Firenze 2008, pp. 36- 42;

  9. Ivi, p. 42;

  10. F. Colalucci, Lotto, Art Dossier, n. 91, Firenze 1994, p. 47;

  11. G. C. F. Villa in Lorenzo Lotto, catalogo della mostra, Roma, Scuderie de Quirinale 2 mazo- 12 giugno 2011, a cura di G. C. F. Villa, Milano 2011, pp.

  12. G. Vasari, Le vite de' più eccellenti scultori, pittori et architettori italiani [Firenze 1568] a cura di G. Milanesi [Firenze 1878- 1885], Firenze 1906, vol. V, p. 253.

 

Didascalie delle immagini

1. Deposizione, 1512, Jesi, Pinacoteca comunale;

2. Annunciazione, 1534- 1535, olio su tela, Recanati, Museo Civico;

3. Melpomene, 50 a. C., Parigi, Museo del Louvre;

4. Submersione di Pharaone, 1525- 27, tarsia lignea (stallo e coperta), Bergamo, Santa Maria Maggiore, coro;

5. Presentazione al Tempio, 1556- 1557, Loreto, Museo Pinacoteca della Santa Casa;

6. Autoritratto, (part. Storie di Santa Brigida) 1524, affresco, Trescore, Oratorio Suardi.

 

Bibliografia

  • B. Berenson, Lotto, [1895] Milano 1990;

  • B. Berenson, I pittori italiani del Rinascimento, [1954], Firenze 1964;

  • L. Venturi, La pittura del Rinascimento,

  • R. Pallucchini, Lotto disegnatore, Vicenza 1965;

  • Lorenzo Lotto nelle Marche. Il suo tempo e il suo influsso, catalogo a cura di P. Dal Poggetto e P. Zampetti, Firenze 1981;

  • F. Cortesi Bosco, Il coro intarsiato di Lotto e Capoferri per Santa Maria Maggiore in Bergamo, Bergamo 1987;

  • F. Colalucci, Lotto, in “Art Dossier”, n. 91, Firenze 1994;

  • G. Cosmo, Lotto e l'antico. Il manto della musa, in “ARTedossier”, XXIII, n. 241, Firenze 2008, pp. 36- 42;

  • R. Villa, I tempi e le inquietudini di Lorenzo Lotto, in Lorenzo Lotto, catalogo della mostra, Roma, Scuderie de Quirinale 2 marzo- 12 giugno 2011, a cura di G. C. F. Villa, Milano 2011, pp. 25- 39;

  • G. C. F. Villa, Ripristini per Lorenzo Lotto a.d. 2011, in Lorenzo Lotto, catalogo della mostra, Roma, Scuderie de Quirinale 2 marzo- 12 giugno 2011, a cura di G. C. F. Villa, Milano 2011, pp. 21- 24;

  • R. Villa, Tre sguardi su Lorenzo Lotto, in Lorenzo Lotto, catalogo della mostra, Roma, Scuderie de Quirinale 2 marzo- 12 giugno 2011, a cura di G. C. F. Villa, Milano 2011, pp. 41- 60;

  • P. Humphrey, La fortuna critica di Lorenzo Lotto in Lorenzo Lotto, catalogo della mostra, Roma, Scuderie de Quirinale 2 marzo- 12 giugno 2011, a cura di G. C. F. Villa, Milano 2011, pp. 61- 69;

  • M. Vallora, Di alcune Sacre Concitazioni, in Lorenzo Lotto, catalogo della mostra, Roma, Scuderie de Quirinale 2 marzo- 12 giugno 2011, a cura di G. C. F. Villa, Milano 2011, pp. 73- 96;

  • M. Collareta, In spirito e verità, in Lorenzo Lotto, catalogo della mostra, Roma, Scuderie de Quirinale 2 marzo- 12 giugno 2011, a cura di G. C. F. Villa, Milano 2011, pp. 145- 155;

  • Margaret Binotto, “Lotto al bivio”: la dialettica di virtus e voluptas nella pittura profana, in Lorenzo Lotto, catalogo della mostra, Roma, Scuderie de Quirinale 2 marzo- 12 giugno 2011, a cura di G. C. F. Villa, Milano 2011, pp. 249- 259.

 

Fonti

  • P. Aretino, Lettere, IV, n. 492, [Venezia 1550], a cura di E. Camesasca, Milano 1957- 1960, II, p. 218;

  • L. Lotto, Libro di spese diverse 1538- 1556, a cura di P. Zampetti, Venezia- Roma 1969;

  • G. Vasari, Le vite de' più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani [Firenze 1550] a cura di L. Bellosi e A. Rossi, Torino 1986, vol. II, p. 802;

  • G. Vasari, Le vite de' più eccellenti scultori, pittori et architettori italiani [Firenze 1568] a cura di G. Milanesi [Firenze 1878- 1885], Firenze 1906, vol. V, pp. 249- 253;

  • L. Chiodi, Lettere inedite di Lorenzo Lotto, Bergamo 1968

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