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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Grünewald e l'iconografia del dolore

Grazia e devastazione.

Grünewald e l'iconografia del dolore

Una lezione di arte tedesca nell'antica biblioteca di Palazzo Sorbello a Perugia

Fig. 1

Il luogo è un antico palazzo rinascimentale, sede della Casa Museo dei Marchesi Ranieri Bourbon di Sorbello di Perugia, il tema: il cinquecentesco Wandelaltar del Musée d'Unterlinden di Colmar del pittore cinquecentesco Mathis Grünewald.

Di ritorno dalla Germania meridionale, l'architetto Cresti e gli esponenti della sezione umbra dell'Associazione Dimore Storiche Italiane (Union of European Historic House Associations) hanno reso partecipe la città della lettura iconografica e critica del capolavoro del Cinquecento tedesco.
All'inizio dell'ultimo decennio del Quattrocento, il priore di Isenheim, Johannes de Orliac, commissiona un altare a trasformazione dal goticheggiante coronamento, perduto, e da un complesso a mo' di “pala scolpita” con sculture lignee figuranti i Santi Agostino e Gerolamo, i mezzi busti degli Apostoli e del Benedicente nella predella e al centro l'imponente Sant'Antonio, intestatario del complesso monasteriale e ospedaliero di Isenheim.
Crasi di architettura, scultura e pittura, nella storia dell'arte nordica pare che solo l'altare dei Van Eyck della cattedrale di San Bavone a Gand e quello di Pacher a Sankt Wolfgang possano competere con il complesso a trasformazione di Colmar.

La parte scultorea viene eseguita da Nikolaus Hagenhauer, esponente di una famiglia di intagliatori di Strasburgo e conclusa nel 1505. Un quinquennio più tardi, il Wandelaltar inizia a prendere forma con l'avvio della lavorazione alle tavole dipinte a carico di Mathis Grünewald, sotto la supervisione del successore al priorato dell'Orliac, il siciliano Guido Guersi. La scelta ricaduta sul maestro di Würzburg è da collegare alla frequente attività del pittore in ambito antonita e alla figura del precettore Gosswin von Orsay de Wesalis sotto la cui cura erano le case antonite di Aschaffenburg e Seligenstadt ed era in contatto con la corte di Magonza: tutti luoghi in cui è documentato Grünewald.
Del pittore dalla «genialità gigantesca e solitaria» edal duplice nome, Mathis Neithart Gothart o Matthias Grün, parlò per primo Melantone nel suo trattato “Elementorum Rethorices” del 1531.

L'umanista tedesco mise Mathis Grünewald in mezzo fra il sublime Dürer e l'umile Cranach, riconoscendogli la tragicità che non idealizza né rende quotidiano alcun suo soggetto. Dopo Melantone, per lui hanno speso parole storici dell'arte, critici, scrittori, poeti, eppure la sua biografia è composta piùFig. 2 d'ombre e lacune che di certezze. La data di nascita oscilla all'interno del ventennio 1460- 1480. E piena d'ombre è anche la sua formazione: presso Holbein il Vecchio ad Augusta dove avrebbe potuto apprendere il colore vitreo e la levigatezza formale mutuata dalle numerose espressioni di dolore e malinconia? O nella scuola alsaziana di Schongauer? Una remota ipotesi lo voleva troppo precoce allievo di Dürer.
La fragilità di ogni singola tesi sottolinea la difficoltà di inquadrare un pittore che al suo esordio dimostra già la maturità di un attempato maestro, e nelle sue opere mature dimostra la freschezza di un giovane talentuoso.

Che si sia formato dall'uno o dall'altro maestro il linguaggio di Grünewald nasconde canoni italici: le anatomie – seppure egli abbia studiato i corpi umani nelle camere mortuarie dell'ospedale antonita – e la scabrosità del legno della Croce non possono non rievocare i Crocifissi scolpiti di Giovanni Pisano, mentre i mostri demoniaci che assalgono Sant'Antonio paiono familiari a quelli del pittore squarcionesco Bernardo Parentino, la cui attività d'incisore potrebbe aver certo aiutato la circolazione delle sue composizioni.

