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1973-2635
il 23 ottobre 2007.
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In appendice all'articolo Autoritratti e ritratti di Leonardo da Vinci
Le firme criptate sulle opere di Leonardo da Vinci e Antonio del Pollaiolo
Dapprima un approfondimento sull’articolo relativo agli autoritratti di Leonardo: lo spartito del Musico non mostra una melodia per cui il musico non era un professionista ma qualcuno che si dilettava nel canto per il suo e l’altrui piacimento, Leonardo per l’appunto. Il Moro apprezzava molto il suo soave canto, come si evince da un sonetto di Bernardo Bellincioni; costui era un poeta fiorentino che ebbe controverse vicissitudini finanziarie per cui negli anni ’80 si trasferì alla corte milanese e collaborò con Leonardo alla realizzazione della grande Festa del Paradiso indetta per gli sponsali di Gian Galeazzo Sforza con Isabella d’Aragona.
Di seguito un sonetto del Bellincioni:
Sonetto LXVI. In laude d 'un musico.
Con l'angelica voce e 'l dolce canto,
col modo e l'arte e le composte note,
quell'armonia de le celeste rote
ci fai sentire, anzi del regno santo.
Per te felice è Ludovico tanto
che altri che te più desiar non puote,
perché Giove ti diè tutte le dote,
che son cagion di riso e fin di pianto.
Da poi che 'l ciel ti fu tanto cortese
che hai legato colui che Italia lega
e scioglie come vuoi con arte e ingegno,
se quello al tuo voler sempre si piega,
tu piglia in cura le mie giuste imprese
e mostra el porto al mio percosso legno.
E’ fin troppo chiaro che il Sonetto è rivolto a Leonardo: l’artista musico cui ”Giove diè tutte le dote” non può essere che lui. A legger bene il Sonetto, non si tratta di una laude come recita la intitolazione ma la richiesta di un intervento presso il Moro a ché favorisca il Bellincioni in quel momento in cattive acque, “... mostra el porto al mio percosso Legno”. Bellincioni dice : “ tu sei in tale intimità con il Duca da poterlo convincere a fare qualsiasi cosa, intervieni perché mi aiuti”. Un intervento che non poteva fare un musicista-cantore anche se molto conosciuto. Tra le armi con cui Leonardo riusciva a soggiogare il Duca c’era proprio il canto che evidentemente Ludovico da anni richiedeva all’artista.In conclusione: Leonardo era il Cantor Angelicus del dipinto Il Musico di cui si è disquisito e il relativo acronimo Can-An(g) è da considerarsi la sua firma ermetica sull’opera.
Ancora più ermetiche sono le firme di Antonio del Pollaiolo. Nel suo stemma c’è una corona di fichi flosci denominati badaloni; chi mai in una città dove la maggior parte degli stemmi portano dei leoni avrebbe potuto mettere sul suo stemma dei fichi flosci? Soltanto Antonio del Pollaiolo che voleva enfatizzare il melanconico sfinimento psicologico che preludeva indispensabilmente al raptus dell’ideazione artistica.
Fig. 1, Stemma di Antonio del Pollaiolo presente sulla sua tomba in San Pietro in Vincoli, Roma.
Ancora da ricordare che dopo l’impresa di Volterra La Repubblica Fiorentina donò al Conte di Urbino la Villa Di Rusciano a Firenze[1]. Federico di Montefeltro volle fare una grande ristrutturazione della villa affidando la direzione architettonica ad Antonio del Pollaiolo. Fu edificata una cappella con un frontone del portale che mostrava un fregio con putti alati reggenti l’Impresa dello Struzzo del Montefeltro.
Fig. 2, Fregio con putti alati reggenti lo scudo con l’Impresa dello struzzo di Federico di Montefeltro.
Particolare in alto: lo struzzo.
Per dichiararne la sua paternità Pollaiolo collaborò con Vespasiano da Bisticci alla realizzazione di un manoscritto ordinato da Jacopo Bracciolini per essere donato al Conte di Urbino[2].
Fig. 3, Incipit del Codice Urbinate Latino 491. Biblioteca Apostolica Vaticana. Nel particolare, la veduta di Firenze alla porta di San Miniato
Nell’incipit del manoscritto si nota in alto al centro in uno scudo la veduta di Firenze dalla porta a San Miniato, in uscita nella direzione della Villa di Rusciano. Scendendo sul lato destro dell’incipit si trova un’aquila che reclamava l’origine imperiale del privilegio federiciano. Scendendo, due putti con dei bastoni in mano (è il richiamo a Ercole, l’eroe di riferimento di Antonio del Pollaiolo) Nell’angolo di destra in fondo uno scudo con lo struzzo federiciano.
Fig. 4, Particolari dell’Incipit del codice Urbinate Latino 491.
Due putti con bastoni in mano e lo Struzzo Federiciano.
Fig. 5, Antonio del Pollaiolo, Ercole e l’Idra, Galleria degli Uffizi. Firenze
Della cappella è residuato il fregio con lo struzzo sullo scudo come uno stemma e per questa ragione senza chiodo in bocca e senza scritta. In tal caso il Montefeltro trasformava un’impresa in uno stemma a voler significare che la Villa era un bene frutto delle sue conquiste e pertanto fuori dalle mire papali. I quattro piccoli fichi che si trovano in basso ai lati della scudo del fregio, unitamente ai bastoni in mano ai putti del manoscritto costituiscono di fatto la doppia firma criptata sul fregio.
Note al testo
[1] L’impresa nel Quattrocento ha due significati: l’impresa militare e l’impresa araldica; quest’ultima è un moto dell’animo con una raffigurazione denominata corpo e una scritta denominata anima. Di solito le imprese contornavano lo stemma
[2] Poggio Bracciolini, Historiae Florentini Populi. Tradotte in Volgare da Jacopo Bracciolini. Codice Urbinate Latino 491, Biblioteca Apostolica Vaticana
Didascalie delle immagini
Fig. 1, Stemma di Antonio del Pollaiolo presente sulla sua tomba in San Pietro in Vincoli, Roma. Si nota una corona di fichi.
Fig. 2, Fregio con putti alati reggenti lo scudo con l’Impresa dello struzzo di Federico di Montefeltro, in visione dai rispettivi lati per illustrare meglio la qualità del manufatto. Particolare: lo struzzo. Collezione privata
Fig. 3, Incipit del Codice Urbinate Latino 491. Biblioteca Apostolica Vaticana. A destra: particolare con la veduta di Firenze alla porta di San Miniato
Fig. 4, Particolari dell’Incipit del codice Urbinate Latino 491. A sinistra, due putti con bastoni in mano; a destra, lo Struzzo Federiciano.
Fig. 5, Antonio del Pollaiolo, Ercole e l’Idra, Galleria degli Uffizi. Firenze
L'analisi e il confronto tra i ritratti presunti di Leonardo e dei suoi colleghi o allievi porta a sollevare dubbi sulle tradizionali attribuzioni, spesso date per scontate e invece spesso da rivedere.
Con un'appendice sulle firme di Leonardo e Antonio del Pollaiolo.
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