Piero e la Flagellazione

Piero. Un pittore per due nemici, di Carlo Bertelli

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Due celebri condottieri e un grande pittore del nostro Rinascimento rappresentano lo spunto per questo saggio di Carlo Bertelli, pubblicato da Skira e destinato in origine al catalogo di una mostra milanese da organizzarsi nella Pinacoteca di Brera. La mostra non si è fatta, e l'occasione di confrontare dal vivo i ritratti di Sigismondo Pandolfo Malatesta signore di Rimini e di Federico da Montefeltro signore di Urbino, opere tra le più note di Piero della Francesca, si è per il momento perduta. Il saggio invece è stato portato a termine e rappresenta l'ultima fatica di Bertelli, classe 1930, uno dei grandi storici dell'arte italiani, cui si devono innumerevoli ricerche e contributi in particolare sui periodi medioevale e rinascimentale. Tra le passioni di Bertelli, quella per Piero è antica e vivissima, come si avverte chiaramente leggendo il piccolo (48 pagine) ma denso libro pubblicato da Skira nel 2012, sicuramente più interessante per gli addetti ai lavori che per il grande pubblico.

Fuori dai limiti di una mostra di quattro quadri, il ritratto di Sigismondo del Louvre, il dittico di Federico e Battista Sforza degli Uffizi e la pala di San Bernardino conservata nella stessa Brera, Bertelli può spaziare in questa sede anche sull'affresco di Rimini che ritrae sempre Sigismondo col santo omonimo, sul ritratto di Gerolamo Amadi con san Gerolamo, sul polittico di Sansepolcro, sulla enigmatica Flagellazione e poi ancora sull'altro celebre ritratto di Federico, eseguito da Pedro Berruguete, e sulle tavole Barberini di Fra Carnevale, e sull'architettura del palazzo di Urbino. In qualche momento si chiederebbe al libro maggior quantità di immagini, soprattutto quando i dettagli descritti diventano millimetrici, ma si sa che i prezzi editoriali dipendono molto dalle riproduzioni, qui limitate a otto pagine (a colori) al centro del fascicolo.

La dissertazione di Bertelli parte e torna ai due protagonisti rivali, Sigismondo e Federico, ricordati anche dai versi moderni di Ezra Pound, e affronta con completezza il problema della datazione dei ritratti, punto come sempre delicato nella saggistica storico-artistica. Molte deduzioni dell'autore, o dei suoi colleghi, citate come riferimenti attendibili, possono apparire arrischiate, ma sono sempre frutto di logica e di precise collocazioni storico-geografiche; il metodo è scientifico quindi nei limiti delle conoscenze date, ed elabora da un lato la storia politica, che ci fornisce eventi in abbondanza e pochi dubbi, dall'altro la storia della pittura, che invece è troppo spesso incompleta, priva di documenti certi, e basata su testimonianze non molto precise. In questo ambito il testo di Bertelli deve essere letto con molta attenzione, perché l'autore segue meticolosamente le tracce dei quadri, ma presuppone e pretende nel lettore conoscenze perlomeno discrete dell'opera di Piero e dell'arte rinascimentale. Quando parla della vita del pittore, di cui sappiamo molto poco, suggerisce che egli, documentato a Roma nel 1458, vi si sia recato anche prima, nel 1441probabilmente e anche nel 1450; se non fosse così, dovremmo posticipare molte date delle sue opere, visto che “la pittura di Piero che conosciamo è non meno romana dell'architettura di Leon Battista Alberti” (pag. 10). Bertelli passa con disinvoltura da una quadro all'altro, confronta dettagli, colloca idee e, chissà, forse volutamente sembra rivolgersi solo a chi riesce a stargli al passo.

Sigismondo nell'affresco di Rimini Sigismondo nel dipinto del Louvre

C'è un'ipotesi dietro alla trattazione del libro, che per i ritratti tanto di Sigismondo (uno su tavola e uno su parete), quanto di Federico (entrambi su tavola), Piero si sia servito di un unico cartone, cioè della stessa traccia grafica, che tuttavia in ambo i casi non possediamo. La deduzione di Bertelli, non nuova ma qui analizzata in dettaglio, nasce dal confronto dei profili, che presentano coincidenze assolutamente inoppugnabili. Nel descrivere i tratti dei due condottieri dipinti da Piero, Bertelli dà il suo meglio di saggista e prosatore:

... il collo tornito di Sigismondo si distacca dal fondo scuro per un riflesso rosato che ne determina il volume, un'ombra via via più debole parte dal mento, attraversa il soggolo e muore sotto il lobo dell'orecchio, che sporge dalla tonalità azzurrina della barba rasata, sotto la scura capellatura” (pag. 15).

E su Federico:

Contro il pallido cielo alle prime luci, il profilo del duca motra il setto nasale tagliato. Una linea continua sale dal mento alla labbra, al naso e alla fronte per concludersi nel duplice orlo del cappello, tornito come la basa di una colonna. E' il disegno di un architetto” (pag. 27).