Non va infine dimenticata l'esperienza italiana dei committenti – Johannes de Orliac è stato precettore a Ferrara e Guido Guersi è siciliano – che conoscono senz'altro la scultura quattrocentesca. Così si coglie nelle costruzioni parossistiche di Grünewald quelle dei bassorilievi e delle sculture del più maturo Donatello: la mortificazione del dolore umano, brutto e deforme unisce la Maddalena del fiorentino alla Maddalena del tedesco.
Le linee di influenza si moltiplicano nel rincorrere iconografie di grazia e dolore per il costante rifluire di modelli, fenomeno che è tipico nell'elaborazione della maniera di ogni singolo artista.

Dopo la morte di Grünewald, nome e figura sbiadiscono lentamente più per l'esiguità del corpus produttivo che del mancato riconoscimento fra i collezionisti del suo tempo. Perché se l'imperatore Rodolfo II cerca di accaparrarsi l'Altare di Isenheim, suo capolavoro per eccellenza, già a poco più di cent'anni dalla sua nascita – è il 1597 – il nome del pittore è caduto nell'oblio.

L'entourage rudolfino aiuta a risollevarne la fortuna postuma: ne vede e ne apprezza le affinità col manierismo fantasioso che tanto sostiene. Fig. 3
Trascorre ancora un altro secolo quando Sandrart, nel tentativo di scrivere la vita del tedesco, deplora la dimenticanza in cui è caduto. Messo in ombra da Dürer? Forse. Perché il nome di Dürer si sostanzia della tradizione orale, del sapiente uso della prospettiva degna dei maestri fiorentini, mentre il Grünewald, seppure dimostri di conoscere le regole della prospettiva lineare centrica, piega i punti di fuga al suo primario bisogno di espressività gridata, sia essa estasi o devastazione. Tacciato di luteranesimo dalla Chiesa cattolica, nelle cui schiere aveva trovato la committenza, in lui si nasconde una spiritualità che va ben oltre il suo tempo, che lo libera dalle file teoriche delle correnti della storia dell’arte, rendendolo maestro universale, in ogni tempo lo si voglia inserire. Eccellente, piena di verità, mistica, idealista, naturalista, cromatica e drammatica, tragica, fatta di colore e disegno fusi, grottesca, esagerata e plateale, corrotta. Via per un mondo meraviglioso e sconosciuto, tutta espressione e movimento. La sua arte è un violento atto spirituale e materiale.
Se non è possibile inserire la sua arte in una corrente storica della pittura tedesca, Grünewald resta immerso nel suo tempo, è un mistico, è un cristiano, sente le rivolte dei poveri contadini, le riforme religiose dei luterani, e cerca di toccare il divino con il pathos più viscerale che esista, quello della carne. Egli raggiunge la grazia nelle luci opalescenti di una Resurrezione e raggiunge l'abominevole e infernale tortura di un'esecuzione mortale crudele, lenta, che mostra decomporsi il corpo prima che il cuore cessi di battere e il fiato d'uscire dal petto. È prestigiatore di corpi: della classica bellezza di un brunelleschiano Cristo in Croce, decantata dal Vasari, il pittore tedesco non lascia che una carogna, depredata d'ogni dignità. Vorremmo chiedere ai Gesù grünewaldiani perché non compiono il miracolo. Perché non scendono dalla croce, perché non danno la prova che chiedono gli scettici persecutori e spettatori? La risposta sta nel cercare una fede che sia libera d'ogni legame col miracolo, che non dona via d'uscita a chi vede. Non poteva essere un mondo di San Tommaso, Dio non poteva concedere a tutti di affondare il dito nella piaga per credere. Grünewald lo fa. Sceglie di toccare il dolore, di soffrire con il suo soggetto, in una sensualità morbosa, appassionata. Degenera il dolore fino a spezzare le anatomie, sembra seguire i processi di putrefazione di un cadavere, è spietato nel descrivere i segni del degrado sulla pelle, sulle carni e sulle ossa.

