Fogli freschi di stampa

Come ottenere il successo in arte, di Tom Wolfe

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The painted word è uno spassoso pamphlet critico sul mondo dell’arte moderna (o contemporanea, a seconda di come si voglia denominare l’arte del XX secolo), sui suoi meccanismi di elaborazione teorica e sul suo mercato, scritto nel 1975 dallo scrittore e giornalista americano Tom Wolfe. Fu pubblicato inizialmente su Harper's Magazine col titolo The Painted Word: Modern Art Reaches the Vanishing Point (La Parola Dipinta: l’arte moderna raggiunge il punto di estinzione) e suscitò immediatamente l’ira ed il disappunto di numerosi critici, particolarmente di quelli citati nell’opera. Il più agguerrito nel contrastare le argute osservazioni mosse da Wolfe fu Hilton Kramer, critico d’arte del New York Times che veniva citato nella prima pagina del saggio come ispirazione fondamentale per la redazione del testo.

“…quand’ecco fui messo all’erta dalle frasi che trascrivo qui di seguito: ‘Al realismo non mancano sostenitori. Gli manca, piuttosto, e in maniera vistosa, una teoria convincente. Data la natura del nostro commercio intellettuale con le opere d’arte, non possedere una teoria convincente significa essere privi di qualcosa di fondamentale, dei mezzi stessi mediante i quali la nostra esperienza delle singole opere si collega alla comprensione dei valori da esse rappresentati.’ […] Capii immediatamente di aver individuato senza il minimo sforzo una di quelle frasi che […] dette per caso, scoprono il gioco.”

La frase incriminata, che Wolfe dichiara essere stata il punto di partenza per le sue riflessioni, veniva da un articolo di Kramer per il Sunday New York Times, in occasione di una mostra presso la Yale University Art Gallery dal titolo “Seven Realists: Pearlstein, Bailey, Mangold, Wiesenfeld, Fish, Posen, Hanson”. Come accennato, la risposta di Kramer fu immediata e dura: nell’articolo Tom Wolfe and the Revenge of the Philistines (Tom Wolfe e la rivolta dei Filistei), Wolfe venne accusato di non avere alcuna conoscenza dell’arte moderna, di non aver compreso minimamente il ruolo della critica nel sistema dell’arte e di aver ottenuto un buon successo di pubblico, con questo suo pamphlet, proprio grazie alla superficialità delle sue affermazioni che avevano buona presa su quella grossa fetta di lettori che non sapeva nulla dei movimenti moderni se non ciò che aveva sentito dire per caso, dai pettegolezzi insomma.

Ma perché tutto questo astio nei confronti dell’autore? Ebbene Wolfe non solo derideva le più note teorie artistiche del secolo, facendo puntuali riferimenti a personaggi notissimi come Clement Greenberg, Harold Rosenberg e Leo Steiner, ma ambiva a dimostrare quanto la “chiesa dell’arte” avesse fondamenta fragili e pretenziose, basate più sulla teoria che sulla creatività.

Egli, in quanto esponente del cosiddetto new journalism (termine da lui stesso coniato nei primi anni ’70), si esprime in modo estremamente personale, utilizzando meno possibile descrizioni narrative e sostituendole con “scene” dall’immediato appeal, che coinvolgono il lettore in una sorta di empatia irriverente e divertita. Per questo il saggio ebbe grande successo di pubblico e sempre per la stessa ragione irritò la maggior parte del mondo dell’arte americana.

Wolfe parte dalla riflessione suscitatagli dalle parole di Kramer per dimostrare che l’arte moderna è diventata completamente letteraria e che “i dipinti e le altre opere esistono soltanto per illustrare il testo”. Nella sua analisi dei maggiori movimenti del ventesimo secolo, propone uno schema dei meccanismi di diffusione dell’arte moderna in due fasi: la Danza boho e la Consumazione. Le fasi sono descritte come parti di un rituale in cui, prima, l’artista si esprime nei circoli, all’interno dei movimenti e nella boheme, come se non gli importasse nulla del mercato e della fama (Danza boho), poi gli acculturati de le monde scelgono gli artisti e i movimenti più interessanti “secondo qualche criterio”, li portano alla celebrità e ai riconoscimenti (Consumazione).

