Fogli freschi di stampa

I traditori, di Giancarlo De Cataldo

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“Lo storico è un profeta che guarda all'indietro.”

August Von Schlegel

 

È lecito chiedersi perché in questo romanzo sull’epopea della nascente Italia Giancarlo De Cataldo non menzioni mai la parola Risorgimento? La risposta è palesata già dalle prime pagine de I Traditori, opera - se si vuole - “paradigmatica” della letteratura italiana di quest’inizio millennio. L’autore, difatti, sfronda gli eventi che portarono all’Unità di quell’alone di eroismo post romantico e deamicisiano, mai completamente stigmatizzato dai nostri due massimi pensatori del Novecento - Gramsci e Croce - che ha costituito l’humus pedagogico e patriottico di svariate generazioni, almeno fino alla rivoluzione culturale sessantottina.

Trasformismo e mafia, velleitarismo rivoluzionario e opportunismo politico, ragion di stato e aneliti di ordine morale si intrecciano e si dipanano in un racconto corale in cui i protagonisti della Storia interagiscono con quelli fittizi in uno scenario assolutamente verosimile, scandito dagli accadimenti decisivi per la formazione dello stato unitario, dal 1844 al 1867, dalla clandestinità londinese di Mazzini ai moti del ’48, dalla Repubblica Romana e dalla prima guerra d’indipendenza all’affermazione di Cavour, dall’impresa disperata di Carlo Pisacane alla spedizione dei Mille e all’intervento francese nella seconda guerra d’indipendenza, dalla feroce repressione del brigantaggio da parte dei piemontesi, argomento troppo spesso obliato dai manuali scolastici, alla terza guerra d’indipendenza e fino alla presa di Roma.

La vicenda segue l’evoluzione personale e umana di svariati personaggi, tra cui il nobile veneziano Lorenzo di Vallelaura, una sorta di eroe senza patria, alla Foscolo, tradito dalla storia e traditore egli stesso della causa italiana, il quale, costituisce il perno della spy-story che caratterizza l’ordito della narrazione. Oggetto delle trame spionistiche Giuseppe Mazzini, “il Maestro”, descritto durante l’esilio inglese, negli avventurosi spostamenti nella penisola, sempre intento a incoraggiare utopie e rivolte, tuttavia “ritroso della prima linea”. De Cataldo non risparmia allusioni velate né valutazioni taglienti a carico del fondatore della Giovine Italia, del cinico Cavour, artefice dell’Italia, ma completamente a digiuno degli italiani, di Garibaldi, generoso e confuso, del re Vittorio Emanuele II, “mezza figura” della politica di quegli anni, e di Crispi e D’Azeglio, Farini e Ricasoli…

Insomma, si ha l’impressione che la realizzazione dell’Italia sia stata quasi un evento accidentale, e fortuito, visti gli intrighi e i tradimenti che emergono nel testo, e dati i ricorrenti giudizi “al vetriolo” sugli italiani, definiti “popolo di troie” e opportunisti: “E il popolo, quello vero, sta da un’altra parte. Sta alla finestra. Guarda, aspetta di vedere come si mettono le sorti della battaglia, si prepara ad accorrere in soccorso del vincitore”. Tante altre sono le notazioni che forniscono elementi atti a considerare I Traditori un impietoso affresco del presente. L’uguaglianza d’intenti tra Destra e Sinistra, gli insuccessi di quest’ultimo schieramento in situazioni assolutamente favorevoli, l’endemica diversità economica e culturale tra Nord e Sud, l’ingombrante presenza della mafia, sempre attaccata al carro dei vincitori, e perfino una citazione di Palazzo Grazioli, lussuosa residenza che ospita Lady Violet Cosgrave, uno dei caratteri femminili più spiccati, e altre dame…

E non manca neppure la denigrazione come strategia politica, ovvero quella che recentemente Roberto Saviano ha definito “la macchina del fango”. Quando Lorenzo di Vallelaura spia Mazzini a Londra per conto dei servizi segreti austriaci viene incaricato di diffondere tra i cospiratori la notizia che tra i patrioti ci siano “alcuni elementi inclini alla sodomia”. I continui cambi di scenario (Sicilia e Calabria, Londra e Milano, Torino e Venezia, Napoli e Roma…) contribuiscono a vivacizzare il ritmo della narrazione stimolando l’immaginazione del lettore, anche in prospettiva di un’immancabile riduzione per lo schermo, a cui il romanzo pare indirizzato data la ricorrenza dei 150 anni dall’unificazione.

