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Lo potevo fare anch'io, di Francesco Bonami

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Lo potevo fare anch'io, di Francesco Bonami, è un libro destinato a chi ritiene l'arte contemporanea un colossale imbroglio: l'autore vuole infatti convincere il lettore che le cose stanno al contrario, e che - come recita il sottotitolo - l'arte contemporanea è davvero arte.
Difficile trovare persona più accreditata di Bonami dal punto di vista critico e da quello organizzativo; lo dice da solo di se stesso a pagina 12 : "insigne critico d'arte contemporanea, curatore stimatissimo”. Francesco Bonami, diventato americano da alcuni anni, attualmente fa parte dello staff amministrativo del Museo d'Arte Contemporanea di Chicago e dirige alcune fondazioni in Italia. A proposito di questo suo libro, uno dei molti che negli ultimi anni sta pubblicando, nasce il realistico dubbio se davvero un lettore qualunque comprenderà come Warhol, Beuys, Cattelan, Barney ecc., siano artisti veri e geniali, e come viceversa alcuni altri personaggi non lo siano affatto. In effetti, è la struttura stessa del volume a destare qualche perplessità: dapprima si apre e si propone un'argomentazione a tutto campo ma, quasi subito, l'efficacia di questa argomentazione si sfarina e lascia il posto a una serie di capitoli monografici su personaggi buoni e cattivi dell'arte contemporanea, di cui tuttavia si dà per conosciuto perlomeno il contesto dell'attività. Inoltre, l'edizione economica negli Oscar Mondadori del 2009, come del resto la precedente nella collana  Strade Blu del 2007, non viene in aiuto, perchè l'assenza di immagini esplicative è controproducente.

Detto questo, resta da dire che la lettura di Bonami è per gli addetti ai lavori molto stimolante e a tratti esilarante. L'insigne critico non usa mezzi termini, gli artisti che gli piacciono sono portati alle stelle, altri - in particolare e giustamente gli italiani del Novecento - sono invece colpiti e affondati. Bonami spara addosso a Pomodoro, a Guttuso, a Manzù e il lettore smaliziato non può che divertirsi davanti a frasi come queste su Renato Guttuso: “Guttuso ci ha risparmiato le sculture, e di questo dobbiamo essergli profondamente grati [...] Ha continuato imperterrito a fare danno, forse coperto da uin'assicurazione 'malus-malus', convincendo qualche suo amico più bravo a dipingere a volte anche peggio di lui” (pag. 135). E sui due Pomodoro, alla pagina precedente, aveva scritto con la massima libertà linguistica: “Se Giò non era evidentemente arrivato ad averne abbastanza del celebre fratello, noi, senza che il maestro si offenda, visto che ne va così fiero e ci ha costruito sopra un'intera carriera, possiamo dire con certezza e con sincerità: Pomodoro hai davvero rotto le palle!
Ma anche sui contemporanei Bonami è spietato, si veda a pagina 112 sulla Transavanguardia: “Chia dipinge omoni infantili, Clemente principalmente autoritratti, piacendosi molto, Cucchi prima meravigliosi disegni e poi tragici accroccaggi con troppo colore sopra. Paladino invece trova la sua nicchia primitivista facendo figure a metà tra l'arte africana e le illustrazioni di Pinocchio”.
La carrellata sugli autori veri, cioè sui veri artisti contemporanei secondo Bonami, manifesta il pensiero del curatore stimatissimo in modo preciso; coloro che entrano nel suo Pantheon sono in effetti la vera crema dell'arte tardo-novecentesca, anche se l'autore ogni tanto consola il suo lettore qualunque raccontando che ben pochi conoscono Beuys e che Richter è un personaggio quasi clandestino. I grandi nomi - per intenderci - sono quelli di Jeff Koons, di Gerhard Richter, di Matthew Barney, di Anish Kapoor, di Christo, di Maurizio Cattelan, ma anche di Marcel Duchamp, di Joseph Beuys, di Lucio Fontana, di Andy Warhol, di Robert Rauschenberg. Si verifica cioè, su una dimensione che – a parer mio – l'abile autore voleva proprio raggiungere, il comico scollamento tra il finto destinatario, che mai comprerà un libro del genere, e il vero destinatario, i professionisti del settore.
Sentiamo (non a caso uso un verbo di ascolto, perché spesso si ha la sensazione che quanto scritto sia in realtà la trascrizione di colloqui o conferenze), sentiamo Bonami su Robert Mappelthorpe, nel capitoletto intitolato Ammappelthorpe!: “Le immagini in bianco e nero, spesso veri e propri studi ano-tomici, sono dei Michelangelo canovati o meglio ancora dei Canova zeffirellati, dove l'estetica è tut'altro che stitica ma dissenterica” (pag.59). Poi su Barney e Hirst a pagina 83: “Se per capire l'arte di Mathhew Barney ci vuole un bravo psicanalista, per capire quella di Damien Hirst ci vorrebbe un esperto di medicina criminale o magari semplicemente un bravo macellaio”. Ed è folgorante su un suo prediletto, Maurizio Cattelan: “L'arte di Cattelan funziona perché davanti a un suo personaggio non ci colpisce la forma, ma la psicologia, la sua anima, i suoi pensieri, i suoi dubbi. Il complesso e l'estasi. La teologia della forfora” (pag. 104).
In definitiva, i lettori avveduti potranno gustare, dietro l'irriverenza dei giudizi, una conoscenza approfondita e matura di un mondo complesso come l'arte contemporanea, e - massimo dello snobismo - una sottile capacità di spiegare cose difficilissime facendole sembrare delle stupidaggini. Per soli nove euro.

Scheda tecnica
Francesco Bonami, Lo potevo fare anch'io. Perché l'arte contemporanea è davvero arte, Euro 9,00, 2009, pp.166, Mondadori Milano, ISBN
9788804567349