Piero e la Flagellazione

L'Enigma di Piero, di Silvia Ronchey

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A breve distanza l'uno dall'altro, due libri sulla Flagellazione di Piero della Francesca tornano a far discutere su questa celebre tavola, oltre un ventennio dopo quelle Indagini su Piero (1981) di Carlo Ginzburg che avevano creato notevoli polemiche tra gli storici dell'arte, e dopo altri numerosi interventi sul tema. L'Enigma di Piero (2006) è stato scritto dalla docente di civiltà bizantina Silvia Ronchey, Piero della Francesca e l'assassino (2007) dal docente di storia Bernd Roeck. Ancora due storici quindi, dai cognomi curiosamente vicini, autori non professionisti di storiografia artistica, ma abilissimi divulgatori, con premio di vendite nelle librerie (ben superiori a un normale saggio di storia dell'arte).

I due nuovi libri hanno curiosamente riproposto, aggiornandole, le due versioni più accreditate, tesi lontanissime ma che trovano vari punti di appoggio nel quadro. E' del resto innegabile che l'ambiguità dell'immagine e l'assenza di notizie storiche rappresentino da un lato un ostacolo alla sua lettura, dall'altro un trampolino affascinante per ipotesi spesso del tutto indiziarie.

L'ipotesi Ronchey
Una prima battuta sull'argomento potrebbe partire dalla domanda di un lettore curioso, “Come mai tanta attenzione su un quadretto del genere?

Bessarione?
E in effetti è difficile capire come si possa dedicare tanto tempo e tanta erudizione per decifrare dati che non appaiono così decisivi nella storia della pittura. Ma è anche vero che senza libri come quello di Silvia Ronchey, mancherebbero agli studiosi molte tracce ed elementi di immediata consultazione, per non dire degli apparati critici e di ricerca che, in questo caso, valgono probabilmente molto più della complicata interpretazione del quadro. Un'ampia appendice sui materiali di riferimento fa parte del libro, ma il regesto pubblicato su Internet è di dimensioni addirittura eccezionali (si veda il sito personale di Silvia Ronchey).

Come detto, Ronchey scrive di arte senza essere specialista né di arte praticata né di arte studiata; il suo testo è un libro straordinario, ricchissimo, imperdibile per chiunque abbia voglia di tuffarsi nella storia del Quattrocento, ma è anche, nel merito del quadro protagonista, un testo sbilanciato, fazioso, e spesso irritante. Protagonista è un eroe senza macchia, che fu un diplomatico convertito e bizantino a tutti gli effetti, Giovanni, o Basilio, Bessarione, cardinale abile e politicamente spregiudicato, qui assurto a modello di erudizione, cultura, altruismo, e -visto che si parla del quadro di Piero- anche a modello pittorico. Sarebbe lui infatti l'uomo barbuto in primo piano e sarebbe lui il committente, effettivo o ideale, del quadro, di cui sarebbe stato in possesso e che alla sua morte sarebbe passato, in modo del tutto ipotetico, nelle mani di Federico di Montefeltro. C'è questo eroe quindi, palesemente determinato a priori, ma manca del tutto l'eroe che ci aspetteremmo, cioè il pittore stesso, Piero della Francesca, di cui Ronchey non dice praticamente nulla, quasi che il quadro sia stato dettato da Bessarione stesso! Si legge a pag. 319, “Il contesto storico che il quadro evoca, l'esortazione che muove, l'azione politica che rispecchia sono indubbiamente quelle che la seconda vita di Bessarione in occidente aveva come centro. Nella tavola di Urbino sembra visualizzarsi il suo orizzonte interiore, materializzarsi il suo punto di vista sul mondo, proiettarsi il suo scopo di esistere”.Tommaso Paleologo?