Per quanto attiene alle descrizioni d’ambiente stimiamo specialmente quella della decadente società vittoriana rappresentata alla maniera di Dickens sia nei bassifondi che tra gli aristocratici e gli artisti, tra i quali ricordiamo il poeta Swinburne e il filosofo Thomas Carlyle, e ancor più apprezziamo un estenuato Dante Gabriele Rossetti, pittore preraffaellita ospitato pure sulla bella copertina del libro. In definitiva, De Cataldo riesce a rimodellare felicemente un “materiale” ostico quale quello risorgimentale promuovendo il piacere della lettura in virtù di un ritratto esemplare di una significativa varietà di personaggi, grazie al rigore documentario, che si avverte anche a un rapido esame, a una prosa moderna, agile e colorata, mai banale, riportando detta materia a una dimensione d’attualità che gioverà di certo agli studenti e ai loro insegnanti, e a tutti coloro i quali vorranno approfondire le ragioni della Questione Meridionale e del secolare distacco tra governanti e governati.

 

 

Intervista a GIANCARLO DE CATALDO

A cura di Cecilia Lugi


1.Con quest’opera così ponderosa non pensa che stavolta sarà ricordato non solo come “lo scrittore di Romanzo Criminale”?

Sinceramente, direi che me lo auguro. E' odioso essere etichettati, anche se a volte, devo ammetterlo, potrebbe far comodo. Spero che il romanzo sia letto nella sua complessità, e non solo come il “romanzo criminale” del Risorgimento.

2.Si ha spesso l’impressione durante la lettura de I Traditori che la realizzazione dell’Italia sia stata quasi un evento accidentale, e fortuito, visti gli intrighi e i tradimenti che emergono nel testo, e dati i ricorrenti giudizi “al vetriolo” sugli italiani, definiti “popolo di troie” e opportunisti. Può giustificare tale impressione?

No. Anche se innegabilmente il caso giocò la sua parte, alla base del Risorgimento vi fu l'insofferenza diffusa di vasti strati della popolazione per l'antico e obsoleto ordine imposto da reginette e duchessine, un autentico moto popolare, talora, e comunque sempre l'ostilità di una borghesia nascente che guardava all'Europa, al progresso, al futuro. In ogni caso, fu anche una rivolta giovanile contro padri opppressivi e che sapevano di cipria rancida.

3.A proposito di attualità, nel libro viene citato Palazzo Grazioli, lussuosa residenza romana che ospita Lady Violet Cosgrave, uno dei caratteri femminili più spiccati, e altre dame…

Mi creda, è un caso. Quando ho scritto quel capitolo, ormai un po' di tempo fa, per me Palazzo Grazioli era solo un vetusto e nobile palazzo romano. Se c'è una cosa di cui posso vantarmi è di aver scritto un romanzo che, sì, guarda all'attualità, ma i cui protagonisti ignorano Porta a Porta, il gossip e Ballarò.

4.Quando Lorenzo di Vallelaura spia Mazzini a Londra per conto dei servizi segreti austriaci viene incaricato di diffondere tra i cospiratori la notizia che tra i patrioti ci siano “alcuni elementi inclini alla sodomia”. La denigrazione come strategia politica, quella che recentemente Roberto Saviano ha definito “la macchina del fango”, è un fatto non solo attuale, dunque?

Spie e spioni, governi e conventicole si sono sempre serviti della calunnia. La macchina del fango non è un'invenzione di oggi. Essa mira alla costruzione di una mitologia negativa, non sorretta da fatti reali, che mira a minare la credibilità dell'avversario, dipingendolo come un dèmone.

5.Un testo così ricco e circostanziato presuppone un enorme lavoro di scandaglio di leggi, documenti, epistolari, carteggi… Tra queste fonti quali, secondo lei sono state le più decisive, curiose o interessanti?

A chi volesse intraprendere un viaggio avventuroso nel Risorgimento consiglio di leggere i diari di Giorgio Asproni (ne circola una vecchia edizione Giuffré), le biografie che Dennis Mac Smith ha dedicato a Mazzini e Garibaldi, e il fondamentale “L'invenzione dell'Italia unita” di Roberto Martucci (ed. Sansoni). Sono letture storiche, ma avvincenti come romanzi. Poi, per i più diligenti, l'autobiografia di Mazzini e le sue lettere, e, in alternativa, il romanzo Noi Credevamo di Anna Banti.

6.Il romanzo presenta tutte le qualità per una riduzione per gli schermi, tv o cinema. Ha già ricevuto proposte, visto la ricorrenza del 150ennio dall’unificazione?