Wolfe sostiene che il motivo per cui l’arte moderna sembra “appartenere al dopoguerra”, nonostante la maggior parte dei movimenti sia nata negli anni precedenti ad essa, non ha nulla a che fare con un ritardo nell’accettazione del pubblico, poiché esso non ha nessuna parte in questa fase del processo. “Il pubblico non è invitato (riceverà solo più tardi un annuncio a stampa).” La ragione di questo ritardo è, secondo Wolfe, che la seconda fase di Consumazione avvenne, semplicemente, dopo la guerra. L’idea che il pubblico possa accettare o respingere l’arte moderna, deprezzarla o portarla alle stelle, viene smontata in poche semplici frasi, da cui si evince che “i giochi sono fatti e le coppie distribuite molto prima che il pubblico sappia ciò che accade.”

A tenere le redini del gioco è le monde, un “piccolo villaggio” di non più di diecimila anime, suddivise tra New York, Roma, Milano, Parigi, Londra, Berlino e pochissimi arti centri nel mondo. Le monde è Alfred Barr, che con Doroty Miller fa da emissario del MOMA alla ricerca dei nuovi talenti di New York, anno dopo anno. Le monde è Peggy Guggenheim che assegna un mensile a Jackson Pollock e piazza alcune delle sue opere alle più importanti mostre del momento. Le monde, soprattutto, sono i grandi teorici dei movimenti, coloro che creano le basi per la diffusione delle idee (che, come sappiamo grazie alle parole di Kremer della prima pagina, sembrano indispensabili alla comprensione di ciò che si osserva). Sono Greenberg, con la sua teoria del dipinto in quanto superficie piatta ricoperta di pittura, e Rosenberg, con l’idea che ciò che debba andare sulla tela non è un dipinto, ma un evento.

Si stava verificando una strana trasformazione dell’intima essenza del mestiere del pittore. […] In breve il nuovo ordine delle cose nel mondo dell’arte fu il seguente: prima hai la Parola e poi puoi vedere. […] Non v’era più scampo alla teoria.”

E l’analisi di Wolfe prosegue dall’action painting, alla pop art, dalla optical art fino all’arte minimale e alla land art, attraverso i più grandi artisti e teorici della storia dell’arte del Novecento americana. La tesi dell’autore è che “grazie ad opere di questo tipo l’arte moderna della fine del XX secolo si avviava a realizzare il proprio destino, quello di diventare null’altro che pura e semplice letteratura.” Molto divertente, soprattutto con gli occhi di oggi, la chiusa del pamphlet, in cui l’autore si spinge ad immaginare una retrospettiva sull’arte americana degli anni ‘70 realizzata nel 2000 al Metropolitan o al MOMA, in cui siano messi in mostra non i tre più noti artisti del periodo – Pollock, De Kooning e Jasper Johns – ma le tre “figure feconde dell’era della Parola Dipinta”, ovvero Greenberg, Rosenberg e Steinberg.

Un testo davvero godibile ed interessante, con punte di grande ironia. Si ride davvero, insomma, soprattutto se si è un poco a conoscenza della storia dei movimenti e dei personaggi citati, e si ride di quell’umorismo cinico di chi sa di trovarsi di fronte ad una puntuale critica sociale, sebbene narrata in modo tanto leggero e piacevole. Il teatro dell’assurdo dell’arte di ieri e di oggi, narrato in modo appassionatamente personale da un lucido testimone dei tempi.

 

Scheda tecnica

Tom Wolfe, Come ottenere il successo in arte, Edizioni Allemandi 2004; ISBN: 88-422-0094-8; prezzo: 10 euro; pagine: 92; illustrazioni: 14.

Tom Wolfe, The painted word, Ed. Bantam 1999; ISBN-13: 978-0553380651; prezzo: 11,20 dollari; pagine: 112.
http://www.amazon.com/Painted-Word-Tom-Wolfe/dp/0553380656