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Introduzione a Duchamp, di Carla Subrizi

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Tra i personaggi chiave dell'arte del Novecento, Marcel Duchamp occupa nella storiografia artistica un posto d'onore. Ricordato ora per i baffi alla Gioconda ora per l'orinatoio collocato su un piedistallo, Duchamp sfida non solo il pubblico, che tuttora osserva con sospetto le sue opere, ma anche gli storici, che nel tentativo di catalogarlo finiscono per cadere nella sua trappola di ironico distruttore.

La letteratura sull'artista francese è smisurata e soprattutto è ampia la sua presenza in qualunque manuale, saggio, trattato o antologia dell'arte moderna; Duchamp è a tutti gli effetti il padre di mille tendenze e di mille gruppi, di quelli che si basano in particolare su provocazione, motto di spirito o irriverenza.

L'intelligenza di Duchamp unita alla proverbiale pigrizia hanno creato anche molti equivoci e molte sovra-interpretazioni, come se da un lato ci fosse lui, sornione e spesso dissacratore di se stesso, e dall'altro la sua opera, molto più densa di significati.

Tra molti saggi inutili o devianti, un libro come l'"Introduzione a Duchamp" di Carla Subrizi, pubblicato nel 2008 e ripetutamente ristampato da Laterza nella collana artistico-filosofica dei Maestri del Novecento, riesce a fornirci insieme un'immagine dell'uomo e una della sua collocazione artistica, utilizzando il metodo più diretto, quello di una biografia allargata a saggio, una vita d'artista quindi raccontata dall'inizio alla fine e segnata dalle opere d'arte e dai fatti. Un metodo che ha il pregio di non fornirci spiegazioni cervellotiche delle opere e di rimandarci piuttosto alle cose e alle parole dette o scritte dall'artista stesso. Artista che certo non amava questa parola, eccellente giocatore di scacchi, grande seduttore, viaggiatore instancabile, Duchamp in realtà ha preso in giro il mondo con le sue battute, con gli infiniti giochi di parole, smitizzando e trasformando la nostra idea stessa di arte, che dopo l'orinatoio del 1917 in effetti non ha più avuto modo di rigenerarsi. Lo scrive bene l'autrice nelle ultime pagine:

Duchamp poteva essere considerato la radice di molte delle pratiche artistiche che dopo di lui si sarebbero prodotte, ma anche il responsabile della perdita irreparabile delle qualità tradizionali dell'arte. (pag. 160)

Subrizi fornisce dati importanti e non sempre noti, e spinge il lettore ad approfondire l'aspetto caratteriale che fa di Duchamp un personaggio unico, il gusto per la battuta e per il paradosso. E' intuitivo che tale atteggiamento sia ante litteram dadaista ed ecco la spiegazione:

Il grande avvenimento, che avrebbe indicato la <via da prendere> per il Grande Vetro, era stato la rappresentazione al Théatre Antoine delle Impressions d'Afrique di Roussel, con i cui libri, insieme a pochi altri, si sarebbe composta la <biblioteca ideale> di Duchamp. (pag. 49) 

L'affinità tra le invenzioni del 1910 di Raymond Roussel, che ben prima quindi della nascita ufficiale del movimento surrealista e prima anche di Dada aveva elaborato una teoria della costruzione artistica basata sul caso, e i giochi linguistici di Duchamp è palese e indica proprio nella matrice surreale-dadaista il cuore delle sue scelte. Di fatto, Duchamp partecipò dall'esterno tanto al movimento Dada che al Surrealismo, anche se forse si potrebbe dire con Subrizi che in realtà Duchamp, a differenza del surreale Roussel, fu sempre e soltanto dadaista, dall'inizio alla fine della sua singolare carriera.

Dal 1913 Duchamp aveva iniziato un'operazione nuova. Anche in questo caso la sperimentazione tra parola, il jeu de mot (era partito da already made, già fatto), e immagine lo conduce verso altre possibilità per l'oggetto, non tanto per far divenire qualsiasi cosa un'opera d'arte ma per far retrocedere l'opera d'arte all'oggetto qualsiasi, con ironia. (pag. 67)

E' sicuramente acuta questa osservazione dell'autrice; troppo spesso si pensa che i dadaisti volessero di fatto trovare il senso dell'arte in qualunque cosa. In realtà, quell'operazione era impregnata di un nichilismo assoluto, per cui non è valido "tutto è arte, compreso un orinatoio", ma piuttosto "nessuna cosa è arte, neppure l'orinatoio".

L'analisi di Subrizi è molto efficace nel rintracciare per ognuna delle invenzioni di Duchamp un percorso creativo, spesso casuale o legato a parole. In particolare, il Grande Vetro è descritto e narrato nella sua lunghissima e incompiuta gestazione con dettagli di grande interesse, non sempre evidenziati nelle letture critiche. Si vede bene che i tempi dell'autore erano determinati dalla pigrizia, da una splendida indifferenza, e dalla passione per il gioco degli scacchi che assorbiva ore e ore di tempo e consumava enormi quantità di intelligenza dell'autore.

Non mancano naturalmente notizie sulla vita privata, assolutamente singolare come si può immaginare, del grande seduttore Duchamp, che giunse a sposarsi con una donna appena conosciuta e a divorziare dopo sei mesi, in uno spirito di leggerezza e di svagatezza che ce lo descrive come un uomo imprevedibile, se non volutamente incomprensibile.

Ricostruzione di Etant Donnes

Un'altra opera è molto ben analizzata da Subrizi, ed è quell'incredibile composizione, elaborata nell'arco di vent'anni in America, che l'artista lasciò da "compiere" agli amici dopo la sua morte, con tanto di manuale di istruzioni, Étant Donnés. Considerata spesso come una stravaganza, è su questa opera che l'autrice sembra puntare per cercare una spiegazione al mistero Duchamp: una vecchia porta con due buchi attraverso i quali si vede l'assurda scena di un corpo nudo femminile sdraiato che regge una lampada a gas, sullo sfondo di un paesaggio alpino.

La visione prospettica di Duchamp assorbe la fisicità del corpo. La donna, nuda a gambe divaricate, come nell'Origine del mondo di Courbet e nell'Indolente di Bonnard, si trova nell'<oscurità>, oltre una porta, per erotizzare lo sguardo, renderlo desiderante, oltre i limiti di una visione ottenuta da una logica di traiettorie o traguardi visivi […] Non c'è una cosa, la sua proiezione o rappresentazione e poi la visione ma è la visione che rende visibile quanto è allestito oltre la porta. (pag. 135)

Nel prosieguo della biografia-trattazione, il libro ci descrive anche gli ultimi anni del personaggio, chiudendo una lettura che vale la pena di fare non soltanto per essere introdotti a Duchamp, ma per conoscerlo sicuramente meglio.

Tra il 1967 e il 1968, a chi gli chiedeva cosa stesse facendo, Duchamp era sempre più solito rispondere soltanto con la parola <niente>. Diceva che si poteva stare benissimo senza far nulla, aspettando la morte. (pag. 159) 

 

Scheda tecnica
Carla Subrizi, Introduzione a Duchamp, 2012, Roma-Bari, Laterza, ISBN 9788842085348, pp. 216, 12,00 Euro