Fig. 4 Fig. 5

Colore e disegno si fondono per diventare sangue e vene, capelli, denti, smorfie e rughe, muscoli, e nella loro metamorfosi si prostrano all'espressività, che nasconde una dicotomia: la fede – l’ammalato che s’immedesima nell’Homo doloris morto in croce si sente meno spregevole e sventurato – e la paura – niente è tanto temibile quanto la vista delle deformità incolpevoli della natura del corpo umano. La vicinanza del dolore fisico del Cristo a quello dei malati in cura dagli Antoniti di Isenheim è giocata sulla sottile linea che divide la fede dalla perdita della fede e che attraversa l’atto della Crocifissione nel grido di Gesù al Padre: “Perché mi hai abbandonato?”. Nella prigionia platonica del corpo, la fede può trasformare la ripugnante carcassa che Grünewald ci mostra nei suoi Crocifissi, nella grazia ideale del Risorto. Il messaggio di speranza si compie nella fusione di gialli e rossi che immergono e riverberano di divinità il Cristo che si solleva come un’Araba Fenice dalla sua tomba.

Fig. 6

Il pittore diventa curatore, come gli Antoniti che incontrava nel monastero di Isenheim, lui dell’anima, i frati del corpo. E se era stato esterno al cammino dell’arte, non lo era da quello della socialità e della storia. Grünewald è exemplum di un mondo tedesco che non fa in tempo ad uscire dal Gotico acquisendo conoscenze rinascimentali, che già è arrivata la grande Maniera.

Gli inizi d'ingegnere idraulico lo conducono alla corte arcivescovile di Magonza appena ventenne, fra l'estremo Quattrocento e gli albori del Cinquecento. La Germania meridionale è il centro attorno al quale orbita, Grünewald vi è radicato come un albero alla sua terra, affonda le radici nel gotico della scultura di Sluter, di Gusmin e degli intagliatori di legno. Prima del 1503 tenne bottega a Seligenstadt insieme ad Arnold Rücker, maestro del legno cui venne contrastatamente l’interno del Trittico di Lindenhardt, primo grande lavoro del Grünewald, poco più che ventenne a queste date. Se della formazione si sono avanzate le più disparate ipotesi, circoscrivendo all'ambito franco-germanico l'apprendistato, alla maturazione il pittore giunge studiando con gergo più che personale, nonché di forte radicalizzazione tedesca, l'arte italiana, tanto da aver concesso ad alcuni critici di domandarsi se anche Grünewald, come prima Dürer, abbia compiuto un viaggio in Italia. La mancanza di documenti o di opere riconducibili alla penisola ne ha fatto accantonare l'ipotesi pur tuttavia restando il costante rifluire di modelli. L'acidità dei panneggi è eco gotica e serpeggia ancora nei monocromi dell'altare Heller eseguito per la chiesa domenicana di Francoforte dove venne collocato nel 1509. La pala centrale era opera di Dürer, mentre al Grünewald era spettata l'esecuzione dei riquadri esterni degli sportelli laterali. L'incontro dei due massimi pittori del Rinascimento tedesco si traduce nel Wandelaltar di Francoforte messo in situ nel 1511. Se l'incontro fra Durer e Grunewald sia stato fisico è sospeso nelle iFig. 7potesi, ma l'uno vedrà l'opera dell'altro, l'uno influenzerà l'altro, tanto da far dire a Panofsky che Grünewald suggestionò Dürer.