In passato, già lo studioso inglese Kenneth Clark aveva proposto che l'uomo con la barba fosse il cardinale e diplomatico bizantino, ma Ronchey completa l'ipotesi con la proposta che gli altri due uomini in primo piano siano l'erede al trono di Bisanzio Tommaso Paleologo e il duca di Ferarra Nicolò III d'Este, e che sullo sfondo l'uomo seduto sia Giovanni VIII Paleologo, penultimo imperatore bizantino e fratello maggiore di Tommaso, e l'uomo di spalle il sultano turco che assediò Costantinopoli Murad II; la scena si svolgerebbe ai tempi del Concilio di Ferrara nel 1438, quando il basileus Giovanni VIII venne in Italia in pratica a cercare aiuto contro l'aggressività dell'impero ottomano, ma il quadro sarebbe stato dipinto oltre vent'anni dopo.

Silvia Ronchey ha scritto il libro per dimostrare queste identificazioni, ma se si scrive di un capolavoro di pittura il libro diventa giocoforza un libro di storia dell'arte, e quindi il lettore attento, per quanto disposto ad accettare il metodo, non può non avvertire la clamorosa mancanza di alcuni elementi obbligati nella ricerca iconografica: 1) l'analisi tecnica dell'esecuzione del quadro, comparata con altre opere del pittore; 2) lo studio iconografico, vale a dire la risposta all'ovvia domanda “Come si rappresentava La Flagellazione al tempo di Piero e nelle epoche prima di Piero?”; 3) una presentazione anche minima delle caratteristiche del pittore; 4) gli eventuali effetti dell'opera analizzata sulla produzione pittorica e sull'iconografia successiva.

Non solo questi dati mancano, ma anche sulla prospettiva e sulla ritrattistica le carenze di analisi sono evidenti e a questo punto il gioco dei ruoli potrebbe facilmente essere ribaltato: se molti storici dell'arte hanno sicuramente poche cognizioni di storia politica, molti storici politici hanno scarse nozioni di storia dell'arte. La collaborazione è auspicabile, non certo la competizione che qui viene esposta in particolare nei capitoletti in forma di dialogo tra l'Antichista (Ronchey stessa) e lo Storico dell'Arte, che figura come un ottuso studioso quasi sempre privo di fantasia e di elasticità mentale.

E l'irritazione del lettore attento può diventare autentica intolleranza quando l'autrice, impiegate decine di pagine - con un'innegabile tenacia e con molte brillanti indicazioni - per rintracciare le presunte sembianze di Bessarione (di cui si finisce per minimizzare una nota deformazione al naso) e di Tommaso Paleologo in vari quadri, disegni e statue dell'epoca, introduce uno dei dialoghi citando Ginzburg: “Si sa che due fotografie della stessa persona possono presentare diversità notevoli. Figuriamoci dei quadri”! Dimostrando che disegni diversi possono nascere dallo stesso volto, l'antichista-Ronchey dimostra, alla pagina 309, che tutto quanto ha scritto fin allora è per definizione un fragile castello di carte.Nicolò III d'Este?

Ciononostante, la lettura dell'Enigma di Piero è davvero raccomandabile a chiunque voglia informarsi sulla storia d'Italia e soprattutto sulle meno note vicende dell'Impero d'Oriente. Sono quasi 600 pagine piene di notizie, di dati, di personaggi, di luoghi, non sempre del tutto collegati al quadro di Piero e non sempre semplici da mettere insieme, ma che alla fine costruiscono come un grande puzzle dell'epoca. L'autrice ha infatti deciso di costruire una sequenza estremamente spezzettata di capitoli brevi, dai titoli a volte curiosi, che non seguono una linea continua, ma sembrano volutamente spingere e costringere il lettore a tornare indietro, a rivedere i nomi, a ricapitolare. Se si entra nel gioco, la lettura può diventare stimolante e spesso avvincente, ma nel caso contrario l'esasperazione, se non la resa, di molti lettori può essere del tutto giustificabile.

Scheda tecnica

Silvia Ronchey, L'enigma di Piero, 2006, BUR Rizzoli, 539 pp., € 12