Ahimè no. Un film sul Risorgimento è un film in costume. Quindi, molto costoso! E poi, noi italiani abbiamo il pessimo vizio di farci cogliere da ricorrenti amnesie sul nostro passato. Ci piace dimenticare.

7.La Questione Meridionale, il secolare distacco tra governanti e governati, il settarismo leghista sono segnali che non forniscono l’idea di un’Unità consolidata. Non crede che l’Italia possa ritornare ai particolarismi preunitari, o addirittura, a essere divisa in 4-5 staterelli sovrani?

Spero proprio di no! Io, studiando il passato, ho riscoperto l'orgoglio di essere italiano: mica pugliese, o, Dio ne scampi, padano!

8.Il brigantaggio e la feroce repressione piemontese sono sicuramente gli argomenti più obliati dalla storiografia, e scomodi da trattare nel contesto dell’anniversario unitario. Non crede che invece vadano approfonditi?

Certo. Ma non è vero che siano stati dimnticati, anzi. Rivedetevi Iovine, Alianello, i film dei Taviani, il Gattopardo e quel piccolo capolavoro misconosciuto che era Bronte di Florestano Vancini (e pure Quanto è bello lu murire accisi, un film del '75 di Ennio Lorenzini). E' una stagione, contrariamente a quanto si possa pensare, abbastanza frequentata da narratori, registi, storici. E' che noi ce ne siamo dimenticati, e tocca a qualcuno (come me o Mario Martone) rievocarla.

9.I Traditori sono anche un impietoso affresco del presente. Secondo lei riusciremo mai a liberarci del trasformismo e della mafia, oppure pensa con Giovanni Falcone che come tutte le cose prodotte dall’uomo prima o poi ne verremo a capo?

Sai, Cecilia, quella frase a me Falcone la ripetè personalmente, una sera a cena, sorridendo con quel suo sorriso mite e determinato allo stesso tempo. Io la penso come lui: è la nostra grettezza, il nostro opportunismo che ci impedisce di sconfiggere, una volta per tutte, le mafie. Per questo ci vuole sempre pazienza, ironia, e una grande capacità di studio e di sacrificio, per affrontare la vita.

10.Mazzini, Cavour, Re Vittorio e lo stesso Garibaldi ne escono piuttosto ridimensionati. Non pensa di aver esagerato? Se avesse pubblicato questo libro negli anni Cinquanta cosa prevede sarebbe accaduto?

No, non credo di aver esagerato. A me quei grandi uomini continuano a piacere per i loro difetti: io sto con Mazzini, è chiaro, e di Cavour avrei diffidato. Fra loro si detestavano, ma contribuirono, alla fine, fra abbracci, afflati e tradimenti, a fare l'Italia. Io vorrei che si rivendicasse tutto del nostro passato, anche le zone d'ombra. Solo da una perfetta conoscenza potrà nascere un nuovo slancio verso l'unità. Quanto al discorso degli anni Cinquanta... e chi può dirlo? Luciano Bianciardi scrisse una bellissima introduzione ai Mille di Bandi, proprio negli anni Cinquanta. Bianciardi era anarchico, ribelle, focoso, un grande scrittore dimenticato. Amava l'Italia da italiano, in modo ribaldo e fumoso, ma sincero, come tanti di noi veri italiani...

11.Tante le pagine ambientate in Inghilterra e tanti i personaggi ritratti. Tra gli inglesi quale le è risultato più congeniale?

Adoro Lord Chatam, il sadico dall'anima lacerata fra l'abisso e la luce, un carattere che ricorre nei miei libri. E' il funambolo dei sentimenti cantato da Browning in una sua bellissima poesia, la Bishop's Apology, quello che sta fra la follìa e la normalità. A chi non piacerebbe salvare un'anima così, redimerla, riscattarla?

12.Tra Lorenzo, Striga, Mario Tozzi, Terra, Salvo quale incarna meglio lo spirito dell’italiano del nostro tempo?

Mi piace considerarmi uno scrittore seguace della polifonia dostojeskiana. Affidare una parte di me a ciascuno dei miei personaggi. Dunque, la risposta è: ognuno di loro, perché ognuno di loro è una parte di me, e io sono parte di ognuno di loro.

(L'intervista è estratta da ONDANOMALA, il giornale del Liceo “Pilo Albertelli” di Roma
Anno IV n. 3 gennaio-febbraio 2011)

 

Scheda tecnica

Giancarlo De Cataldo, I Traditori,  Torino Einaudi 2010, pp. 584 - € 21,00, EAN 9788806202118