L'anno seguente Grunewald viene chiamato a Isenheim e lì rimarrà impegnato per un quinquennio portando a termine quello che sarà elevato a suo indiscusso capolavoro. All'altare per la prioria di Isenheim seguiranno altre Crocifissioni, serie e serie di studi dell'anatomia umana e di visi di carattere di sapore schiettamente leonardesco, che chiariscono il ductus di Grünewald, da qui in poi, fino all'ultimo lavoro – i dipinti per il duomo di Magonza di cui resta il Cristo morto oggi nella Collegiata di Aschaffenburg e la tavola opistografa con la Crocifissione e il Trasporto della Croce nella chiesa di Tauberbischofsheim – sempre più legato alle iconografie del dolore.

L'eredità di Grünewald sembra constare più di debiti che di scolari – il suo figlio adottivo non sembra aver mandato avanti la bottega in modo fecondo, ricordato più per cause giudiziarie che per attività artistiche – ma il carico del bagaglio linguistico è tanto forte da trasmigrare sub Alpe e attraversare i secoli: l'unione di simbolismo e realismo è testimone raccolto dal veneto Lorenzo Lotto, l'aggetto luministico dverrà prerogativa di Rembrandt, il gusto per l'indagine fisiognomica servirà da modello per tutta la ritrattistica nordica.

È tanto cospicuo il suo lascito da rifluire per secoli. Nel Settecento è punto di partenza per l'onirico romanticismo di Füssli, si riaccende nelle ricerche realistiche di Gericault, finché non si dichiara apertamente, tenendo a battesimo l'Espressionismo tedesco, per gli esponenti del quale Grünewald sarà il maestro “più poderoso”.

La Germania resta terra fertile per la vague grünewaldiana – l'Altare di Isenheim venne esposto al pubblico nel 1920 – e i suoi fantasmagorici personaggi si celano nei mondi psichedelici di Max Ernst che diffonderà la sua parlata surreale fin oltre Oceano e fino alla nostra contemporaneità, se si guarda ai lavori di Lynn Aldrich sullo scorcio degli anni Novanta del Novecento.

Nata dalla poetica tardomedievale di un Gotico fiammeggiante, la fantasia grünewaldiana appare come un filo, a volte visibile, a volte no, che nell'evitare d'essere catalogato in una qualsiasi corrente stilistica del proprio tempo, ne unisce tante e di tante differenti epoche, così che l'artista di Wuzburg ancora oggi sembra riuscire a ribadire un'universalità che già da subito aveva gridato, mosso dalla necessità di reinventare l'immaginazione a piacimento del pittore.

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1, Altare di Isenheim. Particolare. Nikolaus Hagenauer, Sant'Antonio fra i santi Agostino e Girolamo; Busti di Cristo Benedicente fra gli Apostoli, legno policromo, 1505, Colmar, Musée d'Unterlinden.

Fig. 2. Altare di Isenheim. Particolare. Matthis Grünewald, Crocifissione, 1512-16, Colmar, Musée d'Unterlinden.

Fig. 3. Altare di Isenheim. Particolare. Matthis Grünewald, Cristo in Croce.

Fig. 4 e 5, Monocromi dell'Altare Heller. Matthis Grünewald, Santa Elisabetta. San Ciriaco e la principessa Artemia, 1509- 10, Francoforte, Städelsches Kunstinstitut.

Fig. 6, Matthis Grünewald, Le tentazioni di Sant'Antonio (particolare), Altare di Isenheim, Colmar, Musée d'Unterlinden.

Fig. 7. Matthis Grünewald, Resurrezione (particolare), Altare di Isenheim, Colmar, Musée d'Unterlinden

 

Bibliografia

J. Von Sandrart, Teutsche Akademie, Nürnberg 1675- 1679;

P. Fraundorfer, Altes und Neues zur Grünewald. Mathis Gothardt Neithardt, München 1938;

R. Salvini, La pittura tedesca, Milano 1959;

J.K. Huysmans, Là-bas, Paris 1891;

E. Ruhmer, Grünewald Drowings, London 1970

G. Testori e P. Bianconi, L'opera completa di Grünewald, in Classici dell'arte, Milano 1972

 

 

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