Sui ritratti del duca di Urbino, l'uno nel dittico degli Uffizi del 1464 circa, l'altro nella Pala di San Bernardino del 1475 circa, Bertelli spende qualche riga in più, e aggiunge maggiori divagazioni, tutte condotte con la consueta agilità storica. Di maggior interesse tuttavia è il fatto che in questo caso i due ritratti, eseguiti a distanza di almeno dieci anni, appaiano basati sullo stesso cartone o disegno. Una simile scelta, che effettivamente può apparire discutibile se non stravagante, possiede tuttavia la straordinaria capacità di chiarirci l'essenza stessa della pittura di Piero: “Piero non ha dovuto cambiare un minimo segno del cartone tracciato anni prima. Possiamo contare una per una le sottilissime righe che corrugano l'occhio nel dittico come nella pala. Nessuna è stata dimenticata. Eppure questo ritratto non ci appare identico a quello della pala. […] Lo stesso, proprio lo stesso volto si ripete in composizioni diverse. Sono volti disegnati prima della loro destinazione, uguali a se stessi e privi di emozioni. Tutta l'empatia dello spettatore si manifesta non per le espressioni dei visi, ma grazie a ciò che li circonda” (pag. 28).

Federico nel dittico degli UffiziFederico nella pala di San Bernardino

In altre parti dello studio le conoscenze tecniche e specifiche di Bertelli mettono in luce dettagli difficilmente visibili al profano; ad esempio, confrontando il polittico di Sansepolcro con la pala di San Bernardino, Bertelli scrive: “Il colore pieno e sontuoso accomuna la pala e il polittico. Qualche volta, in entrambi i dipinti, i margini delle figure sono stati risparmiati, evitando che i colori collimino come in un intarsio” (pag. 36).

Sempre sulla pala, scrive ancora che “è di stesura tanto disuguale, da passare dalla definizione esatta dei gioielli, che con le loro luci si inseguono su tutta la superficie della tavola, da parti magnificamente concluse, come la mussola trasparente che lascia intravvedere l'abito rosso di un angelo, al modellato appena accennato nel braccio destro di san Girolamo, dove la campitura è priva di spessore e la muscolatura inesistente” (pag. 36).

Dettagli del genere (a parte il lapsus del braccio destro, che è invece il sinistro) conducono il lettore a capire come sia possibile identificare un pennello diverso da quello di Piero nell'esecuzione delle mani giunte di Federico, ridipinte da Pedro Berruguete -probabilmente -  rinforzando la leggera e incompiuta traccia sottostante; Piero infatti non aveva completato il dipinto e le analisi agli infrarossi confermano la stratificazione di alcuni particolari.

Se allora la nascita dei ritratti dei due famosi condottieri nemici è ricostruita per quanto possibile, e descritta da Bertelli con tanta abilità, il principale scopo del breve testo è da considerasi raggiunto. Tuttavia, vista l'attuale popolarità di Piero tra gli studiosi di tutti i campi (spesso purtroppo assai lontani da quello storico-artistico), l'autore non si trattiene dal lanciare qualche spunto sul quadro più discusso e forse più celebre di Piero, la Flagellazione. Un paragrafo di poche pagine nel cuore del libro è proprio dedicato alla tavoletta di Urbino, sul significato della quale – come ben sanno i lettori di questa rivista – sono state scritte centinaia e centinaia di pagine, senza mai giungere a una vera soluzione. Bertelli non espone critiche dirette ad altri studiosi, ma fa qualche affermazione perentoria, “La Flagellazione contiene un solo ritratto. Rappresenta un uomo con indosso un broccato turchino e oro, una sciarpa rossa sulla spalla che denota la sua autorità, o la sua appartenenza a una confraternita, con il capo scoperto, i capelli corti e grigi. …. Chi siano i due uomini ai quali l'uomo si rivolge è impossibile dirlo” (pagg. 22 e 23).

Poche parole dette da uno dei maggiori esperti della pittura di Piero riconducono la Flagellazione alla sua probabile natura di quadro devozionale, non certo manifesto improbabile di proclami politici esposti sotto forma di rebus. E velatamente, ma chiaramente, Bertelli si rivolge ai dilettanti che hanno letto di tutto nel quadro utilizzando le più curiose tecniche di decifrazione: “Soltanto la pittura, e dunque nessun indizio esterno, può orientarci versa la data del dipinto” (pag. 23).

Poche pagine prima, il fregio a palmette dipinto sull'architrave del pretorio aveva trovato la sua sicura origine nel portale di San Domenico a Urbino, ora Bertelli vi aggiunge i segni pittorici del maestro, il fregio di rose, la ringhiera goticheggiante, i panneggi, che rimandano al periodo di Rimini. Perché appunto, in assenza d'altro, soltanto la pittura può dirci qualcosa della pittura stessa.

Scheda tecnica
Carlo Bertelli, Piero. Un pittore per due nemici, € 9,00, 2012, 48 pp., Milano Skira, ISBN 9788857215617