Piero e la Flagellazione

Piero della Francesca e l'assassino, di Bernd Roeck

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L'ipotesi Roeck
Leggere “Piero della Francesca e l'assassino” di Bernd Roeck dopo “L'enigma di Piero” ha delle conseguenze insolite rispetto a impegni intellettuali del genere, prima fra tutte la notevole e non voluta comicità di alcuni confronti. Tanto la tesi quanto la struttura del libro di Roeck sono diversissime da quelle di Ronchey, e che questo volume è di molto più facile lettura del precedente. Come Ronchey, Roeck è docente di storia, ma il suo approccio alla storia dell'arte non è per nulla polemico e rispetta maggiormente la tradizione; perciò in questo volume vediamo trattate finalmente le opere affini di Lorenzetti, di Duccio e di altri predecessori di Piero, nonché, verso la fine del libro, una Flagellazione di Signorelli, che fu allievo di Piero e che doveva conoscere l'opera omonima del maestro. Si vedono qui Pilato, Cristo ed Erode in un'ottica diversa, quella di un pittore come Signorelli che aveva conoscenza diretta del quadro e del suo autore, e che - si direbbe - evita del tutto riferimenti a Costantinopoli, o a Urbino, Ferrara, Mantova e dintorni.

Roeck fortunatamente entra anche nel merito di vari confronti con altre opere di Piero, tra cui il suo capolavoro aretino, Storie della vera Croce, il ciclo di affreschi ripreso dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine.

Tuttavia, anche qui l'autore espone sin dal principio un'ipotesi che sa di postulato: l'uomo biondo a destra è Oddantonio da Montefeltro, nessun dubbio. Dimostrata questa identità in poche pagine di confronti e dati, Roeck prosegue su un piano in discesa, perché è evidente che se quel giovane in camicia da notte è il 17enne duca assassinato nel 1444, tutto il resto deve essere collegato a lui e al suo omicidio. D'altra parte, fu questa la tesi più accreditata fino a metà del Novecento, e anche una delle più antiche, visto che un ritratto cinquecentesco di Oddantonio è chiaramente ispirato alla figura dipinta da Piero (se poi fosse ispirato da qualche altra perduta immagine, allora Roeck avrebbe ancor più ragione).

Come abbiamo visto, Silvia Ronchey conosce come pochi altri la storia bizantina, mentre Bernd Roeck ha una conoscenza approfondita delle corti del Rinascimento italiano e in particolare della vita di Federico da Montefeltro, che successe a Oddantonio. Federico era stato legittimato come figlio naturale di Guidantonio da Montefeltro, ma probabilmente era figlio di un personaggio controverso come Bernardino Ubaldini della Carda e di una figlia illegittima del duca, del quale quindi sarebbe stato nipote. Le sembianze di Federico sono note universalmente per il ritratto di profilo eseguitogli proprio da Piero, in cui la spettacolare spaccatura del suo naso, ferito in battaglia, ha una potenza pittorica unica.
Roeck descrive moralmente Federico come il tipico avventuriero di quel tempo, un uomo privo di scrupoli, spregiudicato, abile in guerra e in politica. Come recita il titolo originale di questo libro, Roeck parla di “Moerder, Maler und Maezene”, vale a dire di assassini, pittori e mecenati, e i primi sono subito individuati, Federico l'assassino, o meglio il mandante dell'assassinio di Oddantonio, e Piero il pittore che nella Flagellazione rappresentò il martirio di Oddantonio.

piero-biondo150Per dimostrare questa tesi, Roeck usa confronti e citazioni e ci mostra alcune immagini di grande interesse nel contesto, tra cui gli affreschi di Arezzo. L'impronta della Legenda aurea secondo Roeck sarebbe da verificare anche nella Flagellazione, in particolare per quanto riguarda l'uomo seduto in fondo, che qui è identificato -come da tradizione- in Ponzio Pilato, senza risvolti bizantini. Sul cappello di Pilato, lo skianon greco simile a una barchetta, Roeck offre una lettura aperta, secondo la quale Piero lo avrebbe utilizzato semplicemente come tipico copricapo regale di foggia orientale, e non come il simbolo della corona di Bisanzio. La dimostrazione è nei dipinti di Arezzo, dove lo skianon sta sulla testa non solo di Costantino, ma anche di Massenzio nell'affresco della loro battaglia (riproposto da Roeck in una copia effettuata prima dei danni subiti dall'originale).

In questo libro, a differenza che nell'Enigma di Piero, non c'è per nulla Bessarione, al suo posto riempiono la scena Piero, Federico, Sigismondo Malatesta, il cardinale Prospero Colonna. La colonna della flagellazione rimanda per nome, per araldica e per reliquie alla famiglia Colonna, e i Colonna erano strettamente imparentati con i Montefeltro. Numerose pagine del libro sono dedicate ad argomenti simili, cioè alle vicende, ai matrimoni e alle guerre intestine della nobiltà italiana, e fanno venire in mente, per l'argomento ma non per lo stile, le celebri Cronache Italiane di Stendhal.

Roeck introduce una lettura tipologica dei personaggi, secondo la quale la stessa figura può essere molteplice e svincolata dal fattore tempo; la cosa convince e non convince il lettore, soprattutto quando il personaggio barbuto in primo piano viene assimilato a Giuda, il traditore per eccellenza (personaggio descritto con grande fantasia anche nella Legenda aurea), e traslatamente a Federico.

Il personaggio a destra, in broccato, è ben analizzato per i tratti fisionomici, la testa rasata, l'orecchio appuntito, e Roeck lo ritrova in altri quadri di Piero, effettivamente dimostrando che o la figura è generica, o - ipotesi buttata lì – è un autoritratto di Piero! Allo stesso tempo, rappresenta il padre di Federico, il vero padre naturale, Bernardino della Carda, come confermato dal motivo della veste (tesi già sostenuta in passato da Marilyn Lavin).

Anche sull'architettura Roeck ha molto da dire, e si sofferma sulle analogie formali tra i disegni di Piero, le architetture di Roma antica e quelle di Leon Battista Alberti. Qui si procede a forza di congetture, perché non si sa bene se i due si siano conosciuti, e quando. Il ritratto che Roeck ci dà di Alberti è gustoso, perché ne sottolinea la grande abilità nel predicare più che nel costruire! Acutamente, Roeck fa notare un'anomalia nei capitelli compositi dipinti da Piero, che hanno otto volute invece delle normali quattro. La proposta è che il pretorio di Piero risalga al septizonium romano, e se ne sottolinea la somiglianza con la sala del trono di Salomone negli affreschi di Arezzo. Anche la statua sulla colonna di Cristo è analizzata, e rappresenterebbe Paride con il pomo della discordia.

Piero della Francesca e l'assassino” è in definitiva un libro accurato, di grande spessore storico, spesso discutibile ma di lettura scorrevole, che cerca di mettere insieme varie tesi sulla Flagellazione di Piero, aggiungendo materiale a una ricerca che non pare avere fine.

 

Scheda tecnica
Bernd Roeck, Piero della Francesca e l'assassino
, 2007, Bollati Boringhieri, 288 pp